giovedì 14 gennaio 2016

Tredici erranti

Per l'esame di Metodologia del Dialogo Interreligioso della Facoltà Valdese di Teologia, ho dovuto leggere vari documenti delle chiese protestanti e riformate sul dialogo ebraico e cristiano. La lettura di tutti è stata piacevole, salvo di quello che allego qui:

(inizio)

«Considerazioni sul sussidio ecclesiastico per il rinnovamento del rapporto di Cristiani ed Ebrei»
di 13 professori di teologia dell'università di Bonn

L'esigenza che ha spinto il Sinodo renano e, prima di esso, altri organi ecclesiastici e che contrassegna il sussidio, cioè la ricerca e la promozione dei dialogo con l'Ebraismo, coscienti della colpa storica nei confronti dell'Ebraismo, e il tentativo di definire a nuovo il rapporto di Cristiani ed Ebrei è da accogliere senza riserve. In particolare, bisogna assentire con forza alla valutazione positiva dell'Antico Testamento che fin dall'inizio unisce Cristiani ed Ebrei.

Nei dettagli, tuttavia, il sussidio dà motivo a grosse considerazioni teologiche.

1. Il sussidio non distingue tra Israele ed Ebrei, e precisamente fra l’Israele dell'Antico Testamento, l'Israele come è compreso nel Nuovo Testamento e definito da un lato Israele con durevole prerogativa salvifica (Rom 9,4), dall'altro Israele-secondo-la-carne (1 Cor 10,18); gli Ebrei come definizione neotestamentaria di coloro i quali non riconoscono il Cristo; gli Ebrei post-neotestamentari come Ebraismo del Talmud; come pure le altre, molto differenziate figure dell'Ebraismo medioevale e moderno.

2. Questa terminologia confusa e indifferenziata ha per conseguenza una confusione di contenuti: come portatori della promessa e come popolo eletto possono esser considerati allo stesso modo: l'Israele dell'Antico Testamento; l'Israele secondo-la-carne post Christum natum; Ebrei che respingono Cristo; Ebrei della Torah; Ebrei in senso giuridico e nel senso della legislazione ebraica secondo la Halakah (b Kid 68b), cioè persone di madre ebrea.

3. Il contenuto della «promessa» non viene espresso chiaramente in nessun posto, sebbene, secondo l'unanime testimonianza del Nuovo Testamento, in e attraverso Cristo si realizzi il compimento di ogni promessa e Cristo stesso sia questo compimento (Le 4,21; 2 Cor 1,20; 6,1).

4. Non si è considerato che gli specifici contenuti veterotestamentari della promessa e i beni salvifici come il possesso della terra, il divenire popolo o l'esistenza etnica hanno perduto significato - malgrado il permanere della dimensione terrena della salvezza donata in Cristo - per Gesù e per i testimoni di Cristo del Nuovo Testamento. È caratteristico della concezione del Regno propria di Gesù (e del Battista) il fatto che l'appartenenza alla nazione ebraica non fonda più alcuna pretesa alla partecipazione alla salvezza ventura. L'Ebreo in quanto tale non ha alcuna garanzia di salvezza. Dio può suscitare figli ad Abramo dalle pietre (Le 3,8). Per i Cristiani, dunque, i contenuti veterotestamentari della promessa - terra e divenire popolo - non possono più esser beni salvifici di fronte alla salvezza già donata in Cristo, la quale consiste nella libertà dalla legge, dal peccato e dalla morte (Fil 3,7). Come è certo che la Bibbia ebraica non può per questa ragione essere ritenuta globalmente vecchia nel senso di liquidata e superata, così però essa è Antico Testamento, perché essa può rivendicare una validità cristiana solo in quanto essa è confermata e presupposta dall'avvenimento centrale della testimonianza neotestamentaria a Cristo. La Chiesa cristiana non ha mai letto e utilizzato diversamente l'Antico Testamento. Esso conserva proprio come Antico Testamento il suo significato e il suo onore nella predicazione cristiana.

5. Il sussidio determina il rapporto Antico Testamento-Nuovo Testamento esclusivamente in senso «storico-salvifico» - nel senso della teologia della storia della salvezza del 19' secolo - secondo lo schema promessa adempimento, vecchio patto-nuovo patto e tenta di determinare il rapporto fra Cristianesimo ed Ebraismo a partire da questo presupposto storico-salvifico.

Questa impostazione, assunta acriticamente, non è affatto biblicamente documentabile, poiché per il Nuovo Testamento non è rilevante il prima dell'Antico Testamento in quanto tale, ma la preesistenza della «Scrittura» (1 Cor 10,11: 15,3 s; Le 4,21; Rom 4,23; e in particolare Gal 3,8.22) in cui la storia d'Israele è conservata come storia di Dio con Israele. La continuità storico fattuale tra Abramo e gli Ebrei è proprio teologicamente irrilevante secondo Rom. 4,13; Gal 3,7, cfr. Rom 9,7s.

Per Gesù è proprio caratteristico il fatto che egli sviluppi la sua concezione della salvezza - a averlo compreso, perché questo aspetto non è mai stato corretto con inserti secondari nella tradizione sinottica. Solo Paolo e la lettera agli Ebrei affiancano antico e nuovo patto, e, significativamente, in modo radicalmente antitetico (Gal 3,15.17; 4,24; 2 Cor 3,6.14; Ebr 8,7.13).

6. Affermazioni essenziali dell'apostolo Paolo, dunque proprio di quel testimone che, in quanto ebreo divenuto cristiano, sì è occupato più intensamente del problema affrontato dal sussidio, rimangono totalmente non considerate. La frase sulla radice che porta i cristiani, usata come un motto, viene estrapolata dal contesto dell'argomentazione e viene convertita in un Leitmotiv che ormai dice il contrario di quel che Paolo chiaramente pensa e che si può leggere già nel verso successivo: «Bene; sono stati troncati per la loro incredulità, e tu sussisti per la fede; non t’insuperbire, ma temi». Il mistero escatologico (Rom 11,25s), secondo cui «tutto Israele sarà salvato» non fonda alcuna via particolare alla salvezza (cfr. 11,23).

L'Ebraismo come esso si è sviluppato in epoca post-esilica e poi sotto l'influenza del Farisaismo e diversamente dall'Israele dell'Antico Testamento, ha il suo appoggio stabile nella Tora come l'intera rivelazione di Dio, che contrassegna l'Ebraismo in modo esclusivo; secondo la comprensione cristiana Cristo è la fine di questa Tora come via di salvezza. Ebraismo della Tora e fede in Cristo sono perciò due cose diverse e inconciliabili (Fil 3,4-9). È spiacevole, ma caratteristico per il sussidio, che solo un Ebreo esprima questa chiara conoscenza (pp. 33 e 39 del sussidio).

7. La confessione della colpa o della complicità alla persecuzione omicida contro gli Ebrei e l'indignazione per l'accaduto non dovrebbero offuscare lo sguardo, impedendo chiare conoscenze e distinzioni teologiche, come avviene nel sussidio. La confessione della colpa e della complicità non dovrebbe neppure fraintendere l'ideologia nazionalsocialista e i suoi crimini come se fossero cristiani o commessi o provocati dai Cristiani in quanto tali. L'ideologia nazionalsocialista era altrettanto apertamente non cristiana e anti-cristiana che antiebraica.

8. È assolutamente possibile ammirare e stimare gli Ebrei e affermare e sostenere attivamente lo stato d'Israele, senza dare a questa simpatia una motivazione «storico-salvifica» e senza dover sacrificare o anche solo relativizzare fondamentali verità cristiane che separano Ebraismo e Cristianesimo.

9. Gli Ebrei in quanto posteri dell'Israele dell’Antico Testamento, sono i discendenti del popolo eletto da Dio. Sono, come tutti gli uomini, «sotto il peccato» (Rom 3,9.23s). Per loro, come per tutti gli uomini, valgono le promesse che si sono adempiute in Cristo. Il loro più importante bene ereditario che essi, come i Cristiani, ereditarono da Israele, è la Bibbia ebraica, l'Antico Testamento cristiano. Questa eredità comune a Cristiani ed Ebrei unisce Ebraismo e Cristianesimo; la diversa interpretazione che se ne dà e il diverso uso che se ne fa - senza Cristo, a partire da Cristo - è quello che li divide.

