giovedì 18 settembre 2014

Qui non si certifica

Sono il tesoriere di Lieviti, un'Associazione di Promozione Sociale dedicata alle persone bisessuali, e mi è stato chiesto se non sia il caso per la nostra associazione di distinguere i "veri bisessuali" dai "falsi bisessuali" - questi ultimi sarebbero quelli che si dichiarano bisessuali senza riconoscere in sé la potenzialità di essere attratti da più di un genere, e si dice che screditino la categoria.

Ricordo la definizione di bisessuale che abbiamo mutuato da Robyn Ochs:
Mi dichiaro bisessuale perché riconosco di avere in me la potenzialità di essere attratt* - romanticamente e/o sessualmente - da persone di più di un sesso e/o genere, non necessariamente nello stesso momento, non necessariamente nello stesso modo, e non necessariamente nello stesso grado.
L'idea di distinguere i "veri" dai "falsi" non mi piace per niente, e, poiché il quesito mi pare di carattere generale, preferisco dare una risposta pubblica; non la pubblico nel blog di Lieviti, ma in quello che cronaca la mia vita di persona che si identifica come ebreo, perché ha a che fare anche con la concezione che ho dell'identità ebraica.

Il motivo più ovvio per cui non è il caso di "certificare" l'orientamento sessuale di nessuno è che esso è un dato sensibile che, ai sensi del Codice in materia di protezione dei dati personali, va trattato con estremo rigore.

In particolare, è necessaria l'autorizzazione preventiva non solo del titolare, ma anche del Garante della Privacy per trattare un dato del genere; per averla occorre dimostrare che quel dato è fondamentale per l'associazione Lieviti, e che essa è in grado di mantenerlo correttamente aggiornato, e di difenderlo cifrando il database o mettendo gli incartamenti sotto chiave. Nemmeno gli addetti di Lieviti dovrebbero poter accedere abitualmente a codesto dato, ma chiedere volta per volta, e solo per necessità, i mezzi (informatici o fisici) per farlo.

Se Lieviti avesse le risorse finanziarie, tecniche ed umane per fare tutto questo, le userebbe per altri scopi; poiché inoltre essa accetta come socio chiunque sostenga la causa bisessuale, non può neanche raccontare che le è indispensabile conoscere l'orientamento sessuale dell'iscritto.

Inoltre, come si certifica un orientamento sessuale? Il sistema che sembra più oggettivo è quello di applicare al soggetto uno strumento (come il pletismografo penieno, detto anche fallometro, oppure vaginale) capace di misurare l'eccitazione sessuale quando gli si presentano immagini o filmati pornografici.

