domenica 20 settembre 2015

La più antifemminista delle religioni abramitiche

[0] Neged/contra Edith Stein

[1] Gendering the Human’s Soul in Islamic Philosophy An Analytical Reading on Mulla Sadra. - International Journal of Women's Research

Premessa: ritengo che la peggior forma di oppressione del gentil genere passi per l'essenzializzazione della differenza sessuale. Chi invece ritiene che essenzializzare voglia dire "liberare" può smettere di leggere quest'articolo, perché non troverà nulla con cui concordare - ed aspetto il giorno in cui, come ha essenzializzato la differenza tra uomini e donne, essenzializzerà quella tra ebrei e gentili, bianchi e neri, ecc., e riaccenderà i forni di Auschwitz per permettere alle persone di un'essenza di ardere quelle di diversa essenza.

Essenzializzare la differenza sessuale è una cosa che fa la Chiesa cattolica a partire dal pontificato di Giovanni Paolo 2°, e la canonizzazione di Edith Stein è stata strumentale in questo, come ho voluto mostrare in [0].

In [0] ho mostrato anche che, pur se ci sono ebrei abbastanza crudeli da essenzializzare la differenza tra ebrei e gentili, nessuno essenzializza quella tra uomini e donne - e perfino la Qabbalah, che distingue tra anime maschili ed anime femminili, non ne fa una differenza di essenza nel senso aristotelico del termine.

E che succede nella terza religione abramitica? [1] è un articolo pubblicato in inglese (non chiarissimo, e me ne duole) da una rivista iraniana, che recita a pagina 10 del PDF (i link li ho aggiunti io):
Le differenze tra uomo e donna secondo i filosofi islamici
Avicenna non ha discusso la differenza come un problema dipendente, ma considera le differenze tra uomo e donna classificate come accidenti della differenza umana nella categoria di caratteristiche di gruppo nel Libro della Guarigione. Egli definisce la femminilità e la mascolinità come accidenti creatori di gruppo e non come creatori di diverse specie. Suhrawardi (noto anche come il "Maestro dell'Illuminazione") definisce la specie umana come la combinazione di uomo/donna ed eccesso/età (Sadeqi, 2012, p.33). Mulla Sadra considera la femminilità e la mascolinità come caratteristiche di rango animale. È la distinzione del primo rango degli animali dalle piante. Perciò al genere non può riconoscersi la qualità di creatore di specie (Ibid: 34).
Quindi ... l'unica delle religioni abramitiche ad essenzializzare la differenza sessuale è quella cattolica contemporanea, insieme con alcune confessioni protestanti. Congratulazioni vivissime!

L'isteria sul genere è una lotta teologica di coloro che hanno voluto introdurre codesta essenzializzazione contro chi ha voluto mantenere la posizione tradizionale aristotelico/tomistica secondo cui le anime non hanno genere, e minaccia di tralignare in una persecuzione contro chi rifiuta l'essenzializzazione per motivi religiosi (ebrei e mussulmani, per incominciare).

Raffaele Yona Ladu

sabato 5 settembre 2015

Neged/Contra Edith Stein


Devo abbozzare qui una critica alla concezione della donna di Edith Stein (1891-1942).

Non sarebbe necessario precisarlo, ma, poiché molti ebrei hanno reagito assai male alla beatificazione e canonizzazione di lei, convertitasi dall'ebraismo al cattolicesimo, entrata nel Carmelo scalzo, e poi morta ad Auschwitz perché per i nazisti un ebreo non poteva smettere di esserlo, ritengo opportuno affermare che io cerco solo di confutare le sue idee, non di mettere in discussione la sua vita.

La pulce nell'orecchio me l'aveva messa il libro che ho recensito in [0], ed in effetti in [1] ho trovato diversi brani che studiano la possibilità di definire la specie dell'anima femminile.

Che cosa implichi questo programma lo spiega la sua opera Problemi dell'educazione della donna, pubblicata nel 1932, riportata nel libro [1], e della quale vi riporto il brano che mi sembra più significativo (pp. 184-185 della mia edizione):
Ho già parlato della specie donna (*). Con specie dobbiamo intendere qualcosa di fisso, che non può mutare. La filosofia tomista usa in questo caso anche l'espressione forma, e intende la forma intima che condiziona la struttura di una cosa. Il tipo non è immutabile nello stesso identico senso della specie. Infatti un individuo può passare da un tipo all'altro; ciò avviene per esempio nel processo evolutivo, in cui l'individuo passa dal tipo-fanciullo al tipo-giovane, ed infine raggiunge il tipo dell'uomo maturo. Ma questo sviluppo gli è imposto proprio da una forma interiore. Il fanciullo può anche mutare il proprio tipo se passa da una classe a un'altra (se si trova cioè tra altri fanciulli) o se, strappato dalla sua famiglia, viene posto in un'altra. Questi mutamenti si attribuiscono all'influsso dell'ambiente. Ma dove si tratta di una forma interiore, tali influssi si arrestano. La forma interiore o specie, perciò, determina un arco, entro il quale i tipi possono variare. 
È ben chiaro dunque che il problema della specie donna è principio e fondamento di ogni problema femminile. Se esiste realmente questa specie, essa non potrà essere cambiata da nessun mutamento delle condizioni di vita, dei rapporti economici e culturali, e dell'attività propria. Se non vi è questa specie, si deve ritenere che l'uomo e la donna sono distinti tra di loro solo come tipi, e non come specie; per cui, dati particolari condizionamenti, è possibile il passaggio da un tipo all'altro. Ciò non è tanto assurdo come può apparire al primo istante. Si opinava una volta che le distinzioni corporee fossero fisse e stabili, quelle dell'anima invece fossero indefinite e variabili. Ma proprio contro la fissità delle distinzioni corporee si possono addurre certi dati di fatto, come le forme di androginismo e di mutamento di sesso. 
(*) Nel manoscritto è qui inserita la seguente frase, depennata dall'autrice: "(Il modo comune di parlare distingue certo tra genere maschile e femminile. Ma vi è il problema se genere in questo senso e genere nel senso proprio della logica abbiano lo stesso significato. Non vorrei però appesantire la nostra ricerca con questo problema)".
Qui il pensiero di Edith Stein cozza contro quello di Tommaso d'Aquino, il quale (come ho riportato in [0]) negava che uomini e donne fossero specie distinte, perché questo avrebbe implicato attribuire loro essenze distinte - cosa confutata appunto da Tommaso d'Aquino.

Ed ammettere che non tutti gli esseri umani abbiano la medesima essenza può essere sembrato ad Edith Stein un grande progresso, rispetto al forzare le donne a conformarsi ad un modello maschile, ed a rimproverarle perché non ci riuscivano, ma già quindici secoli prima di lei ci si era resi conto di quanto fosse pericoloso.