Altrimenti tra Ebrei e non Ebrei non sussiste di fronte a Dio alcuna differenza (Gal. 5,6. 6,15 come pure Gal 3,27-29). Una posizione particolare di fronte a Dio basata sull'appartenenza o sull'origine etnica è estranea alla predicazione di Cristo.

10. Siccome l'Evangelo di Cristo vale per tutti gli uomini, la chiesa non può rinunciare a indirizzare il suo messaggio a tutti gli uomini (Mt 28,19s). La predicazione dell'Evangelo di Cristo rivolta ad Ebrei non può, evidentemente, apostrofarli come pagani e neppure pretendere che la conversione alla fede in Cristo debba avere per conseguenza lo staccarsi dalla comunione ebraica di popolo e di tradizione, come mostra Gal 2,1-10.

I Professori K.H. Faulenbach; J.F.G. Goeters, E. Gráßer, A.H.J. Gunneweg, H.J. Hermisson, M. Honecker, H. Karpp, G. Krause, 0. Plóger, H.J. Rothert, K. Scháferdiek, W. Schneemelcher, W. Schrage.

Da: Christen und Juden. Eine Schwerpunkt-Tagung der Landessynode der Evangelischen Landeskirche in Baden, 10-11. November 1980 in Bad-Herrenalb, pp. 182-183.

(fine)

Direi che il documento è riuscito a far arrabbiare un ebreo umanista come me, e temo che uno teista si arrabbierebbe ancora di più. Cominciamo con il rileggere questo paragrafo.

(inizio)

Altrimenti tra Ebrei e non Ebrei non sussiste di fronte a Dio alcuna differenza (Gal. 5,6. 6,15 come pure Gal 3,27-29). Una posizione particolare di fronte a Dio basata sull'appartenenza o sull'origine etnica è estranea alla predicazione di Cristo.

(fine)

La prima frase: "tra Ebrei e non Ebrei non sussiste di fronte a Dio alcuna differenza" mi piacerebbe anche, perché gli ebrei umanisti e quelli ricostruzionisti non credono all'Elezione d'Israele, e sembrerebbe che gli autori del documento vogliano un mondo in cui tutti i popoli abbiano gli stessi diritti e doveri.

Sottoscriverei anche, ma i paragrafi iniziali chiariscono che ben altro è l'intento degli autori:

(inizio)

1. Il sussidio non distingue tra Israele ed Ebrei, e precisamente fra l’Israele dell'Antico Testamento, l'Israele come è compreso nel Nuovo Testamento e definito da un lato Israele con durevole prerogativa salvifica (Rom 9,4), dall'altro Israele-secondo-la-carne (1 Cor 10,18); gli Ebrei come definizione neotestamentaria di coloro i quali non riconoscono il Cristo; gli Ebrei post-neotestamentari come Ebraismo del Talmud; come pure le altre, molto differenziate figure dell'Ebraismo medioevale e moderno.

2. Questa terminologia confusa e indifferenziata ha per conseguenza una confusione di contenuti: come portatori della promessa e come popolo eletto possono esser considerati allo stesso modo: l'Israele dell'Antico Testamento; l'Israele secondo-la-carne post Christum natum; Ebrei che respingono Cristo; Ebrei della Torah; Ebrei in senso giuridico e nel senso della legislazione ebraica secondo la Halakah (b Kid 68b), cioè persone di madre ebrea.

(fine)

Che cosa fa di un gruppo di persone un popolo? L'accordo reciproco. Chi ha diritto di aggiungere o togliere persone da quel popolo? Chi di quel popolo fa parte.

Di quest'elementare nozione di diritto internazionale i tredici autori dell'articolo se ne sono ricordati? No, visto che, pur confessando tutti e tredici di non essere ebrei, pretendono di stabilire chi è ebreo e chi non lo è.

E la frase: "Gli Ebrei in quanto posteri dell'Israele dell’Antico Testamento, sono i discendenti del popolo eletto da Dio" è semplicemente iettatoria. Gli ebrei sono il popolo vivente che ha redatto la Bibbia, non i suoi eredi, e tutte le sottili distinzioni dei tredici autori, qualunque sia la loro giustificazione storica o teologica, sono tra persone in egual titolo ebree. Perché rimproverare il sussidio di aver evitato una discussione di lana caprina?

Se è vero che il profetismo, l'apocalittica ed il medio giudaismo (testimoni le citazioni neotestamentarie dei tredici professori, a cui posso aggiungere Romani 9:6 ed Apocalisse 2:9) si sono chiesti quali ebrei avrebbero meritato il mondo a venire, il giudaismo rabbinico ha risolto il problema affermando che "Tutto Israele ha una parte nel mondo futuro" (Mishnah, Sanhedrin 11:1) e "Israele ha peccato, ma è pur sempre Israele" (Talmud babilonese, Sanhedrin 44a).

Laicamente, questo significa che nessun ebreo è escluso dal popolo d'Israele (salvo casi estremi). Il sussidio che i tredici autori contestano rispetta l'autocomprensione ebraica, i tredici la violano.

Da un punto di vista non più laico, ma religioso, dovrei osservare che una tradizione ebraica ama paragonare le persone ai libri, e viceversa - Heinrich Heine, quando disse che: "Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini", non ha trovato l'ispirazione lontano da lui, visto che era un ebreo convertito al cristianesimo.

Quando un ebreo muore, lo si piange come se fosse andato perduto un "Sefer Torah = Rotolo della Torah", perché non esiste ebreo completamente alieno alla Torah ed ai Precetti - cosa che i tredici autori hanno dimenticato, quando hanno disquisito su chi è incluso nel Patto di Abramo.

Mettersi a scegliere chi è ebreo e chi non lo è diventa a questo punto un problema simile a quello di scegliere quali opere debbono far parte del canone biblico. Il paragone è tantopiù appropriato in quanto Sam Berrin Shonkoff, nella prefazione ad un libro dell'esegeta ebreo Michael Fishbane, ha scritto:
In nessun posto colpisce la concretezza dell'ermeneutica ebraica in modo più evidente che nelle provocatorie indicazioni di Michael Fishbane secondo cui l'esegesi biblica non assume solo forma verbale - e perciò neppure la teologia (esegetica) ebraica. Già nella Bibbia, sostiene Fishbane, ci sono "due tipi diversi di tradizione esegetica: quella che riceve la sua dignità dalle sue origini verbali nelle Scritture, e quella che riceve tale dignità dalla comunità religiosa che vive secondo la Scrittura, i cui costumi quindi possono essere fedelmente ritenuti una forma di esegesi non verbale." Si riferisce a quest'ultimo tipo di esegesi alternativamente come "vita scritturale" ed "esegesi come azione". In breve, azione rituale e "zitathaftes leben nel suo pieno senso incarnato" [non conosco il tedesco, ma dalle mie ricerche in internet sembra che l'espressione significhi 'vita imprigionata nelle citazioni', ed è stata inventata da Thomas Mann] sono siti centrali dell'espressione teologica. Fishbane enfatizza questa dimensione corporea del pensiero ebraico negli ultimi capitoli di Exegetical Imagination, dove scivola dalla "teologia speculativa verso qualcosa come una teologia pratica ebraica".
Ovvero, ogni ebreo è chiamato ad interpretare la Torah non solo con la parola, ma anche con l'esempio (il Gesù che si lamenta in Matteo 23:2-3 che gli scribi ed i farisei parlano bene, ma agiscono male, si pone appunto su questa linea di pensiero), e regolare la composizione del popolo ebraico significa anche stabilire che esegesi le generazioni presenti e future daranno alla Torah.

I tredici che si mettono a sindacare chi è davvero un contraente del Patto di Abramo riaprono quindi, a loro modo, la disputa sul canone biblico - una disputa sempre interessante, ma da condurre con misura.

Si cita spesso la posizione di Lutero, per il quale il "canone del canone" biblico è Gesù - questo documento riporta tali parole di Lutero: "Tutti i libri genuinamente sacri concordano in questo, che tutti quanti predicano ed inculcano Cristo. E questo è il vero saggio con cui giudicare tutti i libri - se inculcano o meno Cristo".

Non sono cristiano, e quindi, pur osservando che gli ebrei riformati hanno un approccio verso la Scrittura mutuato in parte da quello cristiano protestante, mi limito a rispettare l'opinione di Lutero senza condividerla.

