lunedì 23 marzo 2015

Un Dio arbitro di molti popoli - di Michael Walzer, pubblicato da "Il Sole 24 Ore"

[1] Un Dio arbitro di molti popoli / Michael Walzer

[2] La politica di Dio / Gianfranco Ravasi

Si consiglia caldamente la lettura dell'articolo [1] pubblicato nell'inserto domenicale de Il Sole 24 Ore di Domenica 22 Marzo 2015; è un articolo di notevole interesse, anche se va tenuto presente quello che osserva Gianfranco Ravasi nell'articolo [2], che recensisce un recente libro del medesimo autore: alcune aporie se le sarebbe risparmiate se avesse fatto uso della moderna esegesi biblica, che insegna a non prendere il testo alla lettera, ma a chiedersi quali ideali ed obbiettivi il suo autore umano si proponeva - sarebbe riuscito in quel caso a rintracciare dei punti in comune tra opzioni solo apparentemente contraddittorie.

Ciononostante, è utilissima l'osservazione di Michael Walzer: contrariamente a quello che molti credono, la Bibbia ebraica consente il pluralismo religioso - anche se è un pluralismo esterno al popolo ebraico.

Buona lettura, RYL

lunedì 9 marzo 2015

Ora si certifica meno

[1] Israel ends ban on hotels having Christmas trees

[2] Qui non si certifica

Nell'articolo [2] avevo lamentato che quando si comincia a certificare le qualità intrinseche di qualcosa, si finisce sempre con il certificare lo stile di vita di chi la serve al pubblico, e l'esempio migliore sembrava il comportamento del Gran Rabbinato d'Israele e dei suoi mashgichim, dei suoi ispettori della kashrut.

[1] dice che il Gran Rabbinato ha finalmente ceduto: ha imposto agli ispettori che operano negli alberghi di limitarsi a controllare gli ingredienti dei cibi (devono loro garantire che siano preparati in modo kasher), senza più condizionare la concessione del brevetto di kashrut alla piena osservanza della legge religiosa ebraica.

Un albergo ora è kasher perché serve cibo kasher - ma può esporre un albero di natale, accettare pagamenti di sabato, usare ascensori normali anziché sabbatici (quelli sabbatici funzionano ad orario come i treni), eccetera.

Questo è avvenuto perché l'NGO Hiddush [= Innovazione], diretta dal rabbino riformato Uri Regev, e con lo scopo di favorire la libertà religiosa, ha minacciato di far causa al Gran Rabbinato, sulla base di una vecchia sentenza della Corte Suprema che appunto limitava l'autorità dei mashgichim al verificare le qualità intrinseche del cibo, non lo stile di vita di chi lo serviva.

Ottimo!

Raffaele Yona Ladu

martedì 10 febbraio 2015

Più difficile sposare una persona non-ebrea che una del proprio sesso

[1] Same-Sex Interfaith Couples Face Roadblock to Marriage in Judaism

[2a] SHJ: Marriage

[2b] AHR: Intermarriage

[2c] AHR: Co-officiating at Wedding Ceremonies

[2d] Society for Humanistic Judaism Supports Marriage Rights of Same-Sex Couples

L'articolo [1] spiega che negli USA alcune denominazioni ebraiche teiste (che cioè affermano l'esistenza di Dio) si sono trovate nella curiosa situazione di celebrare matrimoni tra persone del medesimo sesso (e di riconoscere pure la transizione di sesso compiuta da transgender e transessuali), ma non di celebrare matrimoni misti, tra ebrei e non-ebrei.

Il problema riguarda i riformati, i conservatori, i ricostruzionisti (questi ultimi però si limitano a non ammettere al loro seminario rabbinico ebrei sposati con non ebrei, ed è un divieto che potrebbe essere presto abrogato); gli ortodossi invece mantengono ambo i divieti - divieto di matrimonio misto e divieto di matrimonio omosessuale.

