sabato 4 aprile 2015

Teologia jahwista e sacerdotale

[1] Nel racconto di Adamo ed Eva c'è il mito dell'androgino di Platone?

[2] Ravasi: tante donne succubi della "dittatura dell'estetica"

[3] Papa: "Teoria gender espressione di frustrazione che cancella differenze"

Il sito Aleteia : Cercatori della Verità ha fatto una cosa meritoria pubblicando la pagina [1], in cui si cita un'opera del celeberrimo teologo Gianfranco Ravasi sui due racconti della creazione dell'uomo che si trovano nella Bibbia ebraica.

Nulla da eccepire, salvo un lontano ricordo di gioventù, quando lessi il brano che al medesimo argomento aveva dedicato il catechismo per adulti della CEI "Signore da chi andremo"; quel brano spiegava che i due racconti della creazione facevano capo a due diverse teologie, e dava la preferenza alla teologia più antica, quella jahwista, in quanto il gioco di parole che si trova in Genesi 2:23:
E l’uomo disse: Questa finalmente è osso delle mie ossa, e carne della mia carne; questa deve chiamarsi Iscià [donna], poichè da Ish [uomo] fu tratta [Traduzione Shadal 1858]. 
lasciava intendere che uomo e donna avevano la medesima essenza e pari dignità - quindi la ricorrente accusa che fin dal principio il pensiero ebraico prima e la teologia cristiana poi dichiaravano le donne inferiori e subalterne all'uomo era infondata.

Questo fu pubblicato nel 1981, quando la chiesa cattolica si sentiva messa all'angolo dal movimento femminista, e doveva dimostrare che la rivendicazione delle donne alla parità non le era estranea.

Ravasi ripete quest'esposizione, in due brani di [1]; nel primo è scritto:
la narrazione di Gen 2, (...) sarebbe una rappresentazione simbolica della comune qualità umana dei due, tant'è vero che essi avrebbero un nome identico, declinato al maschile ('ish) e al femminile ('ishsàh), 
e nel secondo:
per la Genesi “non è bene che l'uomo sia solo” (2, 18), mentre la realtà “molto buona/bella” è che esistano i due sessi (1,31), la cui identità non è una maledizione, bensì una benedizione divina (1,28).
Invece la teologia sacerdotale, quella del primo racconto, viene così riassunta da Ravasi:
Si noti che l'autore sacro (la tradizione cosiddetta “Sacerdotale” del VI secolo a.C.) non usa i due termini socio-psicologici 'ish (uomo) e 'ishshàh (donna), presenti e spiegati nell'altro racconto del capitolo 2 (v. 23), bensì quelli fisiologici di zakàr, che allude all'organo sessuale maschile (alla lettera: “puntuto”), e di neqebàh, che è il parallelo femminile (alla lettera: “forata”), facendo quindi esplicito riferimento alla sessualità maschile e femminile.
Poiché il genere è un concetto "socio-psicologico", a dar retta a Ravasi, i "due termini socio-psicologici 'ish (uomo) e 'ishshàh (donna)" indicano il genere dei membri della prima coppia umana, mentre "zakàr" e "neqebàh" indicano esplicitamente il loro sesso.

Questo anche se Adamo dice che Eva si chiama "ishshàh" perché fisicamente tratta dall'"ish" - che la parola biblica "tzela'" significhi in questo contesto "fianco" (come la intendono il più delle volte gli ebrei) oppure "costola" (come sempre la intendono i cristiani), è poco rilevante.

Ravasi sembra voler conciliare le due teologie - quella jahwista della sostanziale identità in quanto comune umanità dei due generi maschile e femminile, e quella sacerdotale dell'irriducibile differenza sessuale e complementarietà della coppia umana come immagine di Dio.

L'obbiettivo sembra emergere anche nel link [2], che termina con questo brano:
R. – Sì, questo è vero, noi non abbiamo voluto affrontare in maniera diretta il tema del gender, per due ragioni: prima di tutto, perché i nostri incontri sono molto limitati nel tempo e anche perché, secondo questo gruppo di donne, quando si affrontano alcuni temi specifici, ci si dimentica di costruire prima il quadro generale. E’ necessario prima riflettere in maniera sistematica sulla ricerca di un equilibrio tra uguaglianza e differenza. Perché, per esempio, in passato dominava il modello della subordinazione – la subordinazione della donna all’uomo – un modello secolare, che non ha ancora esaurito tutti i suoi effetti perversi. Si sta superando anche il modello della pura e semplice parità: la parità dei diritti, applicata meccanicamente, – le “quote rosa” – che pure è una conquista. Si cerca ormai di andare oltre anche quell’uguaglianza assoluta, che era alla base del gender, per proporre un nuovo modello, che forse è quello – io direi – della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza.
Parlare di "gender" non ha molto senso, per i motivi qui espressi, ma questa dichiarazione di Ravasi è molto più intelligente di molte che mi tocca leggere di questi tempi, e sarebbe un buon punto di partenza per un dialogo serio e non caricaturale.