Direi però che più importante dei dubbi di Lutero sul libro di Ester (che non gli hanno impedito di includerlo tra i libri canonici) è il fatto che né Lutero né i suoi discepoli hanno mai espunto un libro dal canone prototestamentario stabilito ad Yavneh (e nel Secondo Testamento, anche la Prima Lettera di Giacomo e l'Apocalisse sono rimasti ad onta dello sprezzante giudizio di Lutero) - per deferenza verso l'"hebraica veritas", intesa sia come elenco dei libri accolti come sacri dagli ebrei, sia come testo in lingua ebraica dei medesimi.

Ed il documento prima citato avverte che il "canone del canone" secondo Lutero non autorizza a stabilire quali libri biblici escludere, ma semmai quali prediligere, visto che tutti vanno comunque presi sul serio.

Fin qui, la cosa è ragionevole: anche un rabbino dà più importanza alle opinioni di rav Aqiva che a quelle di Srulik (personaggio dei fumetti che rappresenta l'israeliano maschio medio degli anni '60-'70-'80); ma le disquisizioni dei tredici erranti riaprono la disputa sul canone in un modo che non si è mai visto dai tempi, se non di Marcione, di von Harnak.

Non è necessario partire dal paragone ebraico "persona = libro" per arrivare a questa conclusione. Se Dio ha stipulato un patto con gli ebrei, questo patto è tra un soggetto unico (anche se non necessariamente unitario) ed un soggetto collettivo; e come si stabilisce chi fa parte di quel soggetto collettivo?

Dio interviene qualche volta per togliere (con la pena del "karet = estirpazione"), ma non gli viene chiesto con un oracolo se e chi aggiungere - è chi è già ebreo che lo fa, e Dio ratifica, non solo perché del suo popolo ha fiducia, ma perché, da buon monarca costituzionale che ha "ottriato" la Torah, anche lui è vincolato dalle decisioni di un tribunale.

I tredici erranti negano al popolo ebraico questo elementare diritto; e mi spiace far notare che Jean Paul Sartre aveva osservato nel 1945, trentacinque anni prima che uscisse il loro articolo:
Se si vuole sapere che cos'è l'Ebreo contemporaneo, bisogna interrogare la coscienza cristiana: bisogna chiederle non "che cosa è un Ebreo", ma "che cosa hai fatto degli Ebrei?". L'Ebreo è un uomo che gli altri uomini considerano Ebreo. Ecco la verità semplice da cui bisogna partire. In questo senso il democratico ha ragione contro l'antisemita: è l'antisemita che "fa" l'Ebreo.
È come se i tredici erranti avessero fatto atterrare il loro aereo in un aeroporto in fiamme - non possono dire di non aver visto in che guaio andavano a cacciarsi.

Raffaele Yona Ladu, ebreo.

mercoledì 23 dicembre 2015

Brogliaccio zoroastriano

Un problema che devo affrontare per un esame (Metodologia del Dialogo Interreligioso) è l'influenza dello zoroastrismo sul giudaismo esilico. Mi sono infatti lamentato che il libro "Ricerca delle tracce. Le religioni universali in cammino / Hans Küng" ignora lo zoroastrismo, sebbene sia una religione tuttora praticata, ed abbia influenzato grandemente il giudaismo, ed attraverso esso cristianesimo ed islam.

Un famoso zoroastriano era il bisessuale Freddie Mercury, ma quello che ha attirato la mia attenzione è la voce "Zoroastrism" dell’Encyclopedia of Homosexuality, secondo cui il famoso versetto di Levitico 18:22:

וְאֶ֨ת־זָכָ֔ר לֹ֥א תִשְׁכַּ֖ב מִשְׁכְּבֵ֣י אִשָּׁ֑ה תֹּועֵבָ֖ה הִֽוא׃

(We-et_zakhar lo tishkav mishkeve ishshah – to'evah hi)

"E con un maschio non giacerai i giacigli di una donna – è cosa indegna [del popolo santo di Dio]”

e quello di Levitico 20:13 (non Deuteronomio, come ha scritto l'autore):

וְאִ֗ישׁ אֲשֶׁ֨ר יִשְׁכַּ֤ב אֶת־זָכָר֙ מִשְׁכְּבֵ֣י אִשָּׁ֔ה תֹּועֵבָ֥ה עָשׂ֖וּ שְׁנֵיהֶ֑ם מֹ֥ות יוּמָ֖תוּ דְּמֵיהֶ֥ם בָּֽם׃

(We-ish asher yishkav et_zakhar mishkevey ishshah to'evah 'asu shneyhem mot yumatu demeyhem bam)

"E l'uomo che giacerà con un maschio i giacigli di una donna, hanno fatto cosa indegna [del popolo santo di Dio], entrambi saranno inesorabilmente messi a morte ed il loro sangue ricadrà su di loro".

sarebbero stati ispirati da uno dell’Avesta (Vendidad 8:32), che recita:

“L’uomo che giace con un mascolino come un uomo giace con un femminino, o come una donna giace con un mascolino, è l’uomo che è un Daeva; questi è l’uomo che rende culto ai Daeva, cioè un amante maschile dei Daeva, cioè un amante femminile dei Daeva, cioè una moglie del Daeva. Questi è l’uomo che è malvagio come un Daeva, che in tutto il suo essere è un Daeva; questo è l’uomo che è un Daeva [già] prima di morire, e diventa uno dei Daeva non visti dopo la morte: così è lui, sia che abbia giaciuto con un mascolino da mascolino, o da femminino” [ovvero, “insertivo” e “ricettivo” sono egualmente rei].

Inevitabile quindi chiedersi se davvero l'omofobia presente nel "Codice di Santità" del Pentateuco, attribuito alla Fonte Sacerdotale, è ascrivibile all’influenza zoroastriana; ci sono molte discussioni sulla datazione e sulla redazione del Vendidad, e perfino sul suo valore canonico (gli zoroastriani riformisti riducono il canone ai Gathas [che fan parte dello Yasna], in quanto sono le uniche parti dell'Avesta sicuramente opera di Zarathustra), ma si ritiene normalmente che il Vendidad sia stato redatto a partire dall'8° Secolo AEV, prima quindi del Codice di Santità (5° Secolo AEV circa).

È stato inoltre notato nell'Encyclopaedia Iranica che gli sciiti duodecimani (la religione di stato iraniana) sono più omofobi dei sunniti, anche se i dotti esitano ad attribuir ciò al substrato zoroastriano, e tutto questo accresce il rimpianto per l’omissione dello zoroastrismo dalla trattazione di Hans Küng.

Lo zoroastrismo, prima che si irrigidisse in una chiesa sotto i Sassanidi (224-651), era una religione molto più tollerante delle successive religioni abramitiche - infatti il Cilindro di Ciro mostra che Ciro 2° il Grande, sovrano achemenide per cui lo zoroastrismo era già religione di stato, potè conquistare Babilonia nel 540 AEV appropriandosi del culto di Marduk e dei generi letterari della propaganda reale assira per legittimare il proprio dominio, senza che a Pasargade, la sua capitale in Persia, qualcuno avesse da ridire (a Salomone ed agli Omridi invece il Deuteronomista non gliela lasciò passare liscia); e gli zoroastriani d'oggi amano vantarsi dell'influenza che la loro fede ha avuto sulle altre religioni.

Un esempio lo troviamo nell'articolo Zoroastrianism and Judaism: The Genesis of Comparative Beliefs of two Great Faiths, che si può riassumere così: la si può rinvenire anche in altri passi della Fonte Sacerdotale (tra cui il racconto della creazione che si trova in Genesi 1), non solo nel Codice di Santità (che risente della preoccupazione dello zoroastrismo dell'epoca per la purezza rituale e la sacralità del culto), nonché nel Deuteroisaia, il quale dice di Ciro in Isaia 45:1:

כֹּה־אָמַ֣ר יְהוָה֮ לִמְשִׁיחֹו֮ לְכֹ֣ורֶשׁ אֲשֶׁר־הֶחֱזַ֣קְתִּי בִֽימִינֹ֗ו לְרַד־לְפָנָיו֙ גֹּויִ֔ם וּמָתְנֵ֥י מְלָכִ֖ים אֲפַתֵּ֑חַ לִפְתֹּ֤חַ לְפָנָיו֙ דְּלָתַ֔יִם וּשְׁעָרִ֖ים לֹ֥א יִסָּגֵֽרוּ׃

(Koh_amar YHWH li-mshicho le-Khoresh asher_hechezaqti bi-yimino le-rad_lefanaw goyim u-matney melakhim afatteach lefatteach lefanav delatayim u-shearim lo yissageru)

"Così disse YHWH al suo Messia, a Ciro che afferrai per la sua destra perché scendessero davanti a lui le nazioni, e aprirò i lombi dei re per aprire davanti a lui i due battenti, e le porte non si chiuderanno".