Non approvo questo divieto, anche se cerco di spiegarne le ragioni: vivere una vita ebraica e dare ai figli un'educazione ebraica non è facile se il proprio coniuge, non essendo ebreo, non collabora, e le denominazioni che non celebrano matrimoni misti temono che ognuno di questi matrimoni segni la fine di una famiglia ebraica.

Va anche detto che la pratica è più accomodante dei principi: in molte comunità, anche ortodosse, ci sono molte famiglie miste, ed anche se si sono sposate in municipio (in Italia) o dal giudice di pace (in America), le comunità ebraiche di competenza cercano di mantenere i contatti con loro e di coinvolgerle nella vita comunitaria. Ed i casi di famiglie che si sono divise od amicizie che si sono rotte perché un* ebre* ha sposato un* non ebre* appartengono ormai al passato.

Certo, è comunque spiacevole non poter partecipare alle elezioni per il consiglio direttivo, oppure il non poter candidare i propri figli al rabbinato, anche se eccellono per cultura e pietà.

L'ebraismo umanista parte da altri presupposti: non ritiene la sopravvivenza dell'ebraismo più importante della qualità della vita delle persone, chiama i matrimoni tra ebrei e non ebrei "matrimoni interculturali", e si è attrezzato per celebrarli, qualunque sia il genere dei partner.

Come potete vedere in [2a], [2b], [2c], [2d], i rabbini umanisti sono tenuti a celebrare anche questi matrimoni, magari insieme con un celebrante civile oppure un ministro del culto, se uno dei partner vuole che tale matrimonio abbia anche valore civile e/o religioso.

Queste cerimonie sono attentamente personalizzate, per rispettare ed esprimere il retaggio culturale di entrambi i nubendi.

Del resto, tutti i matrimoni sono "interculturali", in quanto i nubendi vengono da diverse famiglie, diverse tradizioni, ed hanno avuto diverse esperienze - non è che l'essere entrambi della medesima religione o del medesimo genere diminuisca la diversità tra i due!

Raffaele Yona Ladu

giovedì 5 febbraio 2015

16 Shvat 5775 - 5 Febbraio 2015: È stato emesso il certificato di conversione

Il PDF (convertito in PNG) del certificato di conversione

Il certificato verrà prossimamente spedito al mio domicilio, con la firma della rabbina Miriam S. Jerris.

