Sto leggendo il libro Il pensiero ebraico nel Novecento / a cura di Adriano Fabris, il quale dedica un capitolo al celeberrimo rabbino polacco-americano Abraham Joshua Heschel (1907-1972) [specificare gli estremi della sua vita è necessario perché egli viene da un'antica famiglia chasidica, in cui almeno altri due omonimi hanno raggiunto gran fama], a cura di Paolo Gamberini.
Vi cito un brano del paragrafo L'oltre umano, alle pagine 118-119 (corsivi dell'autore, sottolineature mie):
Definendo l'uomo come essere del pathos, il nostro autore individua nel trascendimento-di-sé, che si esprime nelle diverse modalità coscienziali, la caratteristica essenziale dell'uomo. "La condizione più caratteristica dell'uomo è la scontentezza per il mero essere, originata da una sollecitudine che non si può far derivare dal semplice essere capitati qui, dall'esserci [...] La coscienza dell'io si manifesta nel suo essere sollecitata" (Heschel, 1971, p.161). Tale trascendersi del pathos dell'uomo spinge il nostro autore ad affermare che propriamente non esiste una natura umana, qualcosa di determinante che condizioni necessariamente l'uomo. L'uomo non è mai finito, non è un essere immutabile. "L'essenza dell'uomo infatti non si esaurisce in ciò che egli è, ma in ciò che può essere" (Heschel, 1970, p. 215). Queste possibilità sono dischiuse nell'immagine che ogni uomo cerca e sceglie di sé. "L'immagine dell'uomo influisce sulla natura dell'uomo. Ogni tentativo di dedurre un'immagine della natura umana si riduce alla deduzione di un'immagine che già originariamente vi era insita" (Heschel, 1971, p.17).
Heschel pone quindi una dialettica tra essere uomo (human being) ed essere umano (being human): una dialettica tra natura e cultura. Heschel vuole affermare così che l'uomo può comprendersi pienamente solo nel suo essere umano, cioè nel dover-essere, e non nel suo semplice essere-uomo. (...)
Come potete vedere, Heschel sconfessa qui completamente ogni antropologia di tipo scolastico - è non è il solo pensatore ebraico a farlo; ho citato qui rav Joseph Ber Soloveitchik (1903-1993) [anche nel suo caso occorre specificare l'intervallo della sua vita, e per lo stesso motivo - questi rabbini hanno molti celebri antenati di cui sviluppano il pensiero], e questo PDF cita un suo brano ancora più tranchant: la dignità umana non sta nel seguire la natura, ma nel vincerla.
Antonio Gramsci (1891-1937), come ho osservato qui, pur non essendo un ebreo religioso (era però un seguace dell'ebreo Karl Heinrich Marx [1818-1883], ed aveva sposato l'ebrea russa Julka Schucht [1894-1980]), aveva una concezione molto simile della natura umana - la differenza principale rispetto ad Heschel e Soloveitchik è che per loro Dio stimola l'uomo a trascendersi, mentre per Gramsci il motore dell'evoluzione dell'uomo è la Storia - leggiamo qui:
Che la “natura umana” sia il “complesso dei rapporti sociali” è la risposta più soddisfacente, perché include l'idea del divenire: l'uomo diviene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega “l'uomo in generale” (…). Si può anche dire che la natura dell'uomo è la “storia” (…) se appunto si dà a storia il significato di “divenire”, in una “concordia discors” che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile: perciò la “natura umana” non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del genere umano (…). (Gramsci, 1975, Q 7, § 35, p. 884)
Gli omofobi che fanno appello alla "natura umana" non stanno cercando solo di emarginare le persone LGBT, ma anche di delegittimare (non semplicemente confutare! Confutare significa provare la falsità di un'affermazione, delegittimare significa rendere impossibile discuterla) le posizioni filosofiche e religiose che rigettano l'antropologia scolastica.
L'unico pluralismo religioso che interessa alle Sentinelle in Piedi è quello controllato da loro. Gli ebrei in esso verrebbero perennemente emarginati.
Raffaele Yona Ladu
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