Ciro viene qui chiamato "il Messia", l'"unto di YHWH", e non solo tanta ammirazione può aver veicolato l'imitazione, ma la sua descrizione ricorda un brano del Cilindro di Ciro:

"Egli (Marduk) scrutò tutte le contrade, cercando un giusto regnante ... pronunciò il nome di Ciro, re di Anshan ... per farne il sovrano del mondo intero. Il grande signore Marduk, protettore del suo popolo, vide con piacere le sue buone opere (quelle di Ciro) e gli ordinò di marciar contro la città di Babilonia".

e la descrizione che il Deuteroisaia fa di YHWH ricorda quella che i Gathas di Zarathustra fanno di Ahura Mazda, la divinità zoroastriana del bene - confrontiamo Isaia 45:7:

יֹוצֵ֥ר אֹור֙ וּבֹורֵ֣א חֹ֔שֶׁךְ עֹשֶׂ֥ה שָׁלֹ֖ום וּבֹ֣ורֵא רָ֑ע אֲנִ֥י יְהוָ֖ה עֹשֶׂ֥ה כָל־אֵֽלֶּה׃ ס

(Yotzer or u-vore choshekh 'oseh shalom u-vore ra', ani YHWH 'ose kol_elleh. Sela)

"Formo la luce e creo la tenebra, faccio la salute e creo il male, io, YHWH faccio tutto questo. Pausa".

con Yasna 44:5:

"Questo ti chiedo. Dimmi davvero qual artefice ha creato i corpi luminosi e gli spazi oscuri? Quale artefice ha creato sia il sonno che l'azione? ..."

Ma è soprattutto la tensione escatologica ed apocalittica che il giudaismo esilico sembra aver attinto dallo Zoroastrismo: per quest'ultimo, se l'epoca presente è sotto il dominio di Angra Mainyu, il principio del male, alla fine dei tempi egli sarà sconfitto, per inaugurare un tempo di "Frasho Kereti = eterna beatitudine".

L'influenza tra le due religioni è stata notevole; Hans Küng delle religioni che ha trattato ha descritto i mutamenti di "paradigma" (nel senso di Thomas S. Kuhn, ovvero di fratture nell'evoluzione di una religione), ed il contributo che possono dare all'etica mondiale ("Weltethos") che lui intende costituire.

Secondo me, i paradigmi dello zoroastrismo sono questi:
  1. Era pre-achemenide (1700? AEV – 648 AEV)
  2. Religione di stato persiana - dagli achemenidi agli arsacidi (648 AEV – 241)
  3. Religione di stato persiana - periodo sassanide (242 - 651)
  4. Religione di minoranza sotto l’islam (651 – 800)
  5. Transizione al pahlavico e migrazione di molti in India (800 – 1800)
  6. Innovazioni dottrinali e divisione in tre gruppi (1800 – oggi)
Nello schema compilato per l'esame, avevo conglobato i paradigmi 2 e 3, non essendomi reso conto che la tolleranza che lo zoroastrismo aveva manifestato al tempo di Ciro (e che aveva portato sotto i parti al proliferare di sette spesso sincretiche ed idolatriche) sarabbe stata sostituita dai sassanidi da un'intolleranza portata avanti da una gerarchia ecclesiastica centralizzata, intolleranza sia verso gli zoroastriani dissidenti (come i Zurvani, che ritenevano che Zurvan, il Tempo, fosse il genitore dei due "gemelli" Ahura Mazda ed Angra Mainyu - in questo modo riconducevano il dualismo zoroastriano ad un monoteismo), che contro le altre religioni.

Ne fecero le spese i manichei, i cristiani, e gli ebrei, che ricordano tale intolleranza in un modo curioso: il rito ashkenazita prevede che lo Shema' Yisrael si reciti due volte la mattina, non una sola come prescrive la Bibbia (Deuteronomio 6:7).

La spiegazione che ne danno i libri di preghiera è questa: l'intolleranza dei sassanidi era tale che gli ebrei non potevano sempre permettersi di recarsi in sinagoga a recitare questa preghiera, per cui decisero di sdoppiarne la recitazione - una volta la mattina presto a casa (privatamente), un'altra volta in sinagoga (collettivamente), se la situazione lo consentiva.

Il sopraggiungere dell'intolleranza significa per me un cambio di paradigma; l'innovazione dottrinale principale del 19° Secolo (paradigma #6) viene, curiosamente, da un non zoroastriano, l'orientalista tedesco Martin Haug (1827-1876), che studiò i parsi (gli zoroastriani migrati in India, e precisamente nel Gujarat), e suppose che il dualismo tra Ahura Mazda ed Angra Mainyu non fosse originario - ovvero che Angra Mainyu fosse una creatura di Ahura Mazda.

La concezione viene ritenuta ebraica e cristiana (il Satana che si accanisce su Giobbe ed il Principe di Questo Mondo di cui parla il Vangelo secondo Giovanni sono comunque creature divine), più che zoroastriana (ad onta dei Gathas prima citati, in cui Ahura Mazda rivendica l'aver creato ogni cosa), ma fu accolta dai parsi, che ora la ritengono parte della loro dottrina, che adesso può considerarsi una forma di monoteismo.

Allo schema dei paradigmi va affiancato quello dei valori che possono entrare a far parte dell'etica mondiale preconizzata da Hans Küng:
  1. Rettitudine (“Buoni pensieri, buone parole, buone azioni”)
  2. Veracità (la menzogna viene severamente riprovata)
  3. Iniziativa e generosità (la salvezza qui viene dalle opere)
  4. Responsabilità verso se stessi e gli altri (come sopra)
  5. Eguaglianza tra tutte le persone, indipendentemente dal genere, dalla razza, dal colore (solo la rettitudine crea gerarchia)
  6. Tutela dell’ambiente (forse è la prima religione al mondo ad esigerla)
  7. Ricerca di una legge naturale (“Asha” in avestico)
  8. Attenzione all’igiene (l’attenzione alla purezza adattata ai tempi)
Può sembrare strano che uno debba attingere codesti valori proprio dalla religione zoroastriana, ma Hans Küng non li ha attinti da nessun'altra delle religioni che ha citato (religioni tribali, religione cinese, induismo, buddhismo, ebraismo, cristianesimo, islam).

Ed è curioso che in nessuna di queste religioni abbia rinvenuto l'eguaglianza dei generi.

Raffaele Yona Ladu, ebreo

giovedì 17 dicembre 2015

Traduzioni di Matteo 1:25

Il 16/12/2015 ho preso 30/30 in Greco 1 ed Ebraico 1; dopo l’esame di Greco e prima di quello di Ebraico, un altro studente alla Facoltà Valdese mi ha chiesto di verificare Matteo 1.25, in quanto la Nuova Riveduta (valdese) così traduce (vedete qui):
e non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio; e gli pose nome Gesù.
E la CEI (cattolica) traduce cosà (copio la versione della TOB):
senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.
La verifica del testo greco l’ho fatta sul Nestle Aland 28, che così riporta il versetto:
καὶ οὐκ ἐγίνωσκεν αὐτὴν ἕως οὗ ἔτεκεν υἱόν· καὶ ἐκάλεσεν τὸ ὄνομα αὐτοῦ Ἰησοῦν.
Chi non conosce il greco antico quasi sempre ha un amico che ha frequentato il liceo classico (le differenze tra il greco classico e quello dell'NT sono in questo caso di scarso rilievo), e può confermare che la traduzione più fedele è quella della Nuova Riveduta.

Rammento che già in greco classico capita di trovare il verbo "gi[g]nòsko = io conosco" nel senso di "ho rapporti sessuali con ...", e nella Bibbia viene usato per tradurre il verbo ebraico "yada' = egli conobbe", che spesso e volentieri in quella lingua indica il conoscere nel modo più appassionante.