In [0] ho riassunto una breve frase del Talmud ([2]), ma ora ve ne riporto una citazione più ampia e fedele (in corsivo le due risposte che più mi interessano):
I nostri maestri hanno insegnato: "L'uomo fu creato solo" [23]. E perché mai? Perché i Sadducei [24] non potessero dire: "Ci sono molte potenze a dirigere il Cielo". Un'altra risposta è: "Per il bene dei giusti e dei malvagi, perché i giusti non potessero dire: 'Il nostro è un retaggio giusto' [25] ed i malvagi non potessero dire: 'Il nostro è un retaggio malvagio' [26]". Un'altra risposta è: "Per il bene delle [diverse] famiglie, perché non si mettessero a litigare l'una con l'altra [27]. Se ora, che ne è stata [in origine] creata una sola [28], loro litigano, figuriamoci se ne fossero state create due!" [29] Un'altra risposta è: "A causa dei rapinatori e dei saccheggiatori; ovvero, se ora, che ne era stato creato in origine uno solo, la gente rapina e saccheggia, figuriamoci se ne fossero stati creati due." [30]

INOLTRE, PER PROCLAMARE LA GRANDEZZA DI ecc. I nostri maestri hanno insegnato: [La creazione del primo uomo da solo] doveva mostrare la grandezza del Supremo Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia. Perché se un uomo conia tante monete da un solo stampo, tutte le monete sono uguali, ma il Santo, benedetto Egli sia, ha foggiato tutti gli uomini con lo stampo del primo uomo, e non ce n'è uno uguale all'altro, dacché è scritto: 'La terra si trasfigura come creta sotto il sigillo / e appare come vestita di un ricco manto'. [31]" E perché i visi degli uomini non sono uguali? - Perché un uomo non vedesse una bella casa, od una bella donna e dicesse: "È mia, perché sta scritto: 'i malfattori sono privati della luce loro, / e il braccio, alzato già, è spezzato'. [32]" 

Hanno insegnato: Rav Meir diceva: "In tre cose l'uomo differisce dal suo prossimo: nella voce, nell'aspetto e nella mente [cioè nei pensieri]. 'Nella voce e nell'aspetto', per prevenire l'impudicizia; [33], 'nella mente', a causa dei ladri e dei rapinatori. [34]"  
Note: 
23. Cioè, fu creato un uomo solo.
24. Molte antiche versioni qui ed in diversi altri luoghi seguenti hanno "Minim" [Nota di RYL: letteralmente significa "eretici", e spesso si sospetta che si tratti dei cristiani]. La parola "Sadducei" ce la devono avere infilata i censori.
25. E perciò non siamo obbligati a sfuggire alle tentazioni.
26. E perciò non siamo capaci di resistere alle tentazioni.
27. A proposito della superiorità dei loro rispettivi lignaggi.
28. Cioè, quando discendono tutti dallo stesso padre.
29. Cioè, se provenissero da diversi ceppi.
30. In questo caso qualcuno potrebbe sostenere che la terra in origine apparteneva al suo primo antenato.
31. Giobbe 38:14.
32. Giobbe 38:15; "la luce loro" = il loro viso, cioè non è uguale a quello del loro prossimo; "il braccio alzato già" = la scusa per atti prevaricatori.
33. Perché non si confondessero i sessi, né alla luce né al buio.
34. A cui non si possono affidare i segreti degli altri.
I rabbini qui non parlano di essenza, anche se probabilmente non erano digiuni di filosofia greca, ma di genealogia: tutte le persone condividono l'essenza del loro capostipite; e se i capostipiti fossero stati più di uno, ognuno avrebbe rivendicato di essere di essenza migliore degli altri.

Considerato quello che si diceva degli ebrei, prima e dai nazisti, possiamo dire che i chaza"l (gli autori della letteratura rabbinica) sono stati profetici, non solo preveggenti.

Nel 1966 il naturalista Konrad Lorenz, che pure aveva simpatizzato per i nazisti, coniò il termine "pseudo-speciazione" (attualmente si preferisce parlare di "etnocentrismo"), ispirandosi ad un'idea dello psicologo (figlio di madre ebrea) Erik H. Erikson, per indicare la tendenza dell'uomo a ritenere una parte dei propri simili di specie diversa dalla propria, con il rischio di trattarli quindi come se non fossero il proprio prossimo.

Nel 1973 Lorenz pubblicò il libro [3], in cui scriveva (corsivi dell'autore, sottolineature mie):
C'è tuttavia un lato gravemente negativo: la pseudo-speciazione è causa di guerre. La coesione del gruppo creata dal rispetto delle norme sociali specifiche del gruppo e dai suoi riti, è inseparabilmente congiunta al disprezzo e perfino all'odio del gruppo rivale simile. Se la divergenza dello sviluppo culturale è stata portata abbastanza avanti, porta inevitabilmente alla sfortunata conseguenza che un gruppo non considera l'altro del tutto umano. In molte tribù primitive il nome della propria tribù è sinonimo di Uomo - e da questo punto di vista non si può più considerare cannibalismo il mangiare i guerrieri caduti della tribù nemica! La pseudo-speciazione sopprime il meccanismo istintivo che normalmente impedisce l'uccisione di membri della stessa specie, mentre, diabolicamente, non impedisce affatto l'aggressione intraspecifica.
Gli studiosi dell'Olocausto e di altri genocidi (io conosco soprattutto l'ungherese emigrato in America Erwin Staub) non amano citare Lorenz, ma hanno detto comunque che passaggio fondamentale per un genocidio è la deumanizzazione delle persone da vittimizzare e sterminare - se non vengono più riconosciute come appartenenti alla nostra medesima specie, si può far loro quello che si vuole senza riguardo né rimorso.

Edith Stein ha "pseudo-speciato" le donne dagli uomini, senza sapere che un'operazione simile, seppur con diversi presupposti e ben maggior rozzezza, la stava svolgendo chi l'avrebbe mandata al forno.

La sua metafisica le avrebbe permesso di distinguere i generi delle anime facendone dei "tipi" e non delle "specie", ma ha esplicitamente rifiutato di farlo, e sebbene lei sapesse (ha commentato il De Veritate di Tommaso d'Aquino, e lo cita spesso) di porsi contro il Dottor Angelico, non si è chiesta se lui non la sapesse più lunga.

Lei dice di essersi ispirata nel suo pensiero all'opera di una suora cattolica, Suor Thoma Angelica, che voleva anch'ella che la donna venisse riconosciuta (ontologicamente, non biologicamente) di specie distinta dall'uomo, ma io ho il sospetto che lei sia stata ispirata da una Qabbalah maldigerita.

La Qabbalah è un insieme di dottrine interessanti, che però vanno vagliate attentamente. Mi scorrerò la biografia di Edith Stein [4], per capire se ha ricevuto influenze cabalistiche, ma l'opera teatrale [5], che immagina che Teresa d'Avila avesse ricevuto tra le sue novizie una convertita dall'ebraismo chiamata Alma de Leòn [Mosé de Leòn è l'autore dello Zohar, secondo il compianto Gershom Scholem], esplicitamente ispirata ad Edith Stein, presume che la Qabbalah avesse davvero lasciato la sua impronta sulla giovane filosofa.