La procedura è estremamente criticabile già dal punto di vista della validità interna - ovvero, una reale situazione erotica è molto diversa da questa simulazione di laboratorio; ma quello che taglia la testa al toro è questo pronunciamento della Procuratora Generale presso la Corte di Giustizia dell'Unione Europea Eleanor Sharpton, che il 17 Luglio 2014 ha affermato (traduzione dall'inglese; i grassetti sono nell'originale, i corsivi li ho aggiunti io traducendo):
Nel suo Parere di oggi, la Procuratora Generale Eleanor Sharpston indica che, dacché l'omosessualità non è ritenuta una condizione medica, ed in mancanza di prove documentarie a supporto (nella maggior parte dei casi, è improbabile averne), non c'è modo obiettivo di provare in modo definitivo l'asserito orientamento sessuale di una persona. L'autonomia personale è un elemento importante del diritto alla vita privata protetto dalla Carta Europea dei Diritti Fondamentali, ed un individuo ha perciò il diritto di definire la sua propria sessualità. Questo significa che l'orientamento sessuale asserito da un individuo dovrebbe sempre costituire il punto di partenza di ogni valutazione. Però, la necessità di proteggere l'integrità del sistema di asilo e di identificare le richieste truffaldine in modo da poter assistere chi ha davvero bisogno di protezione significa che gli Stati Membri devono avere la facoltà, secondo la Direttiva sulla Qualificazione, di esaminare tale dichiarazione. 
La Procuratora Generale Sharpston rimarca che nulla si può chiedere ai richiedenti che leda la loro dignità umana od integrità personale. L'assenza nella Direttiva sulla Qualificazione di una guida esplicita per gli Stati Membri che compiono una valutazione della credibilità non significa che possono agire senza tener conto dei principi supremi espressi nella Carta dei Diritti Fondamentali. Il diritto all'integrità fisica e mentale ed alla vita privata sono violati dall'uso di metodi di natura intrusiva ed umiliante come test medici o pseudo-medici come la fallometria. Anche le domande indiscrete violano questi diritti. Queste domande comprendono non solo il richiedere prove fotografiche e video di pratiche sessuali, ma anche l'incoraggiare e l'accettare la sottomissione di tal materiale come prova. 
La Procuratora Generale dubita inoltre del valore probatorio di codesti metodi nel distinguere tra richiedenti genuini e truffaldini. Non si dovrebbero usare esami medici, in quanto l'omosessualità non è una condizione medica riconosciuta, e gli esami pseudomedici non possono stabilire l'orientamento sessuale. Le risposte del richiedente a domande esplicite non possono essere mai definitive, ed in ogni caso le risposte 'giuste' possono anche essere inventate. Anche prove come foto e video personali possono essere taroccate. Dacché è, infatti, impossibile provare l'orientamento sessuale, ella ritiene che delle tecniche di valutazione che cercano di farlo non dovrebbero far parte del processo di valutazione delle richieste di asilo. 
Anche quando il richiedente asilo acconsente a tali test, interrogatori, od a fornire prove esplicite, la Procuratora Generale Sharpston ritiene che questo violerebbe comunque i suoi diritti fondamentali. Il consenso non può riparare a queste violazioni, e non accrescerebbe il valore probatorio di alcuna prova così ottenuta. Data la posizione vulnerabile in cui si trovano i richiedenti asilo, è discutibile pure se questo consenso sarebbe pienamente libero ed informato. 
La Procuratora Generale abbraccia l'opinione che tali esami intrusivi sopra descritti sono inoltre basati su assunti stereotipici sul comportamento omosessuale, che vanno contro l'esame individuale richiesto dalla Direttiva sulla Qualificazione.
In linguaggio psicologico, la Procuratora Sharpton ritiene che la validità di costrutto della procedura sia semplicemente folkloristica: non c'è alcuna relazione tra quello che misura e quello che pretende di scoprire. Non riusciremo mai a convincere nessuno che misurare l'orientamento sessuale con questi mezzi sia una cosa diversa dalla molestia sessuale.

Ovviamente, se la Sharpton parla di omosessualità, quello che dice vale anche per la bisessualità; ed è interessante riportare anche il seguito del suo parere legale, che lo conclude:
Piuttosto che ricorrere a simili test, la Procuratora Generale Sharpston ritiene che la valutazione per stabilire se concedere lo status di rifugiato dovrebbe invece focalizzarsi sul se è credibile il richiedente. Questo significa considerare se il suo racconto è plausibile e coerente. 
A questo proposito, la Procuratora Generale rimarca che la procedura d'asilo è una forma di cooperazione, non di processo. Non tocca né alle autorità smentire le affermazioni del richiedente asilo, né a lui provarle, ma semmai alle due parti tocca lavorare per uno scopo comune. Perciò ella ritiene importante che il funzionario che prende la decisione abbia o visto il comportamento del richiedente quando racconta la sua storia (cosa preferibile), o perlomeno abbia un rapporto completo che comprenda quest'informazione. Ella inoltre raccomanda che, per ottemperare al principio che ogni persona ha diritto ad essere udita prima che si prenda una decisione che le nuoccia, i richiedenti asilo dovrebbero avere un'opportunità di rispondere ad ogni problema specifico a proposito della credibilità della loro storia che emerga durante la procedura prima di prendere una decisione definitiva.
In una parola: non c'è modo di certificare alcun orientamento sessuale senza violare i diritti fondamentali delle persone. Ci sono già abbastanza persone che conculcano i diritti delle minoranze sessuali, ci rifiutiamo di aggiungerci a loro.