Come ho già ricordato qui, per la Society for Humanistic Judaism,
Un ebreo è una persona che si identifica con la storia, la cultura ed il futuro del popolo ebraico.
Per ottenere questo certificato occorre:
  1. Iscriversi alla Society for Humanistic Judaism (cliccando qui - vedi anche qui);
  2. Scegliere un nome ebraico (qui ho spiegato perché ho scelto Yona);
  3. Scrivere delle brevi riflessioni (in inglese) su che significato si attribuisce all'essere un ebreo umanista.
Vi allego le riflessioni in inglese, seguite dalla traduzione italiana, che sono piaciute alla rabbina Miriam S, Jerris:
I admit that the State of Israel has bewitched me, and I would like to live there, west of the Green Line. If I were an Israeli citizen I would pursue equal rights for all (independently of sex/gender, religion, ethnicity, sexuality, mother tongue, cultural identification, and so on), political democracy, social justice, environment protection, and peace with the Palestinians and the rest of the world. I would also like to take advantage of Israel being a crossroads of cultures (not just Jewish traditions) to help them blossom and hybridize.
If I could freely travel from Tel Aviv to Beirut, Damascus, Baghdad, Isfahan, and other wonderful cities to extend cultural ties with the people living there, it would be pure bliss. In my wildest dreams, the Israeli government stops taxing its citizens, and levies a surcharge on the thousands of electric trains shuttling every day between Asia and Africa instead (religious pilgrims to Israel, Medina, Mecca, and so on, would enjoy the same discount rate as students).
But living in Israel is a near impossible dream, so I have to fulfill my “calling” in Italy. Being Jewish means being acutely aware of the “minority stress” and of the dire predicament all minorities are in (the Shoah is a constant reminder). So, not only do I (culturally and politically) fight antisemitism, but also sexism, homophobia (most friends of mine are gay), biphobia (my wife is bisexual), transphobia, islamophobia, xenophobia, ziganophobia, religious and racial hatred. A precious thing I’ve learned from the Jewish philosopher Judith Butler is that most identities usually “naturalized” are actually social constructions (even God is a social construct, according to the midrash, “When you are my witnesses, I am God; and when you are not my witnesses, I am, as it were, not the Lord”).
So, most identities cannot claim any privilege, because they are just performances we keep rehearsing. Humanistic Judaism, which forgoes circumcision, and requires positive, continual self-identification instead, is the best example I know of.
And Jewish philosophers like Emanuel Lévinas and Jacques Derrida have convincingly taught about our duty towards the Other and the Ethics of Hospitality. The interpretation mainstream Judaism (and even the founder of Christianity – read Mt 10:11-15 and Lk 10:5-12) has always maintained about the tale of Sodom and Gomorrah is that their inhabitants’ sin was lack of hospitality and cruelty towards strangers, not sexual impropriety – anal rape was part of a mobbing strategy against poor foreigners (Lot and his family were tolerated because they were well-off), not a lustful behavior.
Alas, most developed countries have got a crush with the “midat Sdom”, or better, the “mitat Sdom”. I and my (Christian) wife are doing our best to help needy foreigners, by ourselves or through a Christian church, and even through an LGBT association (which strove to help migrant gay people to get political asylum – the first time I met my wife was there).
No culture grows in isolation: they are webs of relationships among persons, peoples, and other cultures. If cultures were drawn on a map, the frontiers would be no less interesting than the capital cities, the smugglers’ trails no less interesting than the high-speed railways – this is something I have learnt at university (I have a degree in psychology, and the subject I loved most was cultural anthropology – one of the many fields Jews have excelled in), while studying diversity in Judaism, learning about the interesting endeavor of Lazar Ludwik Zamenhof to create Esperanto, a vehicular language for the whole world, devised to express not just the core of a culture, but to relate peoples and cultures to each other, and while coming to terms with my wife’s bisexuality. 
Bisexual people live at the boundary of different identities and negotiate among different desires – their hybridity takes a toll in terms of physical and mental health, not to speak of social status and opportunities, but it is a gift Diaspora Jews have been living with for millennia, and Humanistic Jews like me want to continue this noble tradition.
Ecco la traduzione [con delle spiegazioni tra parentesi quadre]:
