domenica 22 gennaio 2017

Un'intervista a Haim Baharier














Alcuni compagni di studi della Facoltà Valdese di Teologia mi hanno pregato di commentare l'articolo [0]; io ci provo, ma non sono bravo come dice una di loro, secondo cui conosco molto bene anche i "rumors", non solo i "fatti" che riguardano i personaggi biblici.

Come la mia stessa amica avverte, è rischioso trattare i personaggi biblici come fossero storici; io tratto il testo biblico come quello che ci ha conservato la versione più autorevole (agli occhi dei redattori) di vicende che di rado (solo a partire dai discendenti di Salomone) trovano conferma indipendente, mentre i midrashim rappresentano versioni alternative o complementari, che o non sono state inserite nel testo biblico, o sono state sviluppate in seguito.

Per gli ebrei i midrashim hanno un'autorevolezza paragonabile a quella del testo biblico, anche se qualche volta lo contraddicono - un esempio lo si trova in [1], un articolo che passa in rassegna i midrashim che sostengono che Isacco sul Monte Moria (Genesi 22) morì davvero, e poi fu risuscitato.

Cito questo caso perché codesti midrashim sono molto ingombranti, ed ho il sospetto che abbiano contribuito ad ispirare l'autore di Ebrei 11:17-19 (qui vi riporto solo la versione Nuova Riveduta - cliccando sulla citazione potete leggere altre traduzioni):
17 Per fede Abraamo, quando fu messo alla prova, offrì Isacco; egli, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito. 
18 Eppure Dio gli aveva detto: «È in Isacco che ti sarà data una discendenza». 
19 Abraamo era persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti; e riebbe Isacco come per una specie di risurrezione.
Diventa più facile per un cristiano capire come l'"Akedat Yitzchak = Legatura di Isacco" sia diventata il tipo della risurrezione di Gesù se si tengono a mente codesti midrashim.

Ma c'è un altro aspetto in comune tra la vicenda ebraica di Isacco e quella cristiana di Gesù: che, come per i cristiani la crocefissione ha il valore di offerta vicaria, per cui Gesù assume su di sé il peccato dell'umanità, per gli ebrei la legatura di Isacco (decima e più significativa delle terribili prove a cui fu soggetto Abraamo [2]) è il principale "zekhut avot = merito dei padri" [3] a cui può fare appello il popolo ebraico in una situazione di grave crisi.

Il concetto è postbiblico [4], ma degli accenni si trovano già nella Bibbia ebraica - il passo più chiaro mi pare Esodo 32:11-14.

A questo punto però sostenere che Abraamo si è inventato tutto dando a Dio la colpa di una malefatta che aveva deciso lui non ha molto senso. L'atto che dimostra la più grande fede, fonte di meriti per i suoi discendenti, viene tramutato in quello che dimostra un'incredibile perfidia?

Ho provato ad indagare sui sacrifici umani in Mesopotamia, e purtroppo, come spesso accade, sono più le ipotesi che i risultati che si trovano. Una voce di enciclopedia che sostiene che vi si sacrificavano anche i bambini è [5], ma non parla di disabili; un caso particolare di sacrificio umano viene descritto in [6], e ricordo che il famoso archeologo Sabatino Moscati in [7] sostenne che i bimbi di cui si sono trovati i resti nei tophet punici e sardi erano morti per cause naturali (alcuni erano bimbi nati morti oppure disabili), quindi non si sacrificavano nel Moloch bimbi vivi.

Era disabile Isacco? Diversi rabbini lo pensano, le loro argomentazioni sono riassunte in [8], e Baharier quindi si accoda a loro; io avevo invece scritto un articolo che troverete sicuramente curioso su Isacco [9], e quello che vorrei far notare è che la cosa in comune tra [8] e [9] è che Isacco si rivela inidoneo, per motivi diversi, a sposarsi e procreare, e quindi perpetuare la stirpe di Abraamo.

Ci sono diverse donne nella Bibbia ebraica (come Sara ed Anna) che sono sterili finché Dio non interviene in modo prodigioso, e diversi uomini che sarebbero inadatti al ruolo che Dio assegna loro (vedi Mosé oppure Davide), ma la chiamata divina li soccorre e redime.

Isacco sarebbe il progenitore di tutti costoro, ed il tipo del Servo di YHWH, per i cristiani Gesù Cristo. Un rabbino che incontrai di persona disse che Isacco si trovava schiacciato tra due patriarchi di grande statura come Abraamo e Giacobbe; io penso che, se è vero che molti lettori e studiosi della Bibbia lo trascurano, Isacco ha comunque un ruolo fondamentale.

Una cosa che ha stupito i miei compagni è l'affermazione di Haim Baharier per cui la parola ebraica tevah significa "parola" oltreché "arca", visto che non riuscivano a trovarne conferma nei dizionari biblici.