Usciamo ora dal campo delle minoranze sessuali ed entriamo in quello molto più spinoso dell'identità ebraica.

Conoscevo un signore che voleva convertirsi all'ebraismo ortodosso; come il movimento LGBT ha i suoi alleati (sono uno di quelli, a meno che io non decida di transizionare da maschio etero cis a donna lesbica trans), così le comunità ebraiche hanno i loro shabbos goyim.

Questo signore un giorno mi riferì che il rabbino locale aveva concluso che lui aveva la neshamà (yehudit) = anima (ebraica); ovverosia, Dio lo aveva fatto nascere in una famiglia gentile, ma gli aveva dato un'anima ebraica che gli faceva desiderare di riunirsi al popolo d'Israele e lo qualificava per farlo.

A questo sforzo per individuare un'essenza immateriale che distingue l'ebreo dal gentile (non molto innocente: come ricorda Gershom Scholem nella voce "Qabbalah" dell'Encyclopaedia Judaica, secondo lo Zohar l'anima dell'ebreo ha la sua fonte nel sitra di-kedusha = lato santo di Dio, quella del gentile nel sitra ahra = lato altro, quello malvagio) corrisponde lo sforzo di alcuni sciroccati (secondo il dizionario Garzanti, la parola romanesca viene da "scirocco"; ma non è che questa parola si sia incrociata con l'ebraico shikkor = sbronzo?) di individuare il "gene ebraico", come ho spiegato qui - non ripeto quello che ho dovuto scrivere in quella pagina, perché mi è bastato farlo una volta.

Per mia fortuna, c'è una molteplicità di definizioni di ebraicità, il cui numero fornisce già un antidoto alla tentazione di certificare un'identità sociale: la certificazione sposta il problema dalle singole persone alle autorità incaricate di fornirla, che si moltiplicano e rivaleggiano tra loro.

Un certificato di ebraicità (te'udat yahadut) vale perciò soltanto per coloro che riconoscono l'autorità che lo ha emesso; non capita spesso di esigere un certificato simile, ma all'ebreo ortodosso che va a far la spesa tocca sempre controllare sulle etichette dei cibi l'hechsher, ovvero il bollino che garantisce che l'hashgacha, l'autorità di certificazione da lui prediletta, abbia verificato che il prodotto è kasher.

Non è questo il momento di riassumere le regole alimentari ebraiche (chi vuole impararle può leggere questo libro), ma la kashrut non dipende solo dagli ingredienti e dalla preparazione, cioè da qualità obbiettive del cibo.

Ci sono delle norme che rendono difficile per un ebero mangiare cibi cotti da non ebrei - ed il loro scopo dichiarato è scoraggiare la familiarità tra ebrei e non ebrei, che potrebbe portare al temutissimo matrimonio interreligioso.

E, per il pane ed il vino, la kashrut dipende esplicitamente dallo stile di vita di chi li produce: l'ebreo osservante si guarda bene dal mangiare il pane e bere il vino prodotti da chi osservante non è. Anche se molti cattolici ora intendono l'eucarestia in senso inclusivo, essa non era nata con questo scopo.

La Corte Suprema d'Israele, che è costretta dalla mancata separazione tra stato e religione in Israele a sovraintendere anche al funzionamento dei tribunali religiosi, con una sentenza del 1990 ha dovuto vietare al Gran Rabbinato d'Israele di revocare la te'udat kashrut (brevetto di kashrut) ai locali in cui si esibiva la danzatrice del ventre Ilana Raskin: la Corte ha cercato di imporre al Rabbinato l'interpretazione per cui la kashrut è una proprietà dei soli alimenti serviti nel locale, non di tutto quello che accade nel locale.

