Il PDF (convertito in PNG) del certificato di conversione
Il certificato verrà prossimamente spedito al mio domicilio, con la firma della rabbina Miriam S. Jerris.
Come ho già ricordato qui, per la Society for Humanistic Judaism,
Un ebreo è una persona che si identifica con la storia, la cultura ed il futuro del popolo ebraico.
Per ottenere questo certificato occorre:
- Iscriversi alla Society for Humanistic Judaism (cliccando qui - vedi anche qui);
- Scegliere un nome ebraico (qui ho spiegato perché ho scelto Yona);
- Scrivere delle brevi riflessioni (in inglese) su che significato si attribuisce all'essere un ebreo umanista.
Vi allego le riflessioni in inglese, seguite dalla traduzione italiana, che sono piaciute alla rabbina Miriam S, Jerris:
I admit that the State of Israel has bewitched me, and I would like to live there, west of the Green Line. If I were an Israeli citizen I would pursue equal rights for all (independently of sex/gender, religion, ethnicity, sexuality, mother tongue, cultural identification, and so on), political democracy, social justice, environment protection, and peace with the Palestinians and the rest of the world. I would also like to take advantage of Israel being a crossroads of cultures (not just Jewish traditions) to help them blossom and hybridize.
If I could freely travel from Tel Aviv to Beirut, Damascus, Baghdad, Isfahan, and other wonderful cities to extend cultural ties with the people living there, it would be pure bliss. In my wildest dreams, the Israeli government stops taxing its citizens, and levies a surcharge on the thousands of electric trains shuttling every day between Asia and Africa instead (religious pilgrims to Israel, Medina, Mecca, and so on, would enjoy the same discount rate as students).
But living in Israel is a near impossible dream, so I have to fulfill my “calling” in Italy. Being Jewish means being acutely aware of the “minority stress” and of the dire predicament all minorities are in (the Shoah is a constant reminder). So, not only do I (culturally and politically) fight antisemitism, but also sexism, homophobia (most friends of mine are gay), biphobia (my wife is bisexual), transphobia, islamophobia, xenophobia, ziganophobia, religious and racial hatred. A precious thing I’ve learned from the Jewish philosopher Judith Butler is that most identities usually “naturalized” are actually social constructions (even God is a social construct, according to the midrash, “When you are my witnesses, I am God; and when you are not my witnesses, I am, as it were, not the Lord”).
So, most identities cannot claim any privilege, because they are just performances we keep rehearsing. Humanistic Judaism, which forgoes circumcision, and requires positive, continual self-identification instead, is the best example I know of.
And Jewish philosophers like Emanuel Lévinas and Jacques Derrida have convincingly taught about our duty towards the Other and the Ethics of Hospitality. The interpretation mainstream Judaism (and even the founder of Christianity – read Mt 10:11-15 and Lk 10:5-12) has always maintained about the tale of Sodom and Gomorrah is that their inhabitants’ sin was lack of hospitality and cruelty towards strangers, not sexual impropriety – anal rape was part of a mobbing strategy against poor foreigners (Lot and his family were tolerated because they were well-off), not a lustful behavior.
Alas, most developed countries have got a crush with the “midat Sdom”, or better, the “mitat Sdom”. I and my (Christian) wife are doing our best to help needy foreigners, by ourselves or through a Christian church, and even through an LGBT association (which strove to help migrant gay people to get political asylum – the first time I met my wife was there).
No culture grows in isolation: they are webs of relationships among persons, peoples, and other cultures. If cultures were drawn on a map, the frontiers would be no less interesting than the capital cities, the smugglers’ trails no less interesting than the high-speed railways – this is something I have learnt at university (I have a degree in psychology, and the subject I loved most was cultural anthropology – one of the many fields Jews have excelled in), while studying diversity in Judaism, learning about the interesting endeavor of Lazar Ludwik Zamenhof to create Esperanto, a vehicular language for the whole world, devised to express not just the core of a culture, but to relate peoples and cultures to each other, and while coming to terms with my wife’s bisexuality.
Bisexual people live at the boundary of different identities and negotiate among different desires – their hybridity takes a toll in terms of physical and mental health, not to speak of social status and opportunities, but it is a gift Diaspora Jews have been living with for millennia, and Humanistic Jews like me want to continue this noble tradition.
Ecco la traduzione [con delle spiegazioni tra parentesi quadre]:
Ammetto che lo Stato d’Israele mi ha stregato, e vorrei viverci, ma ad ovest della Linea Verde [quella che divide il territorio già israeliano prima del 5 Giugno 1967 da quello occupato nella Guerra dei Sei Giorni successivi]. Se fossi cittadino israeliano mi adopererei perché tutti avessero eguali diritti (indipendentemente dal sesso/genere, dalla religione, dall’etnia, dall’identità sessuale, dalla lingua madre, dall’identità culturale, eccetera), per la democrazia politica, la giustizia sociale, la protezione dell’ambiente, e la pace con i palestinesi ed il resto del mondo. Mi piacerebbe inoltre approfittare del fatto che Israele è un incrocio di culture (non solo di tradizioni ebraiche) per aiutarle a fiorire e ad incrociarsi.