Cominciamo con il citare Gershom Scholem, che nella voce Kabbalah dell'Encyclopedia Judaica [6] scrisse (corsivi dell'autore, sottolineature mie):
I diversi strati dello Zohar riflettono le varie dottrine psicologiche verso cui inclinava il suo autore in diversi momenti. Nel Midrash ha-Ne'elam c'è tuttora un chiaro debito verso la psicologia della scuola di Maimonide, con la sua dottrina dell'"intelletto acquisito", che si attiva nell'uomo attraverso la sua ricerca della Torah e dei suoi comandamenti, e che esso solo ha il potere di dargli l'immortalità dell'anima. Inseme con questo, però, troviamo la caratteristica divisione aristotelica dell'anima, pur senza l'identificazione con nefesh, ru'aḥ, e neshamah, ed in collegamento con diverse funzioni che sono peculiari al solo Mosé de Leon. Pertanto, ad esempio, troviamo una distinzione tra l'"anima parlante" (ha-nefesh ha-medabberet) e l'"anima razionale" (ha-nefesh ha-sikhlit), e solo quest'ultima ha i poteri soprannaturali che possono portare l'uomo alla perfezione, e che è identica con l'anima vera, o neshamah. In effetti, la facoltà chiamata nefesh comprende tutte le tre forze, l'animale, la vegetativa e la cognitiva (medabber), che compongono la totalità psicofisica dell'uomo. La neshamah, di contro, è una forza che si preoccupa solo della conoscenza mistica, mentre la ru'ah rappresenta uno stadio intermedio che implica la capacità etica di distinguere il bene dal male. Ma la neshamah stessa, d'altro canto, in virtù dell'essere "una parte di Dio lassù", è capace di compiere solo il bene. Qui non è possibile parlare di un approccio coerente: dei motivi puramente religiosi si alternano liberamente con motivi filosofici, una confusione che si estende alla relazione tra la consapevolezza intellettuale e la neshamah stessa. In alcuni punti l'autore, che esprime le sue opinioni attraverso le bocche di vari saggi rabbinici, perfino abbandona del tutto la divisione tripartita dell'anima a favore di una duplice distinzione tra l'anima vitale (ha-nefesh ha-ḥayyah) e la neshamah. Nel corpo principale dello Zohar queste opinioni divergenti sono consolidate in una posizione in qualche modo unificata in cui predominano i motivi religiosi sui tradizionali motivi filosofici e psicologici. Qui emerge una contraddizione fondamentale tra la credenza che l'anima sia universalmente la stessa per l'umanità intera, ed un'altra, un doppio standard per cui l'anima dell'ebreo e quella del gentile sono dissimili. I cabalisti di Gerona conoscevano solo la prima dottrina, cioé dell'anima che è universalmente condivisa da tutti i discendenti di Adamo, ed è nel corpo principale dello Zohar che leggiamo per la prima volta di una duplice benché corrispondente divisione delle anime in non-ebree ed ebree. Il primo gruppo ha la sua origine nell'"altro lato", o sitra aḥra, il secondo nel "lato santo", o sitra di-kedusha. L'interesse dello Zohar è quasi interamente limitato alla struttura psichica dell'ebreo. Nella Kabbalah successiva, specialmente nelle opere di Ḥayyim Vital, si dà enorme enfasi a questa dualità tra l"anima divina" (ha-nefesh ha-elohut) e l'"anima naturale" (ha-nefesh ha-tiv'it).
La pseudo-speciazione comincia nello Zohar, e temo che Edith Stein, pur non avendolo mai studiato, ne abbia assimilato la concezione (ripetuta ahinoi in moltissima letteratura successiva, sia dotta che divulgativa) in famiglia.

Se si parte dal presupposto che ebrei e gentili abbiano anime essenzialmente diverse, non ci vuol niente a pensare che anche uomini e donne abbiano anime essenzialmente diverse - lo Zohar afferma anche questo (vedi [7]), ma Edith Stein riesce a fare di questa dottrina una versione meno interessante perché meno duttile.

Intanto, come avevo già riferito in [7] la Qabbalah ammette la possibilità che il genere dell'anima ed il sesso del suo corpo divergano - condizione che non viene raccomandata perché provoca sterilità, e viene ritenuta da Hayyim Vital punizione di trasgressioni sessuali compiute nella precedente incarnazione.

La metafisica di Edith Stein non è compatibile con questa dottrina cabalistica, perché per tal metafisica "anima forma corporis = l'anima è la forma del corpo", per cui se l'anima ha un genere essenziale, il corpo deve per forza nascere con il sesso corrispondente.

E le complicate forme di reincarnazione previste dalla Qabbalah, in cui più anime possono abitare il medesimo corpo (il termine tecnico è "vestirsi del"), entrando ed uscendo anche durante la vita della persona, sono incompatibili con l'aristotelismo, perché, se l'anima è l'essenza della persona, questa cambierebbe essenza durante la propria vita, e si troverebbe ad avere spesso più di un'essenza, cose assolutamente non previste dalla metafisica aristotelica.

Conciliare la reincarnazione cabalistica con la metafisica aristotelica impone di modificare quest'ultima radicalmente; ma l'altra difficoltà si risolve facilmente ammettendo che, se le anime hanno un genere, esso è un "tipo" e non una "specie", e non tocca l'essenza dell'anima, del corpo, della persona.

Un sistema cabalistico che fa questo lo trovate in [8] - traduciamo:
(...) 
D: Che differenza c'è tra le anime maschili e femminili? 
R: Indipendentemente dal corpo fisico nel nostro mondo, le anime maschili e femminili sono due tipi di parti delle anime che compongono il Partzuf [NdRYL: letteralmente "volto"; ma anche "configurazione" - e talvolta viene tradotto con "persona" od "ipostasi", con un significato affine a quello di questi termini nella dottrina cristiana della Trinità; tutto questo mi fa pensare che la miglior traduzione di Partzuf sia "profilo"] spirituale, dette anche la "destra" e la "sinistra" del Partzuf. Un cabalista che salga per la scala spirituale passa alternativamente per la parte maschile del vaso e per quella femminile. Pertanto in un momento il cabalista ha un'anima maschile, ed in un altro momento ha un'anima femminile.
Un esempio di ciò è l'anima dell'Uomo Primordiale. Si frantumò in 600.000 pezzi, e poi in molti e molti di più. Però, il contenuto del Partzuf originale si mantiene in ognuno di essi, facendo di ogni pezzo un minuscolo Partzuf a sé stante. Tutti gli attributi e le forze dell'intera creazione che erano concentrati nel primo Partzuf spirituale ora esistono in ogni sua minuscola scintilla.
Queste scintille sono chiamate le "anime" delle persone. Ognuna ha la sua propria origine nel Primo Uomo, ed ognuna viene da una diversa Sefirah o sub-Sefirah all'interno delle dieci Sefirot dell'Uomo Primordiale. Queste anime si dividono in anime maschili e femminili, e si vestono con il corrispondente organismo corporeo. 
Siamo nati con un solo compito. Le nostre caratteristiche animali e corporee non cambiano, mentre i nostri attributi interni e spirituali cambiano a seconda delle nostre correzioni. Perciò, una donna può sperimentare situazioni spirituali maschili, ma all'esterno, il suo corpo, che è il vestito di questo mondo, rimarrà di una donna.
Ma nel mondo spirituale, però, l'anima sperimenta correzioni sia nella sua parte femminile che nella sua parte maschile. Nel nostro mondo, il corpo è fisso e conserva il suo genere - maschile o femminile.
Ad una prima lettura, sembra che la Qabbalah preveda che le anime abbiano un genere (e di tipo binario - maschile o femminile), ma si guardi bene dall'essenzializzarlo - nel sistema cabalistico di Michael Laitman, il genere muterebbe addirittura a seconda delle situazioni spirituali che si debbono affrontare, ed un'ascesa spirituale imporrebbe numerosi mutamenti di genere animico.

