Nathan Bonnì, l'autore di [1], mi ha insegnato molto, e mi sento obbligato perciò a motivare il parziale dissenso da questo suo scritto. Preciso che la questione è complicata per entrambi, sia per me che per lui, e quindi probabilmente questo post verrà modificato più e più volte in questi giorni.
La motivazione principale del dissenso è questa: ritengo che ognun* possa (s)vestirsi come vuole (sono naturista), e pertanto ritengo inaccettabile vietare il "burqini" e tutte le forme di velo islamico. Nathan Bonnì non lo vuole vietare (ha tenuto a precisarlo), ma lo ritiene un simbolo di regresso culturale da contrastare.
Nathan fa un paragone interessante: le donne mussulmane che indossano i veli più coprenti lo fanno per libera scelta esattamente come per libera scelta le ragazze siciliane di qualche decennio fa arrivavano vergini al matrimonio. Ovvero, tecnicamente, sono loro a volerlo; di fatto, questa scelta è frutto delle pesanti imposizioni sociali che subiscono.
Il paragone ignora che in un paese come l'Italia e la Francia, le pressioni sociali contro il velo islamico sono molto forti, e penso che ci voglia più coraggio ad indossarlo che a deporlo. Ma, anche se indossare questo tipo di velo fosse frutto di imposizione (non credo, perché mi capita di vedere per strada donne adulte velate in compagnia di altre donne non velate - se le velate fossero vittime del maschilismo, i loro uomini cercherebbero di impedire alle velate di incontrare delle non velate che potrebbero metter loro strane idee in testa; inoltre, talvolta velate e non velate che passeggiano insieme si assomigliano, il che mi fa pensare che appartengano alla medesima famiglia, che ha probabilmente deciso di lasciar libera scelta alle sue donne), non è proibendolo che si risolve il problema.
Proibirlo significa cercare di risolvere un problema sociale (ammesso che ci sia) colpendo le vittime anzichè i colpevoli. Tornando al paragone con le ragazze siciliane socialmente obbligate ad arrivare vergini al matrimonio, proibire il burkini è come multare le ragazze che al matrimonio arrivano vergini.
L'assurdità mi pare evidente, così come era assurdo che venissero in passato multati gli sposi che vergini al matrimonio non ci arrivavano [2]. Se vogliamo incoraggiare le ragazze ad avere una vita sessuale più libera, occorre innanzitutto metterle in condizione di mantenersi da sole, poi fornir loro i mezzi per evitare gravidanze indesiderate e malattie a trasmissione sessuale, e l'istruzione che ci vuole a far buon uso di tutto questo.
La sanzione penale non va rivolta contro le ragazze che continuano a vivere alla maniera delle loro ave, ma contro chi minaccia le ragazze troppo libere per i suoi gusti - e non ci si deve illudere che basti da sola.
Abbiamo paura che le donne mussulmane immigrate in Italia siano sottomesse ai loro familiari maschi? Dubito che sia vero, perché le donne mussulmane che ho avuto modo di incontrare finora sono capaci di mangiare i fagioli in testa a qualsiasi uomo, ed hanno parole di fuoco contro i regimi arabi e l'islam più bigotto; ma questo sarebbe il modo di liberarle, non multare coloro che indossano un velo molto coprente.
Per quanto riguarda il postulato che "tutto ciò che è binario è oppressivo", esso mi trova d'accordo; ma è anche vero che prendersela con il solo burqa espone all'obiezione: "Perché non vieti anche le gonne?" Direi che è meglio scegliere un altro fronte per iniziare l'attacco contro il binarismo.
Nathan Bonnì si chiede perchè mai non cerchiamo di liberare dall'oppressione le vittime dell'islam politico. Innanzitutto, va precisato che l'islam non può evitare di avere un'espressione politica, e che quest'espressione non è univoca.
Quello che possiamo fare è solo impedire che questa espressione politica (non necessariamente autoritaria) violi i diritti umani delle persone. Nei paesi occidentali i mezzi ci sono; all'estero ci sono dei seri limiti alla nostra azione, e quando si è cercato di violarli, per esempio andando a combattere in Iraq e Libia, non si è portata la libertà ma il caos. Prudenza ed autocritica mi paiono ora di rigore.