Quella sentenza, pur giuridicamente vincolante, non ha però cambiato il modo di agire del rabbinato e di pensare della gente.

Infatti, fino a qualche tempo fa non era facile trovare in Israele dei locali in cui si celebrasse Silvester = il 31 Dicembre, e non è facile trovare nemmeno negli alberghi un albero di Natale, perché il locale che osasse fare queste cose perderebbe la certificazione rabbinica, e dovrebbe far causa per riaverla (sperando che il rabbinato abbia dichiarato il vero motivo, anziché cercare il pelo nell'uovo in cucina per coprirsi le spalle).

Ma la cosa più interessante è che l'hechsher viene apposto anche alle bottiglie d'acqua minerale ed alle bibite gassate - Bibbia alla mano, non è possibile che questi prodotti non siano kasher (dovrebbero essere diventati imbevibili); ma a mio avviso la posizione  più intelligente non è quella di chi ride di questo pleonasmo, ma quella di chi lo difende perché educa il pubblico a non comprare nulla che non sia stato approvato dall'autorità rabbinica.

Ovvero, riconosce che una certificazione nata per accertare qualità intrinseche di un cibo od una bevanda è ormai il pretesto per includere od escludere prodotti e persone da una parte della società ebraica, quella di cui l'autorità di certificazione coinvolta si proclama rappresentante (per fortuna, non ce n'è una sola); allo stesso modo, come già osservato, un certificato di ebraicità indica solo il giudizio che dà del titolare chi lo ha rilasciato.

Io mi rifiuto di portare questo modo di agire all'interno di Lieviti e del movimento bisessuale ed LGBT; il Talmud (bShevu'ot 39a) dic (in aramaico); "Kol Yisrael 'arevim zeh ba-zeh = Tutti gli ebrei garantiscono l'uno per l'altro" (la parola "caparra" viene dall'ebraico 'aravon, attraverso il greco ed il latino), ed identificandomi come ebreo ho accettato di portare il peso delle sciocchezze che fanno gli altri ebrei - ma non è un buon motivo per farle anch'io, anzi, è un motivo per cercare di impedirle!

Mi rifiuto anche di cercare in una persona espressioni della neshamà yehudit od il fenotipo corrispondente al gene ebraico, od ad un cluster di geni ebraici - se proprio è importante per me sapere se una persona è ebrea, la valuto secondo la mia propria definizione.

Sono iscritto alla Society for Humanistic Judaism e, come spiegato qui, essa proclama che:
Un ebreo è una persona che si identifica con la storia, la cultura ed il futuro del popolo ebraico.
Non c'è bisogno di circoncidersi per essere ebrei umanisti (cosa che semplifica la vita ai trans FtM che vogliano diventare tali, tantopiù che l'ebraismo umanista è LGBT-friendly), ma questo significa avere un'identità sociale a cui non corrisponde alcuna qualità riscontrabile nel corpo di una persona.