Leggendo però anche la pagina [9] del medesimo sito che vi riporto qui:
D: Cos'è l'oggetto spirituale chiamato "anima"?
R: Lo Zohar scrive della relazione tra tutti i cinque Partzufim del mondo di Atzilut, che è il mondo che governa la realtà. Dice: “Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre” (Genesi 2:24), intendendo dire che l'anima diverrà indipendente da sua madre e suo padre, raggiungerà la completezza e l'accoppiamento indipendente con Malchut, per unirsi con il Creatore, e creare nuovi Partzufim – anime corrette.
Un'anima è il Partzuf di Malchut del mondo di Atzilut. Zeir Anpin, il Creatore, è suo marito. Il Partzuf di Abba VeIma – Hochma e Bina – fornisce all'anima tutto quello che le serve.
sembra opportuna una diversa lettura: l'anima è un Partzuf, ed i Partzufim sono androgini - ma non sono capaci di autofecondazione.

Essi devono unirsi al Creatore per generare ulteriori Partzufim - ma tutti i Partzufim svolgono il medesimo ruolo nei confronti del Creatore in quest'unione, quindi non possono essere differenziati in base al genere.

Anche nella mistica cristiana si parla volentieri dell'unione dell'anima con Dio, ed in tutte le descrizioni Dio viene paragonato ad un uomo e l'anima alla sua donna - ma questo significa che nemmeno per la mistica cristiana l'anima ha un genere essenziale, altrimenti diverso sarebbe il rapporto che Dio ha con i mistici e le mistiche.

Una filosofa convertitasi al cattolicesimo dopo aver letto l'autobiografia della grande mistica Teresa di Gesù avrebbe dovuto rendersene conto. Un militante LGBTQIA+ come me provvisoriamente descriverebbe Dio come "attivo" e l'anima come "passiva", ma è solo un artificio lessicale per indicare una distinzione dei ruoli nel rapporto che trascende quella dei generi. Quando avrò studiato meglio, rivedrò quello che ho appena scritto.

Tornando alla Qabbalah, la lettura che propongo del sistema di Michael Laitman è che i Partzufim sono appunto androgini, ma quelli detti "anime" possono esprimere un genere maschile oppure femminile a seconda delle circostanze.

La scelta che fanno al momento di "vestirsi" di un corpo è definitiva (gli autori trascurano i casi di intersessualità e transessualità, ma nel contesto sembra un'omissione facilmente rimediabile), ma nella vita spirituale le circostanze impongono di cambiare spesso il genere da esprimere - perché le parti maschile e femminile dell'anima vanno corrette alternativamente, ed il genere che non viene espresso, ma rimane latente, non può interagire né essere corretto.

La situazione è simile a quella di molte specie di lievito (vedi [10]), che hanno due mating types, a ed α, e nelle loro forme selvatiche possono facilmente cambiare dall'uno all'altro (i lieviti di laboratorio vengono geneticamente modificati per impedirglielo). L'associazione Lieviti [11] ha assunto questo nome appunto ispirandosi a loro.

Ma ad Edith Stein non interessava una dottrina tanto duttile - al contrario: la sua opera Problemi dell'educazione della donna, da cui ho tratto la prima citazione, fu pubblicata nel 1932 - e nella primavera del 1930, secondo [12], era stata eseguita a Berlino la prima riassegnazione chirurgica del sesso (ora la si chiamerebbe "operazione di confermazione del genere").

La frase di Edith Stein: "Ma proprio contro la fissità delle distinzioni corporee si possono addurre certi dati di fatto, come le forme di androginismo e di mutamento di sesso" fa pensare che quell'evento l'avesse fortemente turbata, di un turbamento simile a quello che oggi provano le femministe radicali trans-esclusive ([13]).

Ma lei era di ben diverso temperamento, ed anziché ricorrere ad aggressioni verbali ha elaborato una filosofia ed una teologia che blindassero la differenza sessuale delegittimando le persone trans - ed i rischi di tal teologia anche per le persone cis, che vedono da essa legittimata la possibilità di essere "pseudo-speciate", sono stati sottovalutati da chi ha fatto di Teresa Benedetta della Croce OCD (il nome che Edith Stein prese quando divenne una suora carmelitana scalza) patrona d'Europa.

Non è facile rinfacciare i suoi errori ad una vittima del nazismo, ma se non lo si fa non si impedisce a chi non li noterebbe da solo di copiarli.

Raffaele Yona Ladu

venerdì 17 luglio 2015

No gender? Nulla transubstantiatio!







L’articolo [1] mi infastidisce parecchio, e vi spiego perché. L’autore, Alessandro Fiore, se la prende con il concetto di “identità di genere” e con la prevalenza che le persone più illuminate vogliono che abbia sul “sesso biologico”.

Ritengo opportuno ricordare che sono un ebreo umanista, e quello che significa l’ho spiegato in [0a] e [0b]; quello che conta osservare è che per gli ebrei umanisti la circoncisione non ha alcuna importanza, e ne ha molta invece l’autoidentificazione con il popolo ebraico.

Spinoza, considerato il precursore dell’ebraismo umanista, ma che riteneva la circoncisione sufficiente a garantire l’esistenza del popolo ebraico, è servito: in queste cose preferiamo seguire Ben Gurion, che diceva: “Chiunque è abbastanza meshugge (pazzo, in yiddish) da dichiararsi ebreo è ebreo”.

Gli ebrei maschi e le persone transessuali hanno lo stesso problema: gli sciocchi vogliono che i loro genitali confermino quello che loro dichiarano di essere. Gli ebrei umanisti recitano invece in questo la parte dei transgender – i genitali non sono stati mutati, ma l’identità ebraica/di genere non è meno radicata.

Questa coincidenza tra ebrei e trans ha un curioso corrispondente linguistico: la parola ’ivri (ebreo - per la precisione, di quelli vissuti da Abramo a Nabucodonosor) viene dal verbo ’avar, che non significa “passare” solo nel senso banale di “attraversare”, ma anche di “mutare”, “passare come trans”, “transizionare”. Ed infatti la principale associazione transgender israeliana si chiama “Ma’avarim = attraversamenti, passaggi, transizioni”.

Se ne possono trarre anche conclusioni “teologiche”: nessun rabbino sostiene che compito dell’ebreo sia vivere secondo una “legge naturale”, e la circoncisione, il “patto di Abramo”, il primo ’ivri, suggella l’impegno a trascendere la propria natura per porsi al servizio di Dio.

