martedì 6 dicembre 2016

Religione e stato in Israele



L'articolo [1] è problematico per due motivi.

Il primo è che la separazione della religione dallo stato è indispensabile per l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge - se questa separazione manca, una delle religioni praticate dai cittadini verrà privilegiata sulle altre, con effetti che tutti gli ebrei che hanno vissuto almeno un Sabato nella Diaspora hanno potuto constatare.

Non è che quello che è cattivo quando nuoce agli ebrei diventa buono quando li privilegia. Hillel disse [bShabbat 31a] di non fare al proprio "chaver" quello che a sé è sgradito - ed anche se "chaver = amico, compagno, fidanzato" è il termine tecnico con cui un fariseo designava un altro fariseo, non vedo motivo di restringere l'applicazione della Regola Aurea soltanto agli ebrei osservanti.

Inoltre, anche se uno stato, come un monastero, fosse abitato soltanto da persone di una sola religione (ed una sola denominazione), mescolare stato e religione sarebbe comunque una pessima cosa. 

Due sono infatti le possibilità; la prima è che lo stato sottometta a sé la religione, dando origine al cesaropapismo, in cui il sovrano si ingerisce direttamente negli affari ecclesiastici, e trasforma i ministri del culto in propagandisti delle magnifiche sorti e progressive del governo, nonché in sacerdoti dell'identità nazionale, intesa magari in modo assai gretto (il sogno di Salvini, in una parola).

La seconda è che la religione si impadronisca dello stato, come troppo spesso è accaduto in Italia e sta accadendo in Israele, sostituendo logiche religiose a logiche politiche o giuridiche, impedendo alle istituzioni pubbliche di fare il loro lavoro, e facendo prevalere sui rappresentanti del popolo i diktat di autorità religiose nel migliore dei casi autoreferenziali.

In entrambi i casi la religione viene snaturata e logorata, e nasce una dialettica malsana con lo stato. 

Per esempio, in Israele l'Alta Corte di Giustizia, che è un organo dello stato, funge anche da corte suprema dei tribunali religiosi. Non solo negli USA, ma perfino in Italia questa sarebbe considerata un'assurdità, eppure è inevitabile che questo accada in Israele perché i tribunali religiosi lì hanno anche funzioni civili.

Altro esempio: nel 2015 il ministro degli affari religiosi israeliano David Azoulay ha dichiarato che gli ebrei riformati non erano ebrei per davvero. Lui è stato rimproverato perfino da Netanyahu, ma va ricordato che il compito principale del ministero è distribuire i fondi pubblici alle singole fedi, ed è indispensabile per il ministro competente sapere quali persone vanno considerate ebree, quale personale ecclesiastico ebraico (rabbini, cantori, giudici, insegnanti, ecc.) merita uno stipendio, quali sinagoghe e quali scuole un contributo tratto dal capitolo di spesa "ebraismo".

Se lui dà fondi per gli ebrei a chi non ne ha diritto, si rende reo di peculato; perciò alla domanda che dalla redazione del Libro di Rut almeno trova solo risposte congetturali, provvisorie e parziali, cioè "Chi è ebreo?", si deve trovare una risposta se non religiosa almeno burocratica, per permettere al ministero degli affari religiosi di funzionare.

Abolite quel ministero, consentite a chi dona alla sua comunità religiosa preferita di detrarre la donazione dalle tasse, ed il problema viene risolto, o meglio, riportato alla sua sede propria.

Sono più generoso con la "Legge del Ritorno", che garantisce agli ebrei il diritto di migrare in Israele, se non altro perché la Conferenza di Evian del 1938, che doveva distribuire i profughi ebrei dalla Germania nazista tra i paesi partecipanti, si concluse con un fiasco, dimostrando che gli ebrei perseguitati non li voleva (e non li vuole) praticamente nessuno - ma se questa legge salva molte vite, crea anche strazianti drammi umani, separando le famiglie in cui solo alcuni componenti sono considerati ebrei dallo stato.

Sono tanti i disastri che provoca la mancata separazione della religione dallo stato - un famoso rabbino ortodosso, Yeshayahu Leibovitz, che aveva previsto i guasti dell'Occupazione su Israele, voleva per questo la separazione della religione dallo stato. Purtroppo non lo vogliono ascoltare.

L'altra cosa che non mi piace è l'affermazione di Eli Groner, direttore generale dell'Ufficio del Primo Ministro, secondo cui "gli israeliani vedono il loro primo ministro come il capo del mondo ebraico".

Quest'affermazione entra in contraddizione con quello che spesso gli ebrei israeliani (di destra) dicono agli ebrei della diaspora (di sinistra): "Non criticate le nostre scelte, perché voi non correte i nostri rischi". Ovvero, dei destini dello stato d'Israele deve decidere solo chi vive in Israele, e non tutti coloro che sono (potenzialmente) cittadini israeliani.

Ma questo ragionamento impedisce di definire Netanyahu il capo del mondo ebraico. Esiste un ente che vuole rappresentare il popolo ebraico nel suo complesso, il Congresso Mondiale Ebraico [2], ma è conosciuto praticamente solo dagli addetti ai lavori. E Benyamin Netanyahu dovrebbe evitare di fare ombra al suo presidente, Ronald S. Lauder.

Inoltre, il 20% dei cittadini israeliani non è ebreo, ed il governo israeliano deve pensare anche a loro, non far finta che non esistano, come spesso accade.

Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague

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