I valdesi approfittano di questo versetto per la loro apologetica, io invece ho ambizioni ecumeniche; perciò mi limito ad osservare che a chi ci ha tramandato Matteo 1:25 interessava soltanto dimostrare che Gesù non lo aveva generato Giuseppe, non descrivere la vita coniugale di Giuseppe e Maria, di cui forse sapeva meno di quello che vorremmo.

Non amo le traduzioni infedeli, e sarebbe stato secondo me ben più opportuno per la CEI tradurre fedelmente e scrivere in nota quello che ho detto, od altre considerazioni teologiche pertinenti - così facendo si è messa invece in una posizione indifendibile.

La TOB, che nella versione italiana segue il testo CEI, dice in nota:
(...) Nel linguaggio biblico il verbo conoscere può indicare le relazioni sessuali (Gn 4,1.17; cf Lc 1,34, nota j). Mt intende sottolineare che Maria era vergine alla nascita di Gesù. Si può pensare al modo con cui Dio nell'AT proteggeva la gravidanza di Sara e di Rebecca fino alla nascita di Isacco e di Giacobbe, i padri del popolo eletto (Gn 20; 26). Il testo non permette di affermare che Maria abbia avuto in seguito rapporti con Giuseppe.
Se si è sicuri delle proprie buone ragioni, perché non tradurre fedelmente? Lo aveva già fatto Girolamo scrivendo (secondo quest'edizione della Vulgata Pio-Clementina):
Et non cognoscebat eam donec peperit filium suum primogenitum : et vocavit nomen ejus Jesum.
Poiché le parole "suum primogenitum" non erano confermate dal testo greco, la Nova Vulgata ha così corretto:
et non cognoscebat eam, donec peperit filium, et vocavit nomen eius Iesum 
Non è facile imparare lingue come l'ebraico ed il greco, ma sono lo stretto indispensabile per non essere alla mercé dei traduttori.

La precauzione è particolarmente importante per chi è italiano - la chiesa cattolica USA si è ben guardata da questa sciocchezza e nella sua ultima traduzione della Bibbia ha scritto:
He had no relations with her until she bore a son,* and he named him Jesus.
La nota a cui rimanda l'asterisco traccia un parallelo con Luca 1:27 e dice:
* [1:25] Until she bore a son: the evangelist is concerned to emphasize that Joseph was not responsible for the conception of Jesus. The Greek word translated “until” does not imply normal marital conduct after Jesus’ birth, nor does it exclude it.
Non sarebbe il caso che i vescovi cattolici italiani imitassero i loro colleghi d'oltreoceano?

Raffaele Yona Ladu


giovedì 26 novembre 2015

Guarigioni operate di sabato da Gesù

L'ebraismo è un'ortoprassi (ovvero è più un retto comportamento che una retta dottrina), e perciò, ogni volta che si va ad esaminare i rapporti tra Gesù e gli ebrei suoi contemporanei (come ad esempio i farisei), si studia come Gesù obbediva ai precetti della religione ebraica.

I Vangeli tramandano una disputa sul lavarsi le mani prima di mangiare, e Gesù risponde correttamente ai farisei che quella a cui tengono tanto è una norma rabbinica, non biblica; aggiungo che, se non ci fossero i Vangeli, di quell'obbligo si parlerebbe per la prima volta nella Gemarah, la parte più tarda del Talmud, che si cominciò a redigere nel 350 EV.

La disputa tra Gesù ed i farisei su quest'argomento è perciò intervenuta ben prima che la norma diventasse vincolante per tutti gli ebrei (ortodossi) - Gesù poteva dissentire senza che lo si considerasse meno ebreo dei suoi avversari.

Più serio caso è l'osservanza del Sabato, che pone spesso Gesù in conflitto con i farisei del suo tempo; la precisazione non è oziosa perché penso proprio che gli ebrei ortodossi di oggi (che discendono idealmente quasi tutti dai farisei - le uniche eccezioni che conosco sono i caraiti ed i Beta Israel) darebbero ragione a Gesù e non ai suoi avversari quando Gesù guariva di Sabato.

Innanzitutto, sul piano del metodo, l'articolo [1] fa notare che le obiezioni di Gesù provengono dal dibattito rabbinico del suo tempo (di cui anzi sono tra le prime attestazioni), quindi Gesù resta dentro l'ebraismo anziché uscirne.

Sul piano del merito, esaminiamo i casi che sono riuscito a rintracciare (tutte le versioni sono della Nuova Riveduta):

Luca 14:1-6:

1 Gesù entrò di sabato in casa di uno dei principali farisei per prendere cibo, ed essi lo stavano osservando, 2 quando si presentò davanti a lui un idropico. 3 Gesù prese a dire ai dottori della legge e ai farisei: «È lecito o no fare guarigioni in giorno di sabato?» Ma essi tacquero. 4 Allora egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5 Poi disse loro: «Chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?» 6 Ed essi non potevano risponder nulla in contrario.

Marco 3:1-6 [vedi anche Matteo 12:9-13 e Luca 6:6-11]:

1 Poi entrò di nuovo nella sinagoga; là stava un uomo che aveva la mano paralizzata. 2 E l'osservavano per vedere se lo avrebbe guarito in giorno di sabato, per poterlo accusare. 3 Egli disse all'uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati là nel mezzo!» 4 Poi domandò loro: «È permesso, in un giorno di sabato, fare del bene o fare del male? Salvare una persona o ucciderla?» Ma quelli tacevano. 5 Allora Gesù, guardatili tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza del loro cuore, disse all'uomo: «Stendi la mano!» Egli la stese, e la sua mano tornò sana. 6 I farisei, usciti, tennero subito consiglio con gli erodiani contro di lui, per farlo morire.

Giovanni 5:1-16 [vedi anche qui per un commento al brano]:

1 Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
2 Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. 3 Sotto questi portici giaceva un gran numero d'infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici[, i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua; 4 perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l'acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l'acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito].
5 Là c'era un uomo che da trentotto anni era infermo. 6 Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» 7 L'infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». 9 In quell'istante quell'uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare.
10 Quel giorno era un sabato; perciò i Giudei dissero all'uomo guarito: «È sabato, e non ti è permesso portare il tuo lettuccio». 11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina"». 12 Essi gli domandarono: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina?"» 13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, perché in quel luogo c'era molta gente. 14 Più tardi Gesù lo trovò nel tempio, e gli disse: «Ecco, tu sei guarito; non peccare più, ché non ti accada di peggio». 15 L'uomo se ne andò, e disse ai Giudei che colui che l'aveva guarito era Gesù. 16 Per questo i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo; perché faceva quelle cose di sabato.

Luca 13:10-17:

10 Gesù stava insegnando di sabato in una sinagoga. 11 Ecco una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito che la rendeva inferma, ed era tutta curva e assolutamente incapace di raddrizzarsi. 12 Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». 13 Pose le mani su di lei, e nello stesso momento ella fu raddrizzata e glorificava Dio. 14 Or il capo della sinagoga, indignato che Gesù avesse fatto una guarigione di sabato, disse alla folla: «Ci sono sei giorni nei quali si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire, e non in giorno di sabato». 15 Ma il Signore gli rispose: «Ipocriti, ciascuno di voi non scioglie, di sabato, il suo bue o il suo asino dalla mangiatoia per condurlo a bere? 16 E questa, che è figlia di Abraamo, e che Satana aveva tenuto legata per ben diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?» 17 Mentre diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, e la moltitudine si rallegrava di tutte le opere gloriose da lui compiute.

Marco 1:29-31 [il contesto fa capire che era di Sabato - vedi anche Matteo 8:14-15 e Luca 4:38-39]:
29 Appena usciti dalla sinagoga, andarono con Giacomo e Giovanni in casa di Simone e di Andrea. 30 La suocera di Simone era a letto con la febbre; ed essi subito gliene parlarono; 31 egli, avvicinatosi, la prese per la mano e la fece alzare; la febbre la lasciò ed ella si mise a servirli.
Sulla base di [2] mi permetto di dire che:

- l'idropisia, di cui si parla in Luca 14:1-6, è una grave forma di edema, che per i medici di oggi indica una grave malattia del cuore, del fegato, o dei reni. Il malato si sta avviando verso la morte, e chi può salvarlo lo deve fare in ogni giorno dell'anno;

- se la mano di cui parlano i Sinottici era ἐξηραμμένην (exeramménen), cioè "inaridita", penso che la malattia che l'aveva colpita, progredendo, avrebbe portato alla perdita completa della funzione o dell'arto - un ottimo motivo per intervenire anche di Sabato;

- in tutti gli altri casi il paziente non era in grado di vivere una vita normale, tant'è vero che in due di essi si era dovuto mettere a letto per la paralisi o la febbre - anche questo è un buon motivo per intervenire di Sabato.