Una persona che mi dice che quello che conta è il corpo e non la propria identità ha praticamente deciso di bandire l’ebraismo umanista  – quello che nasce come un attacco alle persone transgender trascende in attacco alla libertà religiosa (l'ebraismo umanista non è teista - ma non lo è nemmeno il buddismo).

E con una vittima illustre ed inaspettata: il cristianesimo cattolico.

Infatti il dogma della Transustanziazione [2] stabilisce che l’epiclesi trasforma il pane ed il vino nel corpo e nel sangue di Cristo – il quale è presente in maniera vera, reale e sostanziale nelle specie eucaristiche, pur sotto l’apparenza del pane e del vino.

Ragionando come Alessandro Fiore, ed il sito Provita che lo ospita, sarebbe di basilare importanza per la vita sociale rifiutarsi di vedere nelle specie eucaristiche alcunché di diverso da quello che può provare l’analisi chimica, e condurre feroci campagne prive di ogni riguardo per il prossimo che invece lo fa, denunziando questa insistenza nel vedere Gesù nell'Eucaristia come cosa "contro natura".

Se fossi cattolico, sarei in un gran pasticcio: se io credo nella Transustanziazione, vuol dire che sono posseduto dall’“ideologia del gender”, se non ci credo sono un eretico scomunicato vitando.

Il caso del cristianesimo cattolico è solo il più evidente – ma non è che le chiese protestanti e riformate se la cavino molto meglio.

Anche quelle che considerano Cristo presente solo spiritualmente e misteriosamente nell’Eucarestia (come i valdesi ed i calvinisti [3]) chiedono ai fedeli di saper vedere oltre la realtà fisica, ed aprirsi alla realtà psicologica e spirituale – devono considerare la loro fede inquinata dall’ideologia del gender?

Siamo nuovamente di fronte al problema già evidenziato da Levinas nel 1934 [4] - i no gender stanno attaccando il cristianesimo (e l’ebraismo), non le persone LGBTQIA+.

Raffaele Yona Ladu


venerdì 19 giugno 2015

Intersex and Imago: Sex, Gender, and Sexuality in Postmodern Theological Anthropology / Megan K. DeFranza

Nella newsletter del Coordinamento Teologhe Italiane sono stati oggi pubblicati questi interessantissimi link sull'opera della teologa evangelica Megan K. DeFranza:


[2] Intersex and Imago: Sex, Gender, and Sexuality in Postmodern Theological Anthropology

la quale ricorre alle persone intersessuali per superare il binarismo dei sessi/generi della teologia cristiana, che viene comunemente basato su una lettura pedestre (per non dire maldestra) di Genesi 1:27.

Se [1] è una breve presentazione, con una videointervista di 18 minuti ed oltre all'autrice, [2] sembra la dissertazione dottorale da cui è nato il libro Sex Difference in Christian Theology : Male, Female and Intersex in the Image of God, e che mi permetto ora di recensire.

La dissertazione nasce con una lunga trattazione medica delle varie forme di intersessualità, alle quali l'autrice trova un riferimento teologico cristiano negli "eunuchi", già presenti nella Bibbia ebraica (il passo più significativo sembra Isaia 56:3), e citati da Gesù in Matteo 19:12.

Questo dà all'autrice il destro per esplorare il sistema dei sessi e dei generi dal mondo antico (greco, romano, ebraico, per cominciare; mi permetto però di osservare che anche il Talmud parla degli intersessuali, ma l'autrice lo ignora - qui è all'opera il vecchio pregiudizio per cui, dopo la chiusura del canone biblico, gli ebrei non hanno più detto niente di interessante) fino all'età contemporanea, osservando che il binarismo moderno è un portato dell'età vittoriana (non è una sorpresa per chi ha letto Foucault), e che prima (Laqueur docet) vigeva semmai un modello unitario, in cui la donna era un uomo invertito e meno perfezionato, e l'eunuco/intersessuato stava in mezzo.

L'attuale insistenza cristiana sulla "complementarietà dei sessi" viene fatta risalire a Karl Barth, il quale reagì alla crisi dell'ontologia del suo tempo (a me viene in mente Heidegger) ponendo un soggetto non più sostanziale, ma relazionale - per la precisione, facendo del rapporto uomo-donna l'immagine delle relazioni tra le tre persone della Trinità.

Karl Barth ha avuto allievi in tutto il mondo cristiano; in campo cattolico il più influente per l'argomento della dissertazione è stato Giovanni Paolo 2°, mentre alla difficoltà di ridurre ad unità l'elaborazione teologica di centinaia di chiese riformate senza un centro dottrinale unitario l'autrice ha rimediato scegliendo come teologo paradigmatico Stanley Grenz.

L'autrice è un'eteronormativa il cui ideale relazionale è la monogamia eterosessuale, eppure trova nei due teologi motivi sia di lode che di critica.

Di Giovanni Paolo 2° ella critica il suo rigido binarismo dei sessi/generi, ed il fatto che gli "eunuchi" evangelici vengano da lui riduttivamente intesi come le persone che non possono o non vogliono generare - che esistano dei corpi irriducibili al binarismo maschio/femmina al defunto pontefice non era venuto in mente.

Di Stanley Grenz ella critica il primato dell'eterosessualità, anzi, il ritenerla alla base di tutte le relazioni umane, compresa quella con Dio o con i confratelli cristiani - eppure il defunto teologo citava John Money, il che fa pensare che egli conoscesse l'esistenza degli intersessuali.

Quello che baluginava nei maestri diventa eclatante nei discepoli: la differenza sessuale (formulata talvolta in termini che volutamente ignorano l'elementare differenza tra sesso e genere, cosa che, io penso, Luce Irigaray non si sarebbe mai sognata di fare) viene esagerata quantitativamente, e viene qualitativamente intesa come di portata ontologica.

In questo binarismo elevato ad ontologia non c'è posto per le persone intersessuali - vanno normalizzate, a cura del medico o del chirurgo.

L'autrice evidenzia anche i rischi teologici di quest'ontologia; per esempio, nessun teologo nega che Gesù fosse un uomo; ma se i due sessi sono irriducibilmente diversi, l'incarnazione di Gesù rischia di valere per gli uomini e non valere per le donne - i primi sarebbero salvati, le seconde no, e per gli intersessuali occorrerebbe decidere caso per caso.

Inoltre, i teologi sottovalutano le differenze anche fisiologiche all'interno dei due sessi del loro modello - cosa invece ben chiara ai medici (per non parlare di antropologi, psicologi e sociologi); il rischio è che il binarismo dei sessi degeneri nell'imposizione di un modello unico di mascolinità e femminilità - l'incubo dei missionari almeno dai tempi di Matteo Ricci, osservo io!

E l'autrice fa notare che il "modello unico" femminile è più elaborato di quello maschile, perché alle donne si prescrive quello che devono fare ("prendersi cura") molto più spesso che agli uomini! Osservo che il privilegio dell'identità dominante (il non aver bisogno della coscienza di sé) diventa qui una punizione per contrappasso dantesco.

L'autrice cerca di uscire dalle aporie della differenza sessuale elevata ad ontologia partendo proprio dall'intersessualità, in quanto dimostra che maschi e femmine sono fatti della medesima materia (stuff).