Non apprezzo molto questo paragrafo:
E’ facile, se si è radical chic e si vive in centro, anche provenendo da percorsi di femminismo anni settanta, rivendicare una moschea in un quartiere periferico, lontano dalla loro casa, dove si auspica che la “comunità musulmana” trovi un suo polo (ovvero, un ghetto). E’ facile e e fa chic dire che si vuole la moschea a Milano ma disinteressarsi completamente di come poter creare una coabitazione rispettosa ed inclusiva tra le persone LGBT (e le donne emancipate) che abitano la periferia (e sono tantissime) e l’immigrazione musulmana (che, se raccolta in un ghetto, non aiuterà di certo le donne ad usufruire dei progressi della modernità).
Io ho aiutato alcuni mussulmani LGBT ad ottenere asilo in Italia, e mi sono ferocemente opposto a tutti i tentativi del sindaco di Verona Flavio Tosi di chiudere la moschea di Verona. Conosco alcuni degli imam (sono in tutto nove) di quella moschea, e pur sapendo che non la pensano come me sulle questioni LGBT, ho un discreto rapporto con loro.
Abito a Zevio, comune che confina con San Giovanni Lupatoto, comune nel quale l'UCOII vuole creare una scuola per imam di livello nazionale - ed ho chiesto gentilmente alla segreteria della moschea di Verona di tenermi informato sul progetto e su quando terranno dei corsi anche per non mussulmani (mi hanno detto che sono previsti, anche se non c'è ancora un calendario).
Nathan non parlava certo di me; infatti di me si possono dire molte cose, ma non che voglio i mussulmani ovunque tranne che vicino a casa mia; ritengo una moschea utile a loro, non solo come luogo di preghiera, ma anche per meglio integrare i mussulmani immigrati in Italia.
Mia moglie è valdese, e la chiesa valdese di Verona fa un grosso sforzo per aiutare i suoi membri di origine africana ad integrarsi - così come lo fa la moschea di Verona; non vedo perché va considerato positivo questo lavoro se lo fa una chiesa cristiana, e negativo se lo fa una comunità mussulmana. Non vedo segni di "(auto)ghettizzazione" a Verona.
Uno pensa: "Ma i valdesi hanno le donne pastore, sono LGBT-friendly, ecc.". Vero, ma gli stessi valdesi ricordano che, se nel Medioevo Pietro Valdo aveva affidato anche alle donne la predicazione, le successive persecuzioni e l'adesione al calvinismo (1547) portarono alla loro estromissione - solo negli anni '60 si è consentito alle donne valdesi di aspirare al pastorato, e la pastora Letizia Tomassone ha osservato che quello che era successo alle donne valdesi (che peggiorarono il loro status a seguito delle persecuzioni) era successo anche alle prime cristiane, che videro il loro ruolo nelle chiese ridursi via via che tali chiese dovevano affrontare una persecuzione sempre più grave.
Forse è meglio evitare di mettere i mussulmani in Italia in una condizione simile - anche perché, se non esiste una moschea pubblica, retta da un'associazione regolarmente costituita, con dirigenti eletti dall'assemblea dei fedeli, imam che hanno potuto e dovuto mostrare il loro curriculum per essere assunti, e bilanci pubblicamente verificabili, nasceranno moschee clandestine, con fonti di finanziamento incontrollabili, imam più fanatici che colti, e responsabili pronti a darsi alla macchia al primo problema.
Inoltre, ci sono molti valdesi omofobi, e convincerli che essere LGBT non è una maledizione (Romani 1:18-32) non è per niente facile (complice, tra l'altro, un editore cattolico che, di tutta la monumentale "Dogmatica ecclesiale" di Karl Barth ha tradotto in italiano i passi per lui più interessanti, tra cui i più omofobi). Mia moglie sta dando il suo contributo mostrandosi una brava e caritatevole cristiana bisessuale, procurandosi anche le simpatie di molte persone anti-LGBT.
È un lavoro lungo, ma non conosciamo scorciatoie. Anche con molti mussulmani (e prima ancora con molti cattolici) si dovrà fare altrettanto. Non esistono comunità religiose esenti da questo problema - sono ebre*, e so quanto frastagliato è il mondo ebraico su questa questione.
Raffaele Yona Ladu
Ebre* genderqueer.