Quando non c'è di mezzo il pericolo di morte, ma il paziente è abbastanza ammalato da meritare un intervento, sarebbe opportuno apportare uno "shinui = cambiamento" nella normale procedura, per eliminare così completamente la  trasgressione del Sabato.

Non ci vuole molto - un esempio moderno che si fa è che uno chiama la guardia medica premendo i tasti del telefono con le nocche delle dita, anziché con i polpastrelli; oppure entra in macchina dalla parte del passeggero anziché del guidatore.

Questo, ovviamente, se si è SICURI di aver tempo da perdere e di non fare comunque danno al paziente - se si ha il sospetto invece che tempo da perdere non ce ne sia, si ricade nel caso del pericolo di morte, e trasgredire il Sabato nel modo più efficace possibile diventa un dovere, non una facoltà.

Non ho cercato di capire quale fosse il modo di procedere abituale di Gesù quando guariva i malati (ed i Sinottici raccontano la guarigione della suocera di Pietro descrivendo la procedura in modi diversi - temo dunque che sia impossibile stabilirlo), e se quindi di Sabato adottasse un modo speciale - credo però che sia un dettaglio.

Gli ebrei trascurano di Sabato solo le banalità di cui si è sicuri che non abbiano conseguenze, e cercano di evitare di aver bisogno di medicine od interventi chirurgici in quel giorno, e di trovarsi quel giorno in convalescenza. Ma se non si riesce ad evitarlo, pazienza.

Come disse rav Shim'on figlio di Menasya [3]. "Nota quello che è scritto: 'Osserverete dunque il Sabato perché è un giorno santo per voi' [Esodo 31:14]. È a voi che viene dato il Sabato, non voi al Sabato". Non è un argomento dissimile da quello di Gesù: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" [Marco 2:27].

Raffaele Yona Ladu, ebreo



Bibliografia

[1] Why doctors can heal on Shabbat

[2] 17. Tochen - Part 2: Healing on Shabbat.html

[3] Il vangelo ebraico : Le vere origini del cristianesimo / Daniel Boyarin (purtroppo il traduttore italiano non aveva mai letto una Bibbia in vita sua, e non si è reso conto che la parola inglese "you" andava qui intesa come "voi" anziché "tu").

martedì 3 novembre 2015

La piscina di Betseda e Giovanni 5:1-15

Leggiamo Giovanni 5:1-15 nel testo della Nuova Riveduta (per altre traduzioni cliccate qui):
1 Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 
2 Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. 
3 Sotto questi portici giaceva un gran numero d'infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici[, i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua; 
4 perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l'acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l'acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito]. 
5 Là c'era un uomo che da trentotto anni era infermo. 
6 Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» 
7 L'infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me». 
8 Gesù gli disse: «Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». 
9 In quell'istante quell'uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare. 
10 Quel giorno era un sabato; perciò i Giudei dissero all'uomo guarito: «È sabato, e non ti è permesso portare il tuo lettuccio». 
11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina"». 
12 Essi gli domandarono: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina?"» 
13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, perché in quel luogo c'era molta gente. 
14 Più tardi Gesù lo trovò nel tempio, e gli disse: «Ecco, tu sei guarito; non peccare più, ché non ti accada di peggio». 
15 L'uomo se ne andò, e disse ai Giudei che colui che l'aveva guarito era Gesù.
Il brano contiene un’incongruenza. Di sabato infatti non è vietato ad un ebreo prendere in mano oggetti (se così fosse, non riuscirebbe nemmeno a mangiare di sabato); è vietato farli entrare od uscire da un edificio od un’area recintata. Ed è inoltre vietato trasportare un oggetto all'interno di un'area pubblica per più di 4 cubiti (1,7 metri).

Se voi andate in sinagoga di sabato (cioè tra il tramonto del venerdì e quello del sabato), voi vedete che i fedeli entrano a mani vuote, prendono il libro di preghiera da uno scaffale dentro la sinagoga, lo portano al loro banco, e dopo la preghiera lo ripongono nello scaffale.

Tutto questo non è violazione del sabato – la violazione ci sarebbe se per sbadataggine un fedele portasse il libro fuori (e raddoppierebbe se il fedele percorresse più di 4 cubiti prima di accorgersene).

Perciò, Gesù non ha istigato il paralitico guarito a violare il sabato dicendogli: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”.

Secondo me le cose sono andate così: l’unico modo lecito per obbedire a Gesù in quel momento era continuare a fare il giro della piscina fino alla fine del sabato, magari proclamando: “Ero paralitico da trentott’anni e sono stato guarito!”

Ma l’ex-paralitico non lo ha capito, ed ha pensato invece a tornare a casa.

Ma quando si è avvicinato all’uscita, ha trovato i farisei che gli hanno detto che non poteva portare il lettuccio - notare che i farisei, anche nel testo greco, non hanno precisato "portare fuori".

Penso che i farisei avessero notato e volessero comunicare all'ex-paralitico che lui stava per violare il sabato due volte: la prima facendo uscire il lettuccio dall'edificio, la seconda portandolo per più di 4 cubiti all'esterno della piscina.

Lui però non se la sentiva di abbandonare quello che era probabilmente il suo unico avere, e per giustificarsi ha tirato in ballo chi lo aveva guarito.

I farisei avrebbero dovuto rendersi conto, già dalle parole dell’ex-paralitico, che non gli era stato detto niente di sbagliato, ma non ci sono arrivati. E nemmeno l'evangelista.

Uno si fa una domanda teologica: la paralisi dell’uomo era conseguenza del peccato, oppure il peccato a cui allude Gesù è stato commesso dopo la guarigione di lui?

Per esempio, scaricando una sua colpa su Gesù?

Raffaele Yona Ladu

lunedì 28 settembre 2015

Provvisorio commento al Libro di Giona
















Essendomi stato chiesto da un'allieva della Facoltà Valdese di Teologia di parlare del Libro di Giona [0], provo a dirne provvisoriamente qualcosa.

L’islam non è una religione indipendente da ebraismo e cristianesimo, ed anzi spesso è prezioso perché esso ha accolto tradizioni che ebrei e cristiani hanno rifiutato – quindi val sempre la pena indagare su come il Corano e la Sunna rendono una storia biblica, ed è interessante perciò il sito [1].

Nella versione che riporta del racconto, Yunus = Yonah = Giona è reso quasi superfluo: infatti egli abbandona la missione dopo aver vanamente tentato di convertire gli abitanti di Ninive, ma Dio rimedierà atterrendo gli abitanti con un prodigio - il cielo che diventa innaturalmente rosso, annunciando una tempesta mai vista. Quando Giona tornerà a Ninive dopo peripezie simili a quelle bibliche, gli rimarrà solo da ammaestrare gli abitanti al culto dell’unico Dio.

Negli ahadith, Giona è meritevole di stima per il modo in cui ha pregato dentro il pesce che lo aveva ingerito, quando la situazione era disperata, venendo così miracolosamente salvato, non per il primo vano tentativo di convertire i niniviti.

Invece, nella versione ebraico-cristiana, Giona è indispensabile per questa missione – nessun altro la può fare. Non è chiaro il perché, ma posso pensare che Giona fosse un predicatore/darshan eccezionale, capace di portare Dio in mezzo a coloro che lo ascoltavano.

Gli abitanti di Ninive non potevano essere convinti da un prodigio, ma potevano credere alla testimonianza di un altro essere umano.

In Matteo 16:1-4 [2] Gesù allude al medesimo prodigio di cui parleranno gli ahadith citati in [1] (il cielo che diventa rosso), ma avverte anche che il medesimo segno non è univoco, ed a seconda del momento può essere benigno (annunciare il sereno) o maligno (annunciare una tempesta).