Mostra anche, a suo avviso, che non serve avere più di due sessi - occorre però evitare di fare della loro differenza un'ontologia, in modo da consentire una certa variabilità di caratteristiche, e tener presente (l'osservazione ed il paragone sono della neurologa Melissa Hines) che anche le differenze di attività cerebrale tra i sessi sono molto sfumate, molto di più che nel campo della statura.

È facile notare che gli uomini in media sono più alti delle donne, ma nessuno direbbe che una persona è maschio o femmina solo conoscendone la statura; in modo molto più sfumato, si possono individuare pattern di attivazione cerebrale maschili e femminili, ma una TEP non ci rivela se è stata scattata ad un uomo o ad una donna.

Risolvere queste aporie passa per il reinterpretare i racconti della Creazione. Lei non tenta di interpretare in modo metaforico Genesi 1:27 (come invece fanno gli ebrei), ma come l'inizio di una lunga storia.

Se la prima coppia umana aveva il dovere della fecondità, e l'unica differenza tra Adamo ed Eva era quella necessaria a generare, proprio il loro successo ha creato una società in cui le differenze sono proliferate, alcune diventando più divisive di quella sessuale (si pensi alla razza od all'etnia) - e la fecondità diventa meno importante, tanto che alcuni teologi (non cattolici) si chiedono se "Siate fecondi e moltiplicatevi" sia tuttora un ordine preciso per gli sposi cristiani, od una benedizione per loro.

Il fatto che né Adamo né Eva fossero intersessuali non vieta che dopo di loro queste persone possano apparire, e se Gesù nel Vangelo le loda, ciò significa che non è il caso di rettificarle a forza.

Il mondo che verrà non sarà un mondo senza differenze, ma un mondo in cui esse non faranno danno - è l'opinione anche di alcuni teologi della disabilità, i quali osservano che, come Gesù risorse con le mani ed il petto piagati, così i disabili risorgeranno con la loro disabilità. Ma non nuocerà più loro!

L'eunuco biblico, che con qualche cautela si può paragonare all'intersessuale di oggi, diventa per l'autrice il paradigma dell'inclusione - e nel mondo che verrà non sarà più sterile.

L'ultimo capitolo della dissertazione denuncia il pericolo che nasce quando l'amore sessuale (inteso come congiunzione carnale con il proprio coniuge in vaso proprio) diventa il prototipo di ogni forma di amore.

Come ebreo non avrei niente in contrario, ed osservo che il paragone si trova nella mistica di molte religioni (il Cantico dei Cantici è solo l'esempio più noto), ma l'autrice teme che, a proporlo a tutte le persone, ponga sulle spalle di molte di loro un fardello imbarazzante.

Il celibato viene svalutato, e chi non vive una relazione coniugale deve aggiungere ai disagi della solitudine anche il senso di fallimento spirituale.

Inoltre c'è il pericolo che l'amore tra le persone della Trinità venga frainteso come "eros" e non come "agape" (Benedetto 16° sembra aver aperto una deriva pericolosa su questo fronte) - faccio però notare che è una preoccupazione puramente cristiana: come osservava Elémire Zolla, trattare con le sefirot significa praticare gli incesti incessanti che le animano. Ma questo è ebraismo postbiblico, che l'autrice programmaticamente ignora.

Ma, mentre gli ebrei che credono nella Qabbalah sono sempre pronti a ricordare che quello che accade tra le Sefirot (vedi ad esempio qui) non necessariamente è consentito all'uomo, l'autrice della dissertazione raduna quello che nelle sue intenzioni dovrebbe essere un "museo degli orrori teologici", in cui incesto tra adulti consenzienti, poliamore, omosessualità, sesso casuale, ecc. vengono giustificati dall'esempio che ne darebbero le persone trinitarie.

Se qualcuno vuole un esempio di prima mano, si legga "Il dio queer / Marcella Althaus-Reid", che ho qui recensito, non molto favorevolmente.

Per quanto io capisca le preoccupazioni dell'autrice, ritengo però questa la parte più debole della dissertazione; il brano più interessante mi pare quando propone di spodestare Adamo ed Eva: sono la prima coppia umana, ma non devono essere paradigmatici.

Un paradigma più interessante sarebbe di una terna: Adamo, Eva e ... l'Eunuco - che corrisponderebbe allo Spirito Santo che nella Trinità "procede dal Padre e dal Figlio". Alla Trinità divina corrisponderebbe quindi una Trinità sociale, con meno rischio di una coppia di degenerare in un binarismo ontologico.

L'ultimo capitolo infine cerca di applicare tutto questo alla cristologia - stanchezza da una parte, inesperienza dall'altra, mi consigliano però di lasciare il capitolo a persone più valide di me.

Raffaele Yona Ladu

sabato 30 maggio 2015

Come NON legalizzare la prostituzione



L'articolo [1] dà conto di alcune proposte di legge volte a legalizzare la prostituzione in Italia, e penso sia opportuno cominciare precisando che NON sono un abolizionista.

La prostituzione è una realtà estremamente variegata in cui solo una minoranza è effettivamente vittima della tratta (e merita pertanto tutto l'aiuto possibile), mentre le altre (nel post si usa sempre il femminile, ma vanno intese di ogni genere: femminile, maschile, non binario) lo fanno per scelta più o meno coartata dalle circostanze - come per chi sceglie un qualsiasi altro lavoro.

Trattare tutte le prostitute come schiave da redimere non ha pertanto senso, e tutti i tentativi di ostacolare la prostituzione finiscono solo con il peggiorare la vita delle prostitute. La polizia deve proteggere le prostitute almeno come protegge le banche, e colpire chi le schiavizza nella tratta almeno come chi sfrutta la manodopera in nero.

L'abolizionismo spesso esprime la volontà di mettere la sessualità (femminile innanzitutto) sotto tutela - va accettato invece il fatto che essa (come ogni attività umana) ha un valore economico, e che, finché nessuno subisce danno, non c'è nulla di male che vi sia chi vuol vivere producendo e scambiando quel valore.

Ammetto di non avere un'idea precisa di come si dovrebbe fare per tutelare le prostitute e colpire i papponi, e per questo ho letto l'articolo [1], trovando però le varie proposte elencate assai criticabili.

Due punti si ritrovano in diverse proposte, e non mi piacciono proprio.

Il primo è la possibilità offerta ai comuni sotto i diecimila abitanti di vietare l'esercizio della prostituzione, il secondo è la possibilità di TSO “a carico di persone per le quali sussiste fondato motivo di ritenere che sono abitualmente dedite all'esercizio della prostituzione”.

Sul primo punto, penso che sia la narrativa che i ricordi delle persone anziane concordino che anche in paesi di poche centinaia di anime possono vivere comodamente delle prostitute, quindi la soglia delle diecimila persone non ha una motivazione economica.

Temo invece che abbia questo obbiettivo: dividere i comuni italiani in "Gemeinschaften = Comunità" e "Gesellschaften = Società".