Se potessi viaggiare liberamente da Tel Aviv a Beirut, Damasco, Baghdad, Isfahan, ed altre meravigliose città per stabilire legami culturali con le persone che ci vivono, sarebbe per me perfetta letizia. Nei miei sogni più audaci, il governo israeliano smette di tassare i suoi cittadini ed impone invece una sovrattassa sulle migliaia di treni elettrici che ogni giorno fanno la spola tra l’Asia e l’Africa (i pellegrini per motivi religiosi in Israele, la Medina, la Mecca, eccetera, pagherebbero la tassa con lo stesso sconto degli studenti).
Ma vivere in Israele è un sogno quasi impossibile, così devo realizzare la mia “vocazione” in Italia. Essere ebreo significa essere acutamente cosciente dello “stress da minoranza” e delle dure condizioni di vita di ogni minoranza (la Shoah non fa che ricordarcelo). Perciò, non soltanto lotto (culturalmente e politicamente) contro l’antisemitismo, ma anche contro il sessismo, l’omofobia (la maggior parte dei miei amici sono gay), la bifobia (mia moglie è bisessuale), la transfobia, l’islamofobia, la xenofobia, la ziganofobia (l’odio per i rom), l’odio religioso e razziale. Una cosa importante che ho imparato dalla filosofa ebrea Judith Butler è che la maggior parte delle identità che sono normalmente “naturalizzate” [ritenute date per natura] sono in realtà costruzioni sociali (anche Dio è un costrutto sociale, a dar retta al midrash [insegnamento tradizionale]: “Quando siete miei testimoni, sono il vostro Dio; quando non lo siete, per così dire, non sono il vostro Dio”).
Perciò, la maggior parte delle identità non può rivendicare alcun privilegio, in quanto sono solo recite che continuiamo a replicare. L’ebraismo umanista, che fa a meno della circoncisione, e richiede invece un’autoidentificazione esplicita e continua, ne è il miglior esempio che io conosca.
E filosofi ebrei come Emmanuel Lévinas e Jacques Derrida hanno insegnato e convinto sul nostro dovere verso l’Altro e sull’Etica dell’Ospitalità. L’interpretazione che il filone principale dell’ebraismo (e perfino il fondatore del cristianesimo – leggi Mt 10:11-15 e Lc 10:5-12) hanno sempre sostenuto sul racconto di Sodoma e Gomorra è che il peccato dei loro abitanti fu la mancanza di ospitalità e la crudeltà verso gli stranieri, non l’immoralità sessuale – lo stupro anale era parte di una strategia di mobbing contro gli stranieri poveri (Lot e la sua famiglia venivano tollerati perché benestanti), non un comportamento libidinoso.
Purtroppo, la maggior parte dei paesi sviluppati ora si è presa una cotta per le “maniere di Sodoma”, o meglio, per il “letto di Sodoma” [in ebraico c’è un gioco di parole intraducibile; il “letto di Sodoma”, come il “letto di Procuste” della mitologia greca, era un letto a cui venivano incatenati gli stranieri – se più lunghi del letto, gli si mozzavano le gambe; se più corti, gliele si tirava con forza]. Io e mia moglie stiamo facendo del nostro meglio per aiutare gli stranieri bisognosi, da soli od attraverso una chiesa cristiana, ed anche attraverso un’associazione LGBT (che cercava di aiutare i migranti gay ad ottenere asilo politico – mia moglie l’ho incontrata lì per la prima volta).
Nessuna cultura cresce isolata: esse sono reti di relazioni tra persone, popoli ed altre culture. Se si disegnassero le culture su una mappa, le frontiere non sarebbero meno interessanti delle capitali, i sentieri dei contrabbandieri non meno interessanti delle ferrovie ad alta velocità – è una cosa che ho imparato all’università (ho una laurea in psicologia, e la materia che mi piaceva di più era l’antropologia culturale – uno dei molti campi in cui hanno eccelso gli ebrei), mentre studiavo le diversità all’interno dell’ebraismo, imparavo qualcosa sul tentativo interessante di Lazar Ludwik Zamenhof di creare l'Esperanto, una lingua veicolare per il mondo intero, congegnata per esprimere non il nocciolo di una cultura, ma per mettere in relazione tra loro popoli e culture, e venendo a patti con la bisessualità di mia moglie.
Le persone bisessuali vivono al confine tra diverse identità e negoziano tra diversi desideri – la loro condizione ibrida paga uno scotto in termini di salute fisica e mentale, per non parlare di status sociale ed opportunità, ma è un dono con cui gli ebrei della Diaspora hanno vissuto per millenni, e gli ebrei umanisti come me vogliono continuare questa nobile tradizione.
Dovrei ora riprendere in mano la chavurà (gruppo di studio) Non è in cielo, ma ammetto di aver poco tempo per questo.
Raffaele Yona Ladu
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