Ammetto che lo Stato d’Israele mi ha stregato, e vorrei viverci, ma ad ovest della Linea Verde [quella che divide il territorio già israeliano prima del 5 Giugno 1967 da quello occupato nella Guerra dei Sei Giorni successivi]. Se fossi cittadino israeliano mi adopererei perché tutti avessero eguali diritti (indipendentemente dal sesso/genere, dalla religione, dall’etnia, dall’identità sessuale, dalla lingua madre, dall’identità culturale, eccetera), per la democrazia politica, la giustizia sociale, la protezione dell’ambiente, e la pace con i palestinesi ed il resto del mondo. Mi piacerebbe inoltre approfittare del fatto che Israele è un incrocio di culture (non solo di tradizioni ebraiche) per aiutarle a fiorire e ad incrociarsi.
Se potessi viaggiare liberamente da Tel Aviv a Beirut, Damasco, Baghdad, Isfahan, ed altre meravigliose città per stabilire legami culturali con le persone che ci vivono, sarebbe per me perfetta letizia. Nei miei sogni più audaci, il governo israeliano smette di tassare i suoi cittadini ed impone invece una sovrattassa sulle migliaia di treni elettrici che ogni giorno fanno la spola tra l’Asia e l’Africa (i pellegrini per motivi religiosi in Israele, la Medina, la Mecca, eccetera, pagherebbero la tassa con lo stesso sconto degli studenti).
Ma vivere in Israele è un sogno quasi impossibile, così devo realizzare la mia “vocazione” in Italia. Essere ebreo significa essere acutamente cosciente dello “stress da minoranza” e delle dure condizioni di vita di ogni minoranza (la Shoah non fa che ricordarcelo). Perciò, non soltanto lotto (culturalmente e politicamente) contro l’antisemitismo, ma anche contro il sessismo, l’omofobia (la maggior parte dei miei amici sono gay), la bifobia (mia moglie è bisessuale), la transfobia, l’islamofobia, la xenofobia, la ziganofobia (l’odio per i rom), l’odio religioso e razziale. Una cosa importante che ho imparato dalla filosofa ebrea Judith Butler è che la maggior parte delle identità che sono normalmente “naturalizzate” [ritenute date per natura] sono in realtà costruzioni sociali (anche Dio è un costrutto sociale, a dar retta al midrash [insegnamento tradizionale]: “Quando siete miei testimoni, sono il vostro Dio; quando non lo siete, per così dire, non sono il vostro Dio”).
Perciò, la maggior parte delle identità non può rivendicare alcun privilegio, in quanto sono solo recite che continuiamo a replicare. L’ebraismo umanista, che fa a meno della circoncisione, e richiede invece un’autoidentificazione esplicita e continua, ne è il miglior esempio che io conosca.
E filosofi ebrei come Emmanuel Lévinas e Jacques Derrida hanno insegnato e convinto sul nostro dovere verso l’Altro e sull’Etica dell’Ospitalità. L’interpretazione che il filone principale dell’ebraismo (e perfino il fondatore del cristianesimo – leggi Mt 10:11-15 e Lc 10:5-12) hanno sempre sostenuto sul racconto di Sodoma e Gomorra è che il peccato dei loro abitanti fu la mancanza di ospitalità e la crudeltà verso gli stranieri, non l’immoralità sessuale – lo stupro anale era parte di una strategia di mobbing contro gli stranieri poveri (Lot e la sua famiglia venivano tollerati perché benestanti), non un comportamento libidinoso.
Purtroppo, la maggior parte dei paesi sviluppati ora si è presa una cotta per le “maniere di Sodoma”, o meglio, per il “letto di Sodoma” [in ebraico c’è un gioco di parole intraducibile; il “letto di Sodoma”, come il “letto di Procuste” della mitologia greca, era un letto a cui venivano incatenati gli stranieri – se più lunghi del letto, gli si mozzavano le gambe; se più corti, gliele si tirava con forza]. Io e mia moglie stiamo facendo del nostro meglio per aiutare gli stranieri bisognosi, da soli od attraverso una chiesa cristiana, ed anche attraverso un’associazione LGBT (che cercava di aiutare i migranti gay ad ottenere asilo politico – mia moglie l’ho incontrata lì per la prima volta).
Nessuna cultura cresce isolata: esse sono reti di relazioni tra persone, popoli ed altre culture. Se si disegnassero le culture su una mappa, le frontiere non sarebbero meno interessanti delle capitali, i sentieri dei contrabbandieri non meno interessanti delle ferrovie ad alta velocità – è una cosa che ho imparato all’università (ho una laurea in psicologia, e la materia che mi piaceva di più era l’antropologia culturale – uno dei molti campi in cui hanno eccelso gli ebrei), mentre studiavo le diversità all’interno dell’ebraismo, imparavo qualcosa sul tentativo interessante di Lazar Ludwik Zamenhof di creare l'Esperanto, una lingua veicolare per il mondo intero, congegnata per esprimere non il nocciolo di una cultura, ma per mettere in relazione tra loro popoli e culture, e venendo a patti con la bisessualità di mia moglie.
Le persone bisessuali vivono al confine tra diverse identità e negoziano tra diversi desideri – la loro condizione ibrida paga uno scotto in termini di salute fisica e mentale, per non parlare di status sociale ed opportunità, ma è un dono con cui gli ebrei della Diaspora hanno vissuto per millenni, e gli ebrei umanisti come me vogliono continuare questa nobile tradizione.
Dovrei ora riprendere in mano la chavurà (gruppo di studio) Non è in cielo, ma ammetto di aver poco tempo per questo.