La dicotomia è stata coniata da Tönnies e ripresa da Weber, e si può riassumere dicendo che in una "Gemeinschaft" uno entra senza averlo scelto, ed i rapporti sociali sono diretti, personali, basati sul sentimento e diretti dalla tradizione; in una "Gesellschaft", si entra ed esce per scelta, i rapporti sociali sono mediati dai ruoli, basati sull'interesse e diretti dalla razionalità.

Mentre in una "Gesellschaft" l'importante è non violare la legge e la buona fede, in una "Gemeinschaft" occorre stare attenti anche a non urtare la tradizione ed i valori di cui la comunità si fa portatrice.

Classificare i comuni sotto i diecimila abitanti come "Gemeinschaften" e quelli sopra come "Gesellschaften" è molto pericoloso: si comincia a creare zone del paese libere dall'esercizio (palese: non penserete mica di riuscire a sopprimere quello clandestino od "amatoriale"!) della prostituzione, con il pretesto del conflitto tra esso ed i valori della "Gemeinschaft", e queste zone verranno poi liberate anche dalla presenza visibile delle minoranze religiose, etniche, sessuali, eccetera, sempre in nome dell'incompatibilità tra il modo di vivere delle minoranze (pubblicamente espresso) e quello della maggioranza.

Inoltre, secondo [2], degli 8.047 comuni italiani, ben 6.815 hanno ognuno una popolazione inferiore ai diecimila abitanti (quasi l'85%), per una popolazione totale di 18.526.083 su 60.782.668 (oltre il 30%). Non mi pare piccola la proporzione del paese riservata alle "Gemeinschaften"!

Verrebbe da dire: "Aridatece San Tommaso d'Aquino!" Perlomeno, sconsigliava di vietare la prostituzione all'interno di qualsivoglia società umana!

Per quanto riguarda il TSO, è una colossale sciocchezza. Tutte le organizzazioni che combattono le infezioni a trasmissione sessuale avvertono che criminalizzare chi le trasmette, o rendere le cure obbligatorie, non aiuta in alcun modo a contenerne la diffusione - anzi, si costringe chi ne è affetto a nascondere la propria condizione; e chi è a rischio cerca di evitare i controlli, perché dal momento in cui è accertata la sua positività scattano gli obblighi sanitari e le responsabilità penali. 

La proposta del TSO, oltre ad essere controproducente dal punto di vista sanitario, ha l'effetto di aumentare la stigmatizzazione, che è il contrario di quello che occorre invece fare.

Per fare un esempio concreto, se un mio collega (lavoro in banca) subisce una rapina, lo mandano in ferie per quindici giorni, perché si rimetta dallo shock. E qualche tempo fa, una dipendente sarda delle Poste, dopo la terza rapina, è stata dichiarata invalida civile al 100% e collocata a riposo.

Ve l'immaginate una prostituta che, dopo un'aggressione (al suo corpo, mica ai denari della banca!) riceve da un'assicurazione un'indennizzo che le permetta di astenersi dal lavoro per due settimane, o che dopo più aggressioni, venga dichiarata invalida civile? Se non ci avete pensato, questo mostra quanto sia difficile per voi equiparare la prostituzione ad un'altra attività, e quanto dobbiate ancora lavorare sulla stigmatizzazione.

E questa proposta di TSO può fare "vittime collaterali": la prima cosa che si maligna delle donne appartenenti ad una minoranza è che siano lascive. Lo si diceva delle ebree, lo si dice delle rom, lo si pensa delle donne di colore ... e le donne bisessuali vengono spesso molestate e stuprate da chi crede (a torto!) che loro siano la disponibilità sessuale personificata.

Chi mi garantisce che questi pettegolezzi non diventino precise accuse di prostituzione, anche se campate in aria? Negli USA si è coniata la sigla DWB = Driving While Black = Al volante quando si è neri, per indicare il fatto che ai posti di blocco è molto più facile che venga fermato un automobilista di colore di uno bianco.

Negli USA l'ufficio del Procuratore Generale ha anche il compito di controllare che i dipartimenti di polizia non cedano al razzismo, e quando vede che, chissà perché, la maggior parte degli arrestati sono neri, che la maggior parte dei multati sono neri, e che gli stessi reati e le medesime infrazioni i neri li pagano più cari, parte un'inchiesta che può far cadere molte teste.

L'OSCAD italiano sarà in grado di perseguire i sindaci che si accaniscono con il TSO contro le minoranze?

Inoltre, se una persona si sente dare della "puttana", può oggi querelare l'offensore per ingiuria/diffamazione, e vincere la causa senza dover descrivere la sua vita sessuale ed economica; ma se una persona sospetta di essere dedita alla prostituzione può essere sottoposta a TSO, allora è di pubblico interesse sapere se costei prostituta lo è per davvero!

Chi oserà querelare l'autore dell'ingiuria, attirando così l'attenzione su di sé?

Le proposte precedenti provengono dalla Lega; una perla invece di un deputato del PD è il divieto di “chiedere prestazioni sessuali a persone dedite alla prostituzione”. Chiaramente, questo deputato vuole inasprire la Legge Merlin anziché superarla, e la "perla" non tiene conto di una cosa: anche le prostitute lo fanno per amore e divertimento, e per gli stessi motivi si può proporglielo.

Come si fa a distinguere in una prostituta il rapporto professionale da quello amoroso o da quello ricreativo? Deve per elementare correttezza indossare costei una maglietta con la scritta: "Se me lo chiedete finite nei guai"? (a)

Sarebbe il sogno di molte donne poterlo dire ai loro molestatori, ma il mondo di questo deputato del PD è proprio rovesciato.

Raffaele Yona Ladu



(a) Anziché, ad esempio, una con l'immagine di una padella sul fuoco e la scritta: "Chi pensa che io non scelga qui si accomodi".

lunedì 11 maggio 2015

Lettera all'Avvenire

Egregio Direttore,

sono ebreo e ritengo opportuno avvertire che l'articolo in oggetto

( http://www.avvenire.it/Dossier/La%20questione%20gender/I%20commenti/Pagine/GENDER-.aspx )

manca in una cosa.

Sebbene Judith Butler abbia un grosso debito con FW Nietzsche, lei non riuscirebbe ad onorarlo se dei pensatori ebrei di prima grandezza, noti anche in Italia, come Abraham Joshua Heschel (1907-1972) e Joseph Ber Soloveitchik (1903-1993), non avessero negato il primo che esista una natura umana, il secondo che compito dell'uomo sia vivere secondo natura.

Confutare queste posizioni è ovviamente lecito, ma le argomentazioni usate (che evocano un superomismo che non riesco a vedere nelle opere della Butler - la quale osserva che il genere, per quanto "performativo", non è un vestito che uno può mettere e levare come vuole, perché senza genere il soggetto non riesce neppure a costituirsi) finiscono con il delegittimare anche chi preferisce il pensiero ebraico a quello stoico (da cui il cristianesimo ha recepito il concetto di natura umana e l'ambizione di vivere secondo natura).

La Butler, come potete leggere qui:

http://mondoweiss.net/2012/08/judith-butler-responds-to-attack-i-affirm-a-judaism-that-is-not-associated-with-state-violence

ha una sensibilità etica (ed ebraica) che non ha niente a che fare con il tentativo di Nietzsche di individuare un'aristocrazia di uomini superiori, ed un'etica che li faccia fiorire.