Infatti questo significato della parola tevah è postbiblico - si comincia a trovarlo nel Talmud, secondo il dizionario di Jastrow [10a, 10b] (molto utile, ma attenti alle etimologie che propone, per quanto suggestive); il dizionario etimologico ebraico di Klein [11] fa risalire la parola all'egiziano "tbt = scrigno, sarcofago", e quindi fatico ad immaginare come si sia passati da un significato all'altro.

In Genesi 6:15 vengono prescritte le misure dell'arca di Noè:
Ecco come la dovrai fare: la lunghezza dell'arca sarà di trecento cubiti, la larghezza di cinquanta cubiti e l'altezza di trenta cubiti.
La somma è 380, che è lo stesso valore che si ottiene sommando i valori delle lettere della parola "lashon = lingua" (sia anatomica che linguistica). Dal punto di vista ebraico, è lecito usare la "gematria", cioè le corrispondenze tra lettere e numeri, per cercare nuove interpretazioni di brani biblici, e chiedersi quindi che "lingua" abbia consentito a Noè di salvare il mondo.

Mi permetto di dissentire dall'interpretazione che Baharier dà di Babele come archetipo della globalizzazione, e soprattutto da questa frase:
La diffusa incomprensione nel nostro mondo connesso nella Rete è la versione attuale della Torre di Babele.
Infatti, la globalizzazione e soprattutto la Rete, paradossalmente, hanno aiutato a conservare e valorizzare la diversità culturale e linguistica.

Internet ha permesso alle persone che parlano lingue poco diffuse, e magari si sono disperse per il mondo, di ricostituire virtualmente la loro comunità di parlanti, mettere in comune le risorse per studiare ed arricchire la loro lingua, ed organizzare azioni politiche per farla riconoscere ufficialmente.

Per non parlare di lingue assai più rare, è ben altra cosa parlare il sardo, il napoletano, il veneto, il ligure, ecc. solo all'interno del proprio paese o città, dal parlarlo con chi è emigrato nel resto d'Italia, in Europa o nel mondo, od i suoi discendenti, che da una parte vogliono ricuperare la parlata degli avi, dall'altra possono magari arricchirla con la loro peculiare esperienza.

Quando Hoepli pubblicò negli anni '30 una grammatica della lingua araba, dovette farla stampare dalla Tipografia Poliglotta Vaticana, perché era l'unica della penisola attrezzata per pubblicare opere in lingua araba; ora basta installare la tastiera giusta in un tablet e si possono scrivere testi in tutte le lingue del mondo e stamparli con una stampante laser od inkjet, se non ci si accontenta di pubblicarli sul Web.

Ho il sospetto che quella di Baharier non sia una polemica solo generica, ma abbia un bersaglio ben preciso.

La civiltà ebraica è infatti multilingue: oltre all'ebraico, che adesso è tornato al posto d'onore, si è avvalsa dell'aramaico nelle sue varie forme, dello yiddish, del ladino [giudeo-spagnolo], e delle lingue dei paesi in cui c'è una minoranza ebraica (dal greco ellenistico all'inglese, passando per l'arabo, il tedesco, ecc.) per perpetuarsi e diffondere il proprio messaggio - un ebraista deve mettersi a studiare molte lingue.

L'esperanto è stato inventato da un medico ebreo, Ludwik Lejzer Zamenhof (1859-1917), ma nelle intenzioni dell'autore doveva essere solo una lingua veicolare, ovvero da usarsi negli scambi internazionali, commerciali e culturali, senza privare alcun popolo della propria lingua madre, e senza privilegiare chi ha la fortuna di avere per lingua materna la lingua veicolare più diffusa al mondo.

Un mondo in cui tale lingua veicolare fosse l'esperanto si sottrarrebbe alle critiche di Baharier, perché ognuno padroneggerebbe almeno due lingue - la propria lingua materna e l'esperanto; e magari, dopo aver letto la Bibbia, Dante, Shakespeare, Goethe, Tolstoj, Proust, ecc., in esperanto, imparerebbe le rispettive lingue per leggere codeste opere in originale.

La civiltà islamica non è così: ci sono paesi islamici come la Turchia, l'Iran, il Pakistan, l'Indonesia, ecc. in cui l'arabo non è la lingua ufficiale, ma il culto e la giurisprudenza islamica si svolgono necessariamente in arabo. Uno studioso israeliano, Shlomo Dov Goitein, osservava che è solo di recente che la lingua ebraica ha assunto tra gli ebrei uno status simile a quello dell'arabo tra i mussulmani.

Diventa facile a questo punto accusare l'islam di livellare culturalmente e linguisticamente i paesi in cui si è diffuso - ed il comportamento di paesi come l'Algeria, che soltanto nel 2016 ha riconosciuto il tamazight, cioè la lingua berbera, come lingua ufficiale al pari dell'arabo, non aiuta a smentire le accuse; e non mancano gli ebrei che accostano polemicamente l'islam al fascismo, senza praticare i necessari distinguo. Per esempio, l'Algeria che ho appena criticato ha deciso di riconoscere il tamazight proprio per aumentare la propria democrazia interna.

Direi che Baharier è stimolante, ma non dice l'ultima parola sulle questioni che affronta. Conviene sempre verificare.

Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague

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