Raffaele Yona Ladu

martedì 20 gennaio 2015

Transizioni librarie









Questo post non sarebbe di argomento ebraico, però esistono due importanti principi meta-halakhici (che cioè modulano l'interpretazione della legge religiosa ebraica) chiamati kavod ha-beriot ("onore alle creature", pressappoco equivalente alla "dignità umana") e derekh eretz ("la via del paese", ovvero il rispetto delle leggi e degli usi del luogo) che entrano in gioco in questo caso.

Nella pubblicazione LGBT [1], ad onta delle proteste delle persone trans, la biografia di un uomo trans FtM è stata riscritta cambiando tutte le forme grammaticali da maschili a femminili, aderendo così ad una visione cissessista della grammatica italiana.

Era veramente necessaria quest'operazione? Io non faccio il grammatico, ma nella mia vita ho fatto anche il bibliotecario dilettante per l'Arcigay di Verona.

Ho scelto il nome della biblioteca [2] ("Oberon, the Library of the Fairies", in quanto Oberon, personaggio del "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare, è lì presentato come "the king of the fairies", e "fairy" in inglese non vuol dire solo "fatina", ma anche "frocetta"), ho iscritto per qualche tempo lei e me stesso all'AIB [3], e mi sono studiato le REICAT [4], nonché il libro [5].

Un bibliotecario è un cultore dell'ontologia, in quanto il modo in cui classifica le risorse bibliotecarie rispecchia la sua visione della realtà, e le REICAT sono a loro modo un manuale di metafisica.

Le REICAT non affrontano esplicitamente il tema della transizione di sesso e/o genere, però il capitolo 15. Intestazioni uniformi per le persone, pp. 260-277 del PDF [4], affronta il caso più generale della persona che usi od abbia usato più di un nome nella propria vita, o sia nota con più nomi, magari in diverse forme.

Il sottocaso che ci interessa di più è quello normato da queste due regole (p. 262 di [4]):
15.1.2. Cambiamento di nome

15.1.2.1. Ultimo nome usato

Se una persona abbandona un nome per adottarne un altro, o lo modifica, si preferisce la forma usata per ultima nelle edizioni delle sue opere, anche se non è quella prevalente.

In caso di dubbio tra un deliberato cambiamento di nome e l’uso contemporaneo o saltuario di più nomi o forme del nome si adotta la forma prevalente.

(...)

15.1.2.2. Sovrani, papi e capi di gruppi religiosi

Per i sovrani e i papi o capi di altri gruppi religiosi si adotta il nome con cui sono identificati a seguito della dignità politica o religiosa che hanno assunto, secondo le norme seguenti.

(...)
Quindi, se il nostro trans FtM avesse scritto un libro o girato un film od inciso un disco, anziché rendersi reo di omicidio, il bibliotecario non avrebbe avuto scelta: avrebbe dovuto catalogare la sua opera dell'ingegno con il suo nome maschile anziché femminile - ed adeguare il genere grammaticale al genere del nome.

Ho voluto menzionare anche la regola dei monarchi perché mi è venuto in mente il libro [6], il cui titolo significa "L'uomo che vorrebbe essere una regina", e che ha tanto infuriato la comunità trans americana da farle iniziare l'inchiesta [7] sul modo non etico in cui l'autore aveva condotto la sua ricerca, inchiesta che è terminata con le dimissioni di J. Michael Bailey dalla carica di Direttore del Dipartimento di Psicologia della Northwestern Unviersity (un lungo scritto in difesa di J. Michael Bailey lo potete invece leggere in [8]). 