Si dice spesso che gli ebrei sono persone materiali, che interpretano letteralmente i comandamenti che andrebbero interpretati solo spiritualmente. Proviamo allora a leggere questa storia di Chassidim, diligentemente registrata dall'ebreo Martin Buber:
Quando il fondatore dell'ebraismo chassidico, il gran rabbino Israel Shem Tov (1698-1760), vedeva che una sventura minacciava gli ebrei, era sua abitudine andare in un certo luogo della foresta per meditare. Lì avrebbe acceso un fuoco, detto una preghiera speciale, il miracolo si sarebbe compiuto e la sventura evitata.
In seguito, quando il suo discepolo, il celeberrimo Maggid di Mezritch (1700?-1772), ebbe l'occasione di intercedere al cielo per lo stesso motivo, egli si sarebbe recato nella foresta ed avrebbe detto: "Signore dell'Universo, ascolta! Non so accendere il fuoco, ma sono ancora capace di dire la preghiera". Ed il miracolo si sarebbe ripetuto.
Ancora più tardi, il rabbino Moshe-Leib di Sasov (1745-1807), per salvare ancora una volta il suo popolo, sarebbe andato nella foresta a dire: "Non so accendere il fuoco. Non so la preghiera, ma conosco il posto, e questo deve bastare". Bastò, ed il miracolo fu compiuto.
Infine toccò al rabbino Israel di Ruzhin (1796-1850) sventare la sventura. Seduto nella sua poltrona, con la testa fra le mani, parlò a Dio: "Non so accendere il fuoco, non conosco la preghiera, e non posso nemmeno ritrovare il posto giusto nella foresta. Posso solo raccontare la storia, e questo deve bastare".
E bastò - perché Dio fece l'uomo perché amava le storie.
Confrontiamo la storiella con questo brano dell'ebrea Judith Butler, tradotto da pagina 191 di Gender Trouble:
In che sensi, allora, il genere è un atto? Come in altri drammi sociali rituali, l'azione del genere richiede un'esecuzione [performance] che è ripetuta. Questa ripetizione è allo stesso tempo un re-agire [reenactment] ed un ri-provare [reexperience] un insieme di significati già stabiliti socialmente; ed è la forma mondana e ritualizzata della loro legittimazione. Sebbene ci siano dei corpi individuali che agiscono questi significati diventando stilizzati in modi di genere, l'"azione" è un'azione pubblica. Ci sono dimensioni temporali e collettive in queste azioni, ed il loro carattere pubblico non è senza conseguenze; in  effetti, l'esecuzione è compiuta con lo scopo strategico di mantenere il genere nella sua struttura dicotomica [binary frame] - uno scopo che non si può attribuire ad un soggetto, ma, semmai, va inteso come fondatore e consolidatore del soggetto.
La performatività del genere di Judith Butler non è un'idea sua originale: è lo sviluppo di un filone del pensiero ebraico che trasforma l'obbiettivamente riscontrabile in socialmente costruito, e la progressione dei chassidim raccontati da Buber (amatissimo dalla Butler - vedi qui) mostra come degli atti materiali e rituali con il tempo diventino una semplice storia - non meno efficace di essi.

Tra l'altro, qual è la sventura più temuta da un ebreo ortodosso, quella che i quattro rabbini cercavano di evitare? Che un nuovo Bohdan Khmelnytsky (1595-1657) od Adolph Hitler stermini tutti gli ebrei? No, perché la profezia di Amos 9:7-8 viene interpretata come la garanzia che Israele pagherà ogni errore assai caro, ma non verrà sterminato (l'autore di Romani 11:26-29 non ha detto niente di nuovo).

La più grave sventura è l'assimilazione, ovvero, che gli ebrei comincino a comportarsi come i gentili e scompaia la differenza con loro - un problema eterno che si ripresenta ad ogni generazione.

E che scopo ha la performance di genere nel brano che ho citato della Butler? "Lo scopo strategico di mantenere il genere nella sua struttura dicotomica".

L'ebreo Jacques Derrida (1930-2004), che ho menzionato qui pur senza averlo mai letto, è considerato il capostipite dei decostruttori, ma credo che abbia avuto dei predecessori, che non hanno fatto sconti a nessuno.