Che la conciliazione sia non solo teoricamente attraente, ma anche opportuna praticamente, ce lo ha spiegato una mia amica ebrea ucraina in una conferenza pubblica (ne sono stati pubblicati i video [a] e [b]), che spiegava che in Russia nessuno pensa che ci siano mestieri maschili e mestieri femminili, perché durante il comunismo alle donne è stato fatto fare di tutto - anche sollevare pesi e lavorare in industrie chimiche con produzioni particolarmente dannose per la salute riproduttiva della donna.

La soluzione per me sarebbe stata quella di far sollevare i pesi alle gru (chiunque può azionarle) ed aumentare le misure di protezione nell'industria chimica (l'idea che il sesso maschile sia sacrificabile mi dà fastidio); per la mia amica era distinguere gli ambiti in cui la differenza sessuale era irrilevante da quelli in cui era essenziale - su questo potrei anche essere d'accordo, e conciliare così le due teologie.

Purtroppo, non tutti i cattolici sono capaci di tanto (e di quello che sa fare Ravasi), e si sentono obbligati a scegliere; se al momento della pubblicazione del catechismo "Signore da chi andremo" si dava la precedenza alla teologia jahwista, ora le persone che hanno adottato lo slogan della lotta all'"ideologia del gender" si dimostrano acritiche sostenitrici della teologia sacerdotale.

Mettiamo ora le cose in chiaro: che una persona possa decidere con un atto di volontà se essere maschio o femmina è una grande sciocchezza che nessuno cerca più di sostenere - certo non l'ebrea lesbica Judith Butler, a giudicare da questo brano pubblicato nel lontano 1993 e che mi sono premurato di tradurre, e non certo le associazioni di persone trans, che prima di proporre a psicologi, endocrinologi, chirurghi, avvocati e giudici una persona da far "transizionare" la valutano con molta attenzione.

Lo slogan "ideologia del gender", se va preso sul serio, non ha quindi come bersaglio le persone non eteronormative, esterne magari alla chiesa cattolica, bensì coloro che sostengono una teologia che non si rifà esclusivamente a quella sacerdotale. 

Giustamente Ravasi osserva che lo jahwista concepisce la donna come aiuto degno dell'uomo, con cui egli deve confrontarsi ("'ézer kenegdò") - non solo e non principalmente come partner sessuale; e se la sua osservazione secondo cui "ish" ed "ishshàh" rappresentano i generi, più che i sessi, è corretta (l'uso postbiblico sembra confermarla, anche se in ebraico contemporaneo si preferisce dire "gever" [letteralmente, "eroe"] anziché "ish"), questo significa che per lo jahwista è la società umana a stabilire i modi e le forme della cooperazione tra le persone, non l'anatomia (e la fisiologia) che tanto preoccupano il sacerdotale.

Ed il sacerdotale, nel suo racconto della creazione ed in altri brani del Pentateuco a lui attribuibili, codifica non solo l'irriducibile diversità, ma anche l'inferiorità della donna. La lotta tra gli epigoni delle teologie jahwista e sacerdotale ha per posta in gioco il ruolo della donna (paritario o subalterno, fisso o flessibile) nella chiesa e nella società.

E sembra proprio che la chiesa cattolica non sia più interessata a dimostrarsi sostenitrice della parità dei sessi e/o generi, ma voglia incasellarli in ruoli predefiniti; credo che il punto di svolta si possa rintracciare nella Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis, pubblicata il 22 Maggio 1994 da Giovanni Paolo 2°, che nega alle donne il sacramento dell'Ordine.

A lume di logica, dichiarare una singola persona priva della vocazione al sacerdozio non vuol dire dichiararla inferiore alle altre; quando però l'esclusione tocca un'intera categoria di persone, più della metà dei battezzati, non si può più sostenere che a tutte loro manca la vocazione intesa come chiamata individuale (è statisticamente improbabile) - occorre trovare una giustificazione metafisica per questo, e la presta una teologia simil-sacerdotale.