C'è una cosa che accomuna i monarchi alle persone trans: esiste un momento della vita, chiamato transizione od incoronazione, in cui cambiano nome, ed il nuovo nome non è soltanto un impegno per il futuro, ma anche la chiave per reinterpretare il loro passato.

E questo vale non solo nel caso della monarchia ereditaria (in cui già alla nascita si sa che una persona regnerà), ma anche della monarchia elettiva (di cui l'esempio più noto è il Vaticano), in cui lo stesso nuovo sovrano può essere sorpreso della sua proclamazione.

Eppure la regalità trasforma la persona che l'assume - tutto il suo passato ne viene riqualificato; quando nel 2005 Joseph Ratzinger divenne Benedictus XVI, divenne giocoforza modificare le "schede d'autorità" con cui si identificano gli autori nei cataloghi delle biblioteche sostituendo il primo nome con il secondo (ed aggiungendo un rimando per chi volesse continuare a cercare i libri di Joseph Ratzinger), e questo valeva per tutte le biblioteche, anche quelle che del porporato avessero avuto solo i compiti a casa delle elementari.

Non farlo non sarebbe stato solo una dimostrazione di pigrizia - avrebbe potuto costituire lesa maestà, se compiuto nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Una persona trans è sovrana di se stessa (come anche le persone cis), ed ignorare la transizione quando si sceglie il genere con cui interpellarla o nominarla significa violare tale sua sovranità (o meglio, autodeterminazione). Non è necessario attendere la conclusione della procedura legale per farlo - perché la persona trans viene sostenuta anche dalla regola REICAT che vale per le persone comuni: chi adotta un nuovo nome, con quello va interpellato e nominato.

Raffaele Yona Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale

domenica 30 novembre 2014

Jonathan Sacks ad Humanum



[3] Sexual Reproduction One Billion Years Ago

L'articolo [1] copia, censurando alcune immagini ardite agli occhi dei redattori di Kolot, [2], in cui Jonathan Sacks, rabbino capo emerito (ortodosso) dell'Impero Britannico ha voluto spiegare la posizione ebraica tradizionale sul matrimonio, e l'importanza che gli ebrei danno alla famiglia.

C'è un errore scientifico in quello che dice: il far risalire la riproduzione sessuata ad una coppia di pesci fossili rinvenuta in Scozia, e vissuta 385 milioni di anni fa. Saranno stati i primi vertebrati "colti in flagrante", ma la riproduzione sessuata è attestata da ben più tempo, come mostra [3].

Tornando dalla scienza all'ebraismo, tutto il discorso che fa è molto interessante, ma ci sono alcune cose che distinguono il discorso di rav Sacks da quelli che fanno i ciellini che lo hanno ospitato (non integralmente - cosa c'era nelle parti omesse?).

La prima è che il racconto della creazione non viene inteso qui come la prescrizione di una complementarietà necessaria nel disegno divino tra uomo e donna: quando Sacks parla della complementarietà dei sessi, egli cita soltanto il filone maggioritario delle scienze biologiche attuali, e non la tradizione ebraica.

Poiché le scienze sono in evoluzione, è possibile che un rabbino del futuro, nemmeno troppo lontano, debba ritrattare almeno parzialmente il discorso - rav Sacks non ha impegnato la tradizione ebraica, ma solo le scienze, ed i suoi successori (che non hanno comunque alcun dovere di dargli ragione) sono perciò liberi di dire: "Avevamo frainteso".

Invece la chiesa cattolica ci ha impegnato la sua pretesa di infallibilità.

Un'altra cosa interessante è il concetto di "berit = patto"; non sono del tutto d'accordo con quello che dice rav Sacks, ma è notevole il fatto che qualsiasi rapporto interumano basato sulla "emunah = fides" si qualifichi come tale; si può privilegiare la coppia eterosessuale, ma essa non squalifica gli altri rapporti tra persone.