Prendiamo ad esempio non l'ebraismo umanista (troppo facile!), ma quello ricostruzionista, fondato da Mordecai Kaplan (1881-1983), e la definizione di Dio che si trova nelle sue FAQ:
3. Qual è l'approccio a Dio dei ricostruzionisti?
Il ricostruzionismo, che propone una teologia religiosa umanistica, vede Dio come una potenza od un processo che opera attraverso la natura e gli esseri umani. È perciò nostro dovere portare la divinità nel mondo attraverso le nostre azioni, accrescendo pertanto la presenza di Dio nelle nostre vite fisiche, emotive, intellettuali e spirituali, come individui e come comunità di fede. Per esempio, invece di parlare di un Dio giusto, gentile, compassionevole, noi potremmo affermare che giustizia, gentilezza e compassione sono divine e noi ci impegniamo a vivere consapevolmente secondo questi valori. Avvicinarsi a Dio in questo modo ci consente di percepire il sacro nelle nostre vite quotidiane e di infondere nelle nostre interazioni un elemento del divino. Questa comprensione comunitaria di Dio coesiste con un'ampia varietà di credenze personali.
L'imitatio Dei prescritta all'ebreo (Levitico 19:2: "Siate santi, perché io, il SIGNORE vostro Dio, sono santo"), in quest'interpretazione ricostruzionista è quella di una copia senza originale, perché Dio, per i ricostruzionisti, non è una persona, cioè un ente dotato di volontà propria e capacità di agire.

Abbiamo trovato anche altrove la nozione di "copia senza originale"? Certo, nella teoria del genere di Judith Butler.

Uno può pensare che sono cose moderne, perché l'ebraismo ricostruzionista è nato negli anni '20 del '900; ma c'è un celeberrimo midrash che di secoli ne ha certo 15, che traduco da qui:
Voi siete miei testimoni, oracolo del Signore, ed io sono Dio (Isaia 43:12) [significa] Se voi siete miei testimoni, oracolo del Signore, io sono Dio, e se voi non siete i miei testimoni, per così dire, io non sono il Signore (Midrash Tehillim, commento al Salmo 123:1 - con paralleli in Pesiqta d'Rav Kahana e Mekhilta).
L'interpretazione più comune del midrash non è che Dio non esiste, ma che Dio fa la differenza soltanto attraverso di noi e se noi lo vogliamo (vedi qui per un approfondimento).

Ma è possibile interpretare il midrash anche in questo senso: non importa che Dio esista davvero; importa che gli ebrei si comportino come se Lui esistesse. Dio è "performativo" nel senso della Butler.

Il rabbino ortodosso e filosofo Marc-Alain Ouaknin, noto anche in Italia grazie ai suoi libri, ha dichiarato in un'intervista radiofonica di essere ateo, ma di credere all'autorità della Torà, che lui compendia nel comandamento di trattar bene lo straniero, perché gli ebrei furono stranieri nel paese d'Egitto.

Lui non crede in Dio, ma si comporta come se Lui avesse davvero scritto la Torà - e questo va bene sia al seminario rabbinico che lo ha formato ed ordinato, che alla comunità ebraica che lo ha assunto.

Sono stato criticato per un brano della voce Bisessualità dacché, poiché la tratta come identità (costruzione sociale) anziché come orientamento (caratteristica biologica), si espone all'obiezione che, a darle retta, se nessuno pensasse più alla bisessualità, essa cesserebbe di esistere.

Gli ebrei trattano forse meglio il loro Dio?

Se io mi rifiuto di certificare un orientamento sessuale è per tutti i motivi sopraelencati:
  • esige una cura del dato sproporzionata rispetto alla sua importanza;
  • lede la dignità umana di chi si sottopone alla certificazione;
  • non c'è modo di accertare l'orientamento in modo univoco;
  • convalida dei pregiudizi che devono essere invece aboliti;
  • va contro il mio atteggiamento verso una sofisticata identità sociale come quella ebraica;
  • va contro l'ontologia implicita nelle teorie queer, che rivela all'occhio attento una splendida origine ebraica.
Se ad uno non piacciono le teorie queer, non è certo l'etichettarle come "Made in Israel" che gliele farà apprezzare. Ma non potrà negare che hanno una profondità storica e filosofica insospettata.

Raffaele Yona Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale

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