Shalòm u-vrakhà,
Raffaele Yona Ladu 

domenica 10 maggio 2015

Considerazioni su "La segregazione amichevole" / Ruggero Taradel ; Barbara Raggi


Ammetto di essermi procurato il libro per rinvenire eventuali somiglianze tra l'omofobia proposta dalla chiesa cattolica con il pretesto della lotta contro l'inesistente ideologia del gender, e l'antisemitismo da essa propugnato in passato con il pretesto della difesa dei cattolici contro il presunto complotto ebraico per dominare il mondo.

Ci sono affinità e differenze, per cui il confronto va fatto in modo molto sofisticato; per il momento ritengo opportuno citare questo brano delle pagine 25-26:
[p. 25] (...) La riesumazione dell'accusa del sangue, e l'edificazione del mito della cospirazione ebraica s'inquadrano all'interno di un vasto progetto politico. 
[p.26] Demonizzando l'ebraismo, additando gli ebrei come nazione strutturalmente criminale, e indicandoli come i segreti manovratori del liberalismo e della massoneria, i gesuiti di Civiltà Cattolica cercavano di gettare lo scompiglio all'interno della massoneria stessa, sperando di costringere i suoi affiliati a guardarsi sospettosamente l'un l'altro come ebrei e non-ebrei, e di screditare, con il minimo sforzo e la massima efficacia, i princìpi laici e liberali. Questi principi, si suggeriva, non solo avevano finito col dar mano libera agli odiatori di Cristo e dell'umanità, ma erano stati dagli stessi ebrei creati al fine di irretire i gentili e per poter meglio riuscire nei loro disegni di conquista del mondo.
La campagna antisemita, aveva, tra gli altri effetti, quello di proporre un esempio concreto di come non si potessero mettere le varie religioni sullo stesso piano, e di come l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge dovesse necessariamente non applicarsi almeno agli ebrei, che non a caso vengono definiti come pseudo-cittadini e stranieri. La fede religiosa doveva quindi tornare a costituire una discriminante essenziale per il trattamento giuridico. Il rimedio proposto alla questione è quindi semplice quanto drastico: commentando positivamente le prime iniziative antisemite delle leghe degli studenti in Germania, la rivista nel 1881, osservava compiaciuta: "Dappertutto si trova essere urgente di opporre un argine contro l'invasione deli ebrei, che si cambia così facilmente in predominio. Dapertutto si riconosce che è necessario ristabilire un organamento a somiglianza di quello che esisteva nel medioevo, e in forza del quale trovisi eliminata l'azione degli ebrei sugli affari concernenti sì il commercio sì l'industria". Il vero capolavoro, da parte della Civiltà Cattolica, consisterà nel presentare la proposta di leggi speciali per gli ebrei, continuamente reiterata, come segno di dimostrazione del provvido amore della Chiesa verso gli ebrei stessi.
Devo ancora finire di leggere il libro, ed allora farò considerazioni più sofisticate; quello che vorrei però osservare è che la chiesa cattolica sta promuovendo nuovamente scompiglio nelle organizzazioni LGBTQIA, inducendole a denunciare come inesistente l'ideologia del gender (ed in questo hanno ragione) ed a denunciare ogni sforzo di abolire la differenza sessuale - e questa è cosa assai più complicata.

La mia scarsa dimestichezza con la filosofia mi impone di basarmi su sintesi come la voce Feminist Perspectives on the Body della Stanford Encyclopedia of Philosophy; e questa voce spiega chiaramente che "differenza sessuale" non vuol dire appiattire il genere sul sesso, perché anche Luce Irigaray, pur partendo dal dato corporeo, che rende per lei la donna irriducibile all'uomo, si rende perfettamente conto che questo dato viene assunto attraverso l'immaginazione e la cultura.

Il pensiero della differenza non abolisce il genere - semplicemente non concepisce che possa separarsi dal sesso, ed un sesso concepito in modo binario, con tutti gli inconvenienti del caso. Per esempio, le persone intersessuali, transessuali/transgender, genderqueer o comunque non binarie diventano inconcepibili.

Ed è stato notato da Anne Fausto Sterling che la divisione dell'umanità in due sessi è più culturale che biologica; Judith Butler ritiene il genere una "prestazione" che viene continuamente ripetuta fino a sembrare un dato naturale (e ne assume anche la forza, tant'è vero che la stessa Butler avverte che il genere non è un attributo che si può scegliere ogni giorno come un vestito, e che un soggetto privo di genere non riuscirebbe nemmeno a concepirsi), quindi non c'è motivo di ritenere che sessi e genere debbano essere due e due soltanto.

Mi sono ormai convinto che la divisione dell'umanità in sessi e generi è puramente convenzionale, ed in ogni caso di discutibile utilità pratica (ne riparlo poi).

Solo nel campo delle relazioni intime e delle cure mediche è indispensabile entrare in rapporto con il corpo delle persone - ma nessun medico e nessun amante si accontenterà di sapere che il proprio paziente od il proprio amato appartiene ad un sesso piuttosto che ad un altro, perché la clinica e l'amore esigono la personalizzazione del rapporto.

Non si può amare una persona solo dopo averne guardato il genere/sesso nei documenti, non si può curare una persona solo conoscendone il sesso anagrafico.

Negli altri rapporti sociali, quello che conta è tuttalpiù il genere, ovvero l'identità che si assume ed il ruolo che si ricopre. Ma quanto è importante il genere nella vita sociale? Poco o punto, perché anche la società ragiona sempre più personalizzando anziché categorizzando.

Ed incasellare le persone nel loro genere, e far collassare il genere nel sesso significa imporre alle persone un destino in base ad una caratteristica acquisita alla nascita, e magari legalmente immutabile. Che senso ha?

L'utilità pratica della divisione dell'umanità in sessi (come ho già ricordato, non ce ne sono solo due: esistono le persone intersessuali e transessuali, che in diversi modi smentiscono la dicotomia) si ha soltanto qualora si ritenga fondamentale sapere a priori se un rapporto sessuale fra due persone è potenzialmente fecondo; se si concepisce la società umana come un gregge di cui il pastore vuole massimizzare la fecondità (per avere una prole quantitativamente più abbondante e qualitativamente superiore), allora l'informazione è fondamentale.

Se si ritiene invece che tocchi agli individui scegliere i(l) propri(o) partner, e che in questa scelta sono tollerati i consigli, ma bandite le interferenze, allora l'informazione sul sesso biologico e l'identità di genere di una persona non è di interesse pubblico - va considerata un dato sensibile che solo il titolare può decidere se ed a chi rivelare.

Ma questo antibinarismo è troppo per molte persone. A cominciare da quello che accusò un serio libro di psicologia di essere ispirato all'"ideologia del gender" perché usava la rispettabile locuzione "identità di genere".

Quel signore vieterà all'elettricista di usare il cercafase mentre aggiusta l'impianto elettrico, e poi si lamenterà che in casa sua chi tocca una lampadina con le mani bagnate prende la scossa anche quando la lampada è spenta!

Raffaele Yona Ladu