Nel caso dei rapporti intimi tra più di due persone, Sacks parla di adulterio, ma il poliamore è un'altra cosa. Si può obbiettare a Sacks quello che i da me criticati Rafael Castro e John McNeill obiettano all'opinione tradizionale sull'omosessualità maschile: la Bibbia ebraica si oppone ai rapporti intimi che avevano corso all'epoca in cui fu scritta, caratterizzati dalla diseguaglianza e dall'oppressione, non a cose inconcepibili allora come le coppie omosessuali stabili.

Inutile dire che non condivido il rammarico di Sacks per l'affermarsi della concezione liberale per cui quello che non nuoce non c'è motivo di proibirlo. Sacks non si rende conto che essa non è che il risvolto della legge della reciprocità che egli loda tanto, in quanto ebraica e cross-culturale.

Se tu non devi fare agli altri quello che non vuoi si faccia a te stesso (bShabbat 31a), gli altri non devono impedirti di fare quello che a loro non fa danno.

Raffaele Yona Ladu


martedì 4 novembre 2014

Churchmaker


[2] Humanum


Il blog cattolico LGBT americano New Ways Ministry pubblica il preoccupato articolo [1], in cui si annuncia per il 17-19 Novembre 2014 una Conferenza in Vaticano sulla “complementarietà nel matrimonio”, organizzata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, il Pontificio Consiglio per la Famiglia, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani - [2] è il suo sito web.

La preoccupazione del blog è che il convegno voglia sigillare le aperture che si sono avute nel Sinodo, mostrando che, se la chiesa cattolica è divisa, le altre chiese e religioni non lo sono.

Io vedo una minaccia più grave: verranno invitate chiese cristiane LGBT-friendly (come l’United Church of Christ, che fece causa allo stato del North Carolina, perché riteneva il divieto di matrimonio omosessuale una lesione della propria libertà religiosa)? O le denominazioni ebraiche (vi accenno qui) che non solo celebrano matrimoni omosessuali, ma ordinano anche rabbine e rabbini omosessuali e transgender? E, qualora invitate, saranno franche o diplomatiche?

Il rischio non è soltanto che vengano ristretti gli spazi per le persone LGBT all’interno della chiesa cattolica, ma che si cerchi di dare ad intendere che le confessioni religiose omofile siano delle piccole minoranze, che non infirmano sostanzialmente il consenso che ci sarebbe a questo proposito a livello ecumenico ed interreligioso.

E questo autorizzerebbe una stretta nell'ecumenismo e nel dialogo: se una comunità religiosa vuole stabilire dei rapporti con il Vaticano, dovrà professare che il matrimonio può essere solo tra un uomo cisgender eterosessuale ed una donna cisgender eterosessuale (sono contento che il mio matrimonio esca da questa definizione) - altrimenti verrà snobbata, indipendentemente dal numero dei suoi fedeli, e dalla qualità della sua teologia e del suo impegno per la promozione umana.

In [3] avevo detto che l’omofobia sarebbe stata la campana a morto dell’ecumenismo e del dialogo; devo dire che il Vaticano si sta dimostrando più sofisticato di come temevo: non pretende più di essere l’unica vera religione, ma vuole stabilire i criteri con cui riconoscere una religione sinceramente ispirata da Dio.

L’ecumenismo ed il dialogo non vengono chiusi, ma portati avanti alle sue condizioni; da “the one and only Church”, la chiesa cattolica vuol diventare la “Churchmaker”.

Gramsci avrebbe molto da dire in proposito, in quanto la Chiesa mostra di essere passata dalla pretesa di dominare le coscienze delle persone, al tentativo di stabilire su di loro l’egemonia.

Bisogna chiedersi se è opportuno lasciarglielo fare - il rischio è, oltretutto, che si crei una mentalità, anche tra i giuristi di professione, per cui una comunità religiosa LGBT-friendly vale meno di una omofoba, perché le manca il riconoscimento del Vaticano, ed un'eventuale azione legale contro una legge che leda (incidentalmente o deliberatamente) la sua libertà religiosa, non va presa sul serio, perché non le si riconosce un afflato religioso.

Raffaele Yona Ladu