E quello che è peggio è che la metafisica non si accontenta di dire: "Questa è la nostra fede, la fede della Chiesa, e noi confidiamo in essa"; pretende di formulare un ragionamento valido in ogni tempo e luogo, e quello che poteva essere tollerabile come regola interna di una confessione religiosa diventa un'intollerabile interferenza nella vita sociale quando si pretende che il costume e la legislazione le si uniformino.

In teoria, le persone omosessuali e transessuali non mettono in discussione la differenza sessuale - nella misura in cui una persona desidera persone di un sesso ben determinato, oppure desidera avere il corpo di un sesso ben determinato, anche se diverso da quello attribuitole alla nascita, mostra di considerare la differenza sessuale fondamentale.

Vengono però attaccate in quanto mettono comunque in discussione la coerenza di corpo, genere e desiderio su cui (Judith Butler insegna) si basa l'eteronormatività: una coppia umana che sia l'immagine di Dio secondo gli esegeti cattolici (non quelli ebrei!) non si può costituire se manca codesta coerenza.

Più serio problema lo pongono la pansessualità ed il transgenderismo: la persona transgender dissocia la propria identità di genere dal proprio sesso corporeo, e non vuole riunificarli; il pansessuale si rifiuta di scegliere chi amare sulla base del sesso o del genere.

Il bisessuale sconvolge la "matrice eterosessuale" in modo assai variabile - l'esempio che meglio conosco, la persona a me più cara al mondo, ha amato ed ama persone che svolgono un ruolo di genere maschile, ma trova irrilevante il loro sesso corporeo. Questo è compatibile con la definizione di bisessualità, ma non certo con l'eteronormatività; volendo è un'ulteriore dimostrazione di come la sessualità femminile badi poco al corpo e molto al comportamento.

Bisessuali, pansessuali, transgender ed altri antibinari (come gli intersessuali, che però sono antibinari loro malgrado) sono compatibili con una teologia di tipo jahwista, in cui (per usare categorie aristoteliche) l'essenza di ogni persona è l'umanità, ed il genere ed il sesso sono degli attributi, ma non con una di tipo sacerdotale; non tocca a me dirimere i contrasti tra teologie cattoliche - mi piacerebbe però che non facessero vittime tra le persone che non vogliono uniformarsi ad esse.

Per giunta, è utile osservare che nel racconto jahwista gli "attributi" si manifestano successivamente all'"essenza": prima si crea "Adàm = l'essere umano", e da lui poi si estrae "ishshàh = la donna", che verrà poi chiamata "Chavà = Eva = Vita" - solo allora "Adàm = Adamo" può riconoscersi come "ish = l'uomo".

Ed infatti, delle 2006 volte in cui nella Bibbia ebraica compare la parola "ish = uomo", la prima è proprio in Genesi 2:23; è vero che il libro è appena cominciato, ma non avrebbe avuto senso usare prima quella parola! Allo stesso modo, delle 781 volte in cui nella Bibbia ebraica compare la parola "ishshah = donna", la prima è in Genesi 2:22, cioè nel versetto immediatamente precedente - prima si estrae Eva da Adamo, poi lui può rendersi conto di essere un uomo.

La locuzione "ideologia del gender" è una caricatura che descrive meglio la teologia jahwista (in cui prima appare l'essere umano, e poi da esso viene separato il genere femminile, cosa che permette di individuare quello maschile) delle teorie queer che si rifanno a Judith Butler.

Per lei infatti, non è concepibile un soggetto privo di genere, o per il quale il genere sia solo opzionale (ripassate qui), mentre in Genesi 2 lo jahwista dice [Traduzione Shadal 1872 - qui purtroppo dimostra tutti i suoi anni]:
7 Il Signore Iddio formò l’uomo di terra (presa) dal terreno, ed inspirò nella faccia sua respirazione vitale: così l’uomo divenne un animale vivente.
(...)
15 Il Signore Iddio prese l’uomo, e lo collocò nel giardino di Eden, a coltivarlo e custodirlo.
16 Il Signore Iddio comandò all’uomo con dire: Di tutti gli alberi del giardino puoi mangiare.
17 Ma dell’albero del discernere il bene ed il male non mangiare; perocchè qualora tu ne mangi devi morire.
18 Il Signore Iddio disse: Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto analogo a lui.
19 Il Signore Iddio avendo formato dalla terra tutte le bestie selvagge, e tutti i volatili del cielo, li recò all’uomo, perché decidesse come avesse a nominarli; e quella qualunque denominazione che l’uomo imponesse a ciaschedun essere vivente, quella fosse il suo nome.
20 L’uomo impose nomi a tutte le bestie ed ai volatili del cielo, come pure a tutte le fiere selvagge; ma per Adamo non trovò alcun ajuto analogo a lui.
Ovvero, prima ancora che sia possibile individuare nell'essere umano una differenza di genere e/o di sesso, questi è già capace di fare codeste cose - e se si rende conto che tra gli animali non c'è "alcun ajuto analogo a lui", vuol dire che un minimo di autocoscienza ce l'ha!