Leggete qui (Versione Nuova Riveduta):
1 I farisei e i sadducei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova e gli chiesero di mostrare loro un segno dal cielo.
2 Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: "Bel tempo, perché il cielo rosseggia!"
3 e la mattina dite: "Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo!" L'aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli?
4 Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno, e segno non le sarà dato se non quello di Giona». E, lasciatili, se ne andò.
Credo che l'affinità tra il brano evangelico di [2] e gli ahadith di [1] testimoni che (come spesso accade, ricordava Shlomo Dov Goitein) quegli ahadith riprendano dei midrashim ebraici poi dimenticati (o respinti, precisa Pawel Gajewski), e che questi fossero già diffusi all'epoca di Gesù.

Gesù sembra sfidare i suoi avversari lasciando intendere che non devono credere che le cose accadranno come in quei midrashim, ovvero che, se non credono al profeta inviato loro, Dio Benedetto comunque darà loro un'altra chance inviando un prodigio che li costringerà a ricredersi.

Cosa più importante, un segno celeste non può provare nulla (concorderanno qualche secolo dopo i medesimi farisei che lo chiesero a Gesù, in bBava Metzi'a 59b [3] - e forse per questo quei midrashim sono stati abbandonati dagli ebrei e solo i mussulmani li hanno tramandati sotto forma di ahadith: erano ormai diventati incompatibili con la nuova “teologia” ebraica) perché può essere comunque interpretato in molti modi. La fede in Dio è innanzitutto la fiducia in chi lo annuncia - e per questo Gesù, il segno richiesto, non lo dà.

Tutto questo conferma che per convincere occorre argomentare, non semplicemente mostrare, e questo Giona lo sapeva bene, visto che i midrashim, questa volta tramandati dagli ebrei e riassunti in [4], dicono che egli aveva già avuto grande successo, convertendo gli abitanti di Gerusalemme - ed a leggere le lamentele non solo dei Vangeli, ma anche dei Profeti, doveva essere stato il capolavoro della sua vita!

Ma la gratitudine non è la specialità di nessuno, ed i gerosolimitani, anziché ringraziarlo per aver salvato loro la vita, sparlarono di lui dicendo che aveva “toppato” e non lo si poteva perciò considerare un vero profeta.

Per questo (i midrashim cercano sempre di scagionare i personaggi biblici - ed anche gli ahadith citati mostrano un Giona che la sua missione aveva provato ad adempierla, ed aveva solo ceduto allo sconforto), non aveva voluto andare a Ninive – temeva di lavorare solo per guadagnarsi un’altra volta l’ingratitudine di coloro che salvava.

Secondo lo Zohar, quando Giona arrivò a Joppe/Giaffa per imbarcarsi e continuare la sua fuga, non trovò alcuna nave in porto – da due giorni erano salpate tutte. Ma l’Eterno mandò un vento contrario che ne riportò una (e solo quella! Le altre continuarono la loro rotta) in porto, per permettere a Giona di salirvi a bordo.

Giona non era uno stupido, ed il prodigio era evidente – ma deve aver creduto che Dio avesse voluto informarlo di aver rinunciato ad affidargli quella missione, e per quello gli metteva a disposizione la nave per andarsene lontano dalla Sua Presenza. Come ho scritto prima, i prodigi sono spesso ambigui, ed anche un profeta del valore di Giona può fraintenderli.

Giona era tanto persuaso della sua interpretazione da permettersi il lusso non solo di pagare tutto il viaggio in anticipo (cosa contraria all'uso dell'epoca, secondo i midrashim citati), ma anche di dormire profondamente in mezzo alla tempesta, convinto di non correre alcun pericolo.

Sia in Levitico 16:7-8 [5] che nel Libro di Giona si tirano le sorti per decidere che capro o che persona sacrificare – e questo stabilisce un legame tra i due libri. Ma ben diverso è il comportamento delle persone.

Che io sappia, nessun Sommo Sacerdote si è mai vergognato di dovere la salvezza del suo popolo all'aver abbandonato ad Azazel un capro scelto a sorte, ma i marinai della nave fanno invece una cosa semplicemente pazzesca in Giona 1:13.

Ho fatto da giovane un corso di vela, e mi è stato spiegato che, se ci si trova in mezzo ad una tempesta, ci si deve “mettere alla cappa” – ovvero rimanere in acque profonde, mettere la prua controvento (è la posizione in cui lo scafo è meno sollecitato dal vento e dalle onde), regolare le vele od i motori in modo da frenare la nave, ed aspettare che la tempesta passi, sperando che lo scafo nel frattempo regga.

Cercare di accostare ha senso solo se si può entrare in un porto sicuro, con acque profonde all’ingresso e calme all’interno. Altrimenti avvicinarsi alla riva significa solo che, non appena si arriva dove il fondale è meno profondo delle onde, la nave viene o schiacciata contro il fondale, o scagliata contro la costa. Si perdono scafo, carico e vite umane. Complimenti al nocchiero!

O l’autore del libro biblico non capiva niente di nautica (e la cosa è possibile – la Bibbia non è un libro di scienza e, al contrario degli israeliani di oggi, gli israeliti di allora temevano il mare), oppure ha voluto descrivere dei marinai così riluttanti al dovere la vita al sacrificare una persona estratta a sorte, da preferire il morire tutti loro invece.

Si va oltre Abramo che intercede per Sodoma e Gomorra in Genesi 18 [6], badando bene però a non rimanere lui invece vittima dell'ira divina; si arriva al livello di Mosé, che in Esodo 32 [7] dice a Dio che preferisce morire piuttosto che sopravvivere al popolo d’Israele che aveva peccato!

In Esodo 32:26-27 Mosè mobilita i leviti per sterminare gli ebrei peccatori; i marinai invece non vogliono assolutamente fare questo - la rigida esclusiva difesa dell'identità ebraica diventa un'inclusività che cerca di salvare pure chi Dio ha (solo) apparentemente condannato a morte.

La solidarietà collettiva, valore ebraico fondamentale, non si esprime qui estirpando chi può attirare sulla comunità l'ira divina, ma cercando ad ogni costo di salvargli almeno la vita.

Non si creda che l'innovazione sia solo nei Profeti: in Deuteronomio 22:8 [8], brano che il calendario ebraico fa leggere nell'imminenza dello Yom Kippur, si prescrive di costruire un parapetto intorno ad una terrazza, perché la casa non sia responsabile del sangue di chi cade da lì.

L'interpretazione ebraica comune è che, se Dio vuol far cadere qualcuno, non c'è modo di impedirglielo, ma guai ad essere il suo strumento in questo! Bisogna sempre proteggere una vita umana - non tocca ad un essere umano chiedersi che cosa Dio vuole farne. Era stato l'errore di Giona questo, ma i marinai se ne guardano bene.

Uno dei midrashim citati in [4] dice che, dopo aver visto che Giona si era salvato, i marinai che lo avevano gettato in mare si convertirono all'ebraismo - direi che loro si erano già comportati in maniera sublimemente ebraica, e che questa conversione era solo un pro forma.

E loro poterono poi convertirsi, a dar retta al midrash, perché l’Eterno non voleva vittime inutili, ma che Giona fosse ingoiato dal pesce – perciò questa pazza manovra non riesce, la nave resta in mare aperto, e Giona viene gettato in mare.

Di quel pesce i Pirqei de-rav Eli'ezer e lo Zohar, citati in [4], dicono che era tra le cose create all'inizio dei tempi; l'elenco classico di queste cose, che si trova in Bereshit Rabba 1:4 [9], è questo:
  1. la Torah;
  2. il Trono di Dio;
  3. i Patriarchi (concepiti nel pensiero, non ancora effettivamente generati);
  4. il popolo d'Israele (anche qui, concepito nel pensiero, non ancora effettivamente costituito);
  5. il Tempio (anche qui, solo nel pensiero);
  6. il nome del Messia;
  7. il pentimento (teshuvah), secondo l'isolato ma autorevole parere di rav Ahava Brei D'rav Zera.
Sono tutte cose senza le quali l'ebraismo era (ed è) inconcepibile dai rabbini; aggiungere il pesce che avrebbe ingoiato Giona significava renderlo uno dei fondamenti dell'ebraismo.

Viene il sospetto che lo scopo di tutta la missione non fosse convertire i niniviti, ma Giona; e che per riuscirci fosse necessario proprio quel pesce.

