lunedì 10 ottobre 2016

Asperger ed etica, Kohlberg e qabalah















Ammetto che gli articoli [1] e [2] mi hanno alquanto infastidito, [1] più di [2], perché conclude che
Cercare di porre le persone che hanno ricevuto una diagnosi di AS [Sindrome di Asperger] in categorie morali ben definite può rivelarsi un serio problema. Non capiscono del tutto la "regola aurea" ed altri problemi morali che molte altre persone capiscono, ma questo non ne fa persone cattive. Quando ci prendiamo il tempo di capire che i loro motivi possono essere buoni e ci rendiamo conto che non capiscono in modo naturale [intuitivo?] alcuni concetti, forse possiamo giungere ad una rappresentazione più accurata degli stadi della moralità. [Corsivo e parole tra parentesi quadre mie]
Ok, non sono uno "stinco di santo", ma dal 1984 lavoro in una banca (un luogo in cui non si tollerano i disonesti), ed almeno a livello intelletturale capisco la "regola aurea", tant'è vero che di essa ho scritto in [3]. O sono un Asperger atipico, o Denise Drum, l'autrice di [1], non sapeva quello che scriveva.

L'articolo [2] è scritto meglio, ma mi infastidisce il fatto che affronti il problema dello sviluppo morale delle persone con disturbo dello spettro autistico dal punto di vista del diritto naturale [4], mentre io sono un positivista giuridico [5].

È facile colpevolizzare gli autistici per un* giusnaturalista, in quanto quello che è evidente per l*i non è evidente per loro. Inoltre, cosa che i giuspositivisti rammentano sempre ai giusnaturalisti, la legge e la morale hanno obbiettivi diversi.

Prendiamo un caso molto semplice: la legge italiana permette alla madre che non vuole allevare il/la figli* neonat* di non riconoscerl* e darl* in adozione; dal punto di vista morale, è un'aberrazione, perché si incoraggia così l'irresponsabilità.

Il giurista però sa che l'alternativa più probabile non è che la madre allevi il/la figli* comunque, bensì che tenti l'aborto, l'infanticidio, l'esposizione del* figli*. Offrirle la possibilità di mettere il/la bimb* al sicuro senza venirne riconosciuta come la madre e doverl* allevare uccide letteralmente meno dell'intransigenza.

Non pretendiamo dai neurodiversi quello che non pretendiamo dai neurotipici che siedono in Parlamento - ovvero di badare più ai principi che ai risultati! Cerchiamo inoltre di valutare lo sviluppo morale degli Asperger nel modo meno parziale possibile - ovvero, meno influenzato da una filosofia morale o del diritto particolare.

Un buon punto di partenza è [6], in quanto distingue l'autistico (che prova empatia, ma difetta in teoria della mente) dallo psicopatico (ottimo in teoria della mente, mancante in empatia), e spiega le difficoltà dell'autistico nel prendere decisioni morali: la sofferenza altrui lo coinvolge, ma può non rendersi conto di cosa la provoca, ed agire di conseguenza.

La filosofia morale di Hare che ho riassunto in [3], una reinterpretazione dell'imperativo categorico di Kant alla luce dell'utilitarismo di Mill, sembra fatta apposta per un Asperger: descrive la decisione morale come frutto di un calcolo, ma avverte che questo calcolo è spesso difficile (io aggiungo che è in linea di principio impossibile, perché le funzioni di utilità delle persone sono incomparabili - ovvero, anche il miglior neurotipico può non capire se ed in che misura una cosa giova o nuoce ad un'altra persona), e perciò nella vita pratica si ricorre a delle regole di comportamento che portano in circostanze normali a decisioni, se non eccellenti, almeno accettabili.

Hare però non sembra aver studiato lo sviluppo del pensiero morale, e chi lo fa (come anche [6]) si rifà normalmente alle teorie di Lawrence Kohlberg, che vi riassumerò basandomi su [6], [7], [8].

Come dice [9], il padre di Kohlberg, Alfred, era ebreo, e dopo il divorzio dei genitori Lawrence scelse di vivere con lui; inoltre, secondo [10], nel 1947 Lawrence fu tra le persone internate dagli inglesi a Cipro  per aver tentato di portare clandestinamente degli ebrei nel futuro Stato d'Israele (era il macchinista della nave Paducah, usata a questo scopo come la più famosa Exodus 1947), e dopo il rilascio visse per un po' in un kibbutz - non mi stupisce pertanto la somiglianza del modello dello sviluppo morale di Lawrence Kohlberg, non solo con quello di Jean Piaget [11], ma soprattutto con il modello cabalistico dell'anima di Yitzchaq Luria e Chayyim Vital che ho usato in [12].

Proviamo a riassumere il modello di Kohlberg con questo schema:

  • a) Stadi premorali/preconvenzionali:
    • 1) Obbedienza e punizione;
    • 2) Scambio strumentale;
  • b) Stadi di moralità convenzionale:
    • 3) Conformismo tribale od interpersonale;
    • 4) La legge e l'ordine;
  • c) Stadi di moralità postconvenzionale o basata sui principi:
    • 5) Diritti umani e contratto sociale;
    • 6) Principi etici universali.