Come ho detto, qui non siamo di fronte ad una lotta della chiesa cattolica contro il mondo contemporaneo, ma della chiesa contro se stessa. Se volesse arrivare fino in fondo, essa dovrebbe ripudiare come spurio Galati 3:28  [Nuova Riveduta - commento riformato ed altre traduzioni qui]:
Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù.
Si interpreta usualmente che l'abolizione di queste differenze si ha soltanto nell'ambito spirituale, mentre nella vita terrena codeste differenze continuano ad avere il loro ruolo. Ma chi interpreta Genesi 1:27 come l'indicazione che già nel piano divino maschio e femmina sono irriducibilmente diversi smentisce quest'interpretazione, in quanto rifiuta la possibilità che ci sia mai un ambito in cui uomo e donna siano semplicemente umani, come affermato da Paolo.

A complicare le cose, se ci sono lettere pseudopaoline, quella ai Galati viene unanimemente ritenuta autentica - non si può quindi trattare Galati 3:28 come si tratta Efesini 5:22-24 [Nuova Riveduta - commento riformato ed altre traduzioni qui]:
22 Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; 
23 il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. 
24 Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa.
in quanto brano di una lettera che molti studiosi ritengono appunto "pseudopaolina".

Il 15 Aprile 2015 ho aggiunto il link [3], per osservare che non c'è un problema di frustrazione all'interno delle organizzazioni LGBT per l'incapacità di gestire la differenza sessuale, ma, come ho mostrato prima, di caccia alle streghe all'interno dell'organizzazione di cui papa Francesco è a capo.

Tra parentesi, non è necessario interpretare la Torah in modo eteronormativo: molti ebrei (anche il rabbino ortodosso Shmuley Boteach, che pure ho qui criticato) dicono che Genesi 2:28:
Il Signore Iddio disse: Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto analogo a lui. 
non vale solo per le coppie eterosessuali - anche in una coppia omosessuale l'uno è l'aiuto dell'altro.

E mi è capitato di trovare un'interpretazione della qabbalah esplicitamente bisessuale (ne ho parlato qui), il che mi permette di ritenere l'ebraismo meno eteronormativo del cristianesimo.

Raffaele Yona Ladu



Nota etimologica: non essendo un ebraista di professione, per verificare le considerazioni etimologiche di Gianfranco Ravasi ho dovuto leggere (acriticamente!) A COMPREHENSIVE ETYMOLOGICAL DICTIONARY OF THE HEBREW LANGUAGE FOR READERS OF ENGLISH / Ernest Klein.

Questo dizionario conferma quello che Ravasi dice dei termini "zakàr = maschio" e "neqebàh = femmina"; invece afferma che le parole "ish = uomo" ed "ishshàh = donna" non sono imparentate tra loro, e nemmeno con "énosh", parola che nella Bibbia è un nome proprio, e nell'ebraico postbiblico indica l'appartenente all'umanità.

Per quanto riguarda la parola "tzela'", che è talvolta campo di battaglia tra apologeti ebrei e cristiani (e tra i protagonisti del film Yentl, con Anshel/Yentl che sostiene che la parola significa "fianco", ed Avigdor invece che propende per "costola"), a proposito del significato che ha in Genesi 2:21-22, questo dizionario registra ambo i significati ("costola" e "fianco, lato"), ma documenta anche come quello propriamente etimologico sia il primo.

Shadal, ebreo tuttora stimatissimo, nel 1872 ne aveva preso atto:
21 Il Signore Iddio fece cadere sopra l’uomo un sopore, sicchè dormì; ed egli prese una delle sue coste, e ne chiuse il sito con carne.
22 Il Signore Iddio costrusse, della costa che prese dall’uomo, una donna; e la recò all’uomo.
Ed infatti il Midrash Genesi Rabbah 17 interpreta la parola come costola (vedi qui).

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