Di tutte le cose che [4] dice di lui, due mi hanno particolarmente colpito: la prima è che Giona poteva vedere quello che c'era intorno al pesce (o attraverso gli occhi del pesce, o grazie ad una perla prodigiosa che quel pesce conteneva), la seconda è che Giona fu condotto dal pesce a vedere le meraviglie dell'oceano, tra cui il tratto del Mar Rosso che gli ebrei attraversarono uscendo dall'Egitto, ed i pilastri della terra.

Di codesti pilastri le Massime dei Padri, Capitolo 1 [10], danno due definizioni alternative:
[1:2] Simeone il Giusto era tra gli ultimi superstiti della Grande Assemblea. Diceva: "Il mondo si regge su tre cose: la Torah, il culto, e le opere di bene". 
[1:18] Rav Simeone figlio di Gamaliele diceva: "Su tre cose si regge il mondo: la giustizia, la verità e la pace. (...)"
È solo perché entrambi i rabbini insistono che i pilastri della terra sono solo tre che non possiamo dare ragione ad entrambi - e sembra anche il rammarico del compilatore della Mishnah; quello che si può dire è che, se la prima definizione è precoce e particolaristica, ovvero si addice soprattutto agli ebrei, la seconda è tardiva ed universalistica, ovvero vale per tutti.

In teoria, non ci sarebbe bisogno di un pesce prodigioso per vedere quei pilastri, ma quel pesce non ha portato Giona in "visita guidata" ai luoghi focali (tra cui quello in cui gli ebrei attraversarono il Mar Rosso) della storia e dell'identità ebraica solo per aumentare la sua cultura generale - il viaggio subacqueo doveva edificare Giona facendogli capire che la sua missione a Ninive continuava e compiva il lavoro iniziato da Mosé con la costituzione del popolo ebraico, facendo di questo popolo uno strumento di redenzione delle nazioni.

Come spiegò rav Elia Benamozegh (1824-1900) in [11], il popolo ebraico è come un ordine religioso che ha bisogno, per mantenere la sua coesione interna, di una regola più rigida (la Torah) di quella che predica ai laici (il noachismo).

Gli ebrei tendono a vedere nello Yom Kippur una giornata che riguarda solo loro, ed i brani del Pentateuco prescritti per quel giorno incoraggiano questo; ma il Libro di Giona, che anch'esso deve essere letto quel giorno, spiega come esso serva a preparare la redenzione anche delle nazioni.

In [12] avevo commentato Matteo 20:1-16, facendo notare che quella parabola sembra proprio un sermone di Kippur, ed avevo contestato la classica interpretazione cristiana (secondo cui i primi chiamati a lavorare nella vigna sono gli ebrei, e gli ultimi i gentili), in quanto essa presupporrebbe che lo Yom Kippur fosse interpretato da Gesù in modo più universalistico di come fanno abitualmente gli ebrei.

Ma quello che ho detto ora della vicenda di Giona mi smentisce, in quanto mostra che un ebreo di grande caratura, come certo era Gesù, poteva averlo fatto. Un sermone di Kippur può essere aperto alla possibilità che anche i gentili beneficino dell'alleanza prima riservata agli ebrei - Giona, il riluttante ma fenomenale predicatore, così ha fatto con i niniviti.

Nel calendario ebraico, è Sukkot, la Festa dei Tabernacoli, quella in cui gli ebrei si preoccupano esplicitamente dei gentili, sacrificando 70 tori (uno per [mitica] nazione), finché c'era il Tempio, per espiarne i peccati; i rabbini hanno notato che le somiglianze tra le celebrazioni di Kippur e Sukkot non si limitano alla successione cronologica (vedi [13]), ma non so se sia mai stato tentato uno studio più approfondito del mio sull'universale valenza di Yom Kippur.

Si potranno dire tante altre cose, l'ultima delle quali mi pare: "Chi rappresenta Giona?" Tutte le risposte si possono sussumere ne: "Il redentore di tutte le nazioni". La mia personale interpretazione è che questo redentore sia il popolo ebraico nel suo complesso.

Yonah, la versione ebraica originale del nome Giona, vuol dire letteralmente "colomba" [Strong 03123], e la parola compare per la prima volta in Genesi 8:8 [14], quando Noé invia la colomba in ricognizione, ed in Genesi 8:11 la colomba torna con il ramoscello d'ulivo nel becco, a mostrare che Dio ha fatto pace con l'umanità e promulgherà il Brit Noach = Alleanza noachide con essa.

Giona, nuova colomba, deve proclamare alle nazioni quest'alleanza - superando i per altri versi comprensibili risentimenti verso la prima di loro, Ninive, attestati pure da Isaia, Naum, Sofonia.

Uno dei midrashim citati in [4] dice che Giona non pagò solo tutto il viaggio in anticipo - comprò pure nave e carico. Divenne perciò l'armatore, ed il fatto che i marinai si permettessero di intimargli di pregare (perlomeno) non deve stupire: in mare si obbedisce al capitano, e lo deve fare anche l'armatore, che in teoria potrebbe licenziarlo.

Inevitabile è paragonare nuovamente quella nave all'Arca di Noé - che impone a chi è a bordo un comportamento esemplare, e salva Giona in un modo a priori impensabile, portandolo all'appuntamento con il pesce. Puoi essere il padrone della barca, ma non decidi tu la rotta.

Raffaele Yona Ladu

domenica 20 settembre 2015

La più antifemminista delle religioni abramitiche

[0] Neged/contra Edith Stein

[1] Gendering the Human’s Soul in Islamic Philosophy An Analytical Reading on Mulla Sadra. - International Journal of Women's Research

Premessa: ritengo che la peggior forma di oppressione del gentil genere passi per l'essenzializzazione della differenza sessuale. Chi invece ritiene che essenzializzare voglia dire "liberare" può smettere di leggere quest'articolo, perché non troverà nulla con cui concordare - ed aspetto il giorno in cui, come ha essenzializzato la differenza tra uomini e donne, essenzializzerà quella tra ebrei e gentili, bianchi e neri, ecc., e riaccenderà i forni di Auschwitz per permettere alle persone di un'essenza di ardere quelle di diversa essenza.

Essenzializzare la differenza sessuale è una cosa che fa la Chiesa cattolica a partire dal pontificato di Giovanni Paolo 2°, e la canonizzazione di Edith Stein è stata strumentale in questo, come ho voluto mostrare in [0].

In [0] ho mostrato anche che, pur se ci sono ebrei abbastanza crudeli da essenzializzare la differenza tra ebrei e gentili, nessuno essenzializza quella tra uomini e donne - e perfino la Qabbalah, che distingue tra anime maschili ed anime femminili, non ne fa una differenza di essenza nel senso aristotelico del termine.

E che succede nella terza religione abramitica? [1] è un articolo pubblicato in inglese (non chiarissimo, e me ne duole) da una rivista iraniana, che recita a pagina 10 del PDF (i link li ho aggiunti io):
Le differenze tra uomo e donna secondo i filosofi islamici
Avicenna non ha discusso la differenza come un problema dipendente, ma considera le differenze tra uomo e donna classificate come accidenti della differenza umana nella categoria di caratteristiche di gruppo nel Libro della Guarigione. Egli definisce la femminilità e la mascolinità come accidenti creatori di gruppo e non come creatori di diverse specie. Suhrawardi (noto anche come il "Maestro dell'Illuminazione") definisce la specie umana come la combinazione di uomo/donna ed eccesso/età (Sadeqi, 2012, p.33). Mulla Sadra considera la femminilità e la mascolinità come caratteristiche di rango animale. È la distinzione del primo rango degli animali dalle piante. Perciò al genere non può riconoscersi la qualità di creatore di specie (Ibid: 34).
Quindi ... l'unica delle religioni abramitiche ad essenzializzare la differenza sessuale è quella cattolica contemporanea, insieme con alcune confessioni protestanti. Congratulazioni vivissime!

L'isteria sul genere è una lotta teologica di coloro che hanno voluto introdurre codesta essenzializzazione contro chi ha voluto mantenere la posizione tradizionale aristotelico/tomistica secondo cui le anime non hanno genere, e minaccia di tralignare in una persecuzione contro chi rifiuta l'essenzializzazione per motivi religiosi (ebrei e mussulmani, per incominciare).

Raffaele Yona Ladu