E vediamo il modello di Luria e Vidal, ridotto a tre anime delle cinque originarie:

  • a) Nefesh = Anima inferiore, istintuale, motivata al proprio dovere dal timore di Dio;
  • b) Ruach = Spirito, emotivo, motivato dall'amore di Dio e dal desiderio di aderire a Lui;
  • c) Neshamah = Anima superiore, intellettuale, motivata dalla comprensione di Dio.

Secondo l'ebraismo (al contrario che nella filosofia greca e nel cristianesimo), ogni persona può avere fino a cinque anime, e nel modello lurianico le più importanti sono queste tre (perché tutte e tre fanno una persona completa, la persona si reincarna finché tutte e tre sono completamente perfezionate [13], e le ultime due sono accessibili solo all'esperienza mistica [14]): la persona più rozza ha solo la Nefesh; una persona migliore anche il Ruach; la persona superiore pure la Neshamah (in ebraico moderno sentirsi dire Neshamah vuol dire ricevere un gran complimento).

Allo stesso modo, nel modello di Kohlberg, non tutte le persone attraversano tutti gli stadi dello sviluppo morale - pochissimi arrivano al sesto stadio, e le persone più rozze nemmeno da adulte vanno oltre il primo.

E quando si attraversano i vari stadi? Secondo Kohlberg, gli stadi premorali/preconvenzionali non vengono superati prima dei 10-13 anni, e quelli di moralità convenzionale durano almeno fino alla mezza età - la maggior parte delle persone si ferma qui.

E secondo la qabalah? La Nefesh viene ricevuta alla nascita (altrimenti il corpo non può letteralmente respirare), il Ruach all'età del bat/bar mitzwah (12-13 anni), la Neshamah al ventesimo anno - sempreché il soggetto sia uno tzadiq = giusto, altrimenti l'ingresso di codeste anime viene ritardato così tanto da rendere magari necessarie una o più reincarnazioni.

Dopo aver evidenziato le contiguità tra il modello di Kohlberg e quello di Luria e Vital, posso chiedermi se davvero gli Aspie sono incapaci di comprendere completamente la "regola aurea" come afferma [1].

Innanzitutto, la "regola aurea", secondo Kohlberg, viene completamente compresa soltanto al sesto stadio dello sviluppo morale, che anche tra i neurotipici pochissime persone raggiungono. Non sarebbe quindi particolare demerito essere tra le moltissime persone che non ci arrivano, ma è comunque assai fastidioso sentirsi dire che la neurodiversità rappresenta un ostacolo insormontabile.

Inoltre, come ho ricordato in [3], la "regola aurea" non è cosa che si possa applicare istintivamente, come ben sapeva rav Hillel il Vecchio, che disse al candidato alla conversione che lo infastidiva:

Quello che a te è sgradito al tuo prossimo non lo fare. Questa è tutta la Torah, il resto è COMMENTO. Va' e STUDIA. [bShabbat 31a].

I rabbini avvertono che lo "studiare" serve proprio a sviscerare tutte le conseguenze di codesto principio etico fondamentale, basandosi anche sull'esperienza dei predecessori, racchiusa nei "commenti"; ed il principio agostiniano: "Ama e fa' ciò che vuoi" non ha impedito ai cristiani cattolici di sviluppare una complicata casistica per la loro teologia morale.

È difficile il compito, non arzigogolata la mente umana. E non c'è niente che un neurodiverso non possa fare, nel trarre le conseguenze della "regola aurea".

Nel riassunto che Coverston fa in [8] delle teorie di Kohlberg, è scritto del sesto livello: "Si comprende che Dio dice quello che è giusto proprio perché è giusto; non è che quello che dice è giusto perché è Dio a dirlo". Questo è un principio ebraico, ben spiegato in [15]: Dio non potè aver ragione nemmeno con dei miracoli, perchè, avendo egli investito i rabbini del potere di stabilire a maggioranza cosa era conforme o meno alla legge ebraica, dovette accettare il loro giudizio.

Nel brano talmudico citato [bBava Metzi'a 59a-b] si sente il sapore di una prova di forza, ma anche dello stesso spirito che ha animato gli ebrei che hanno chiesto conto a Dio delle particolari sofferenze che subiva il Suo popolo. E prima ancora Abraamo, che così rimproverò Dio in Genesi 18:25:
Non sia mai che tu faccia una cosa simile! Far morire il giusto con l'empio, in modo che il giusto sia trattato come l'empio! Non sia mai! Il giudice di tutta la terra non farà forse giustizia?

Siamo al sesto stadio dello sviluppo morale, anche se Abraamo qui non va fino in fondo per paura che Iddio si adiri e lo uccida (ho apprezzato molto un commento che fece la pastora Letizia Tomassone, da una prospettiva cristiana: Abraamo avrebbe dovuto continuare a trattare fino ad un giusto solo - il giusto in questione, Gesù Cristo per la pastora, avrebbe impedito la distruzione delle città e del mondo).

In un personale commento a Giona [16] ho lodato chi è andato oltre le paure di Abraamo, come Mosé che, intercedendo per il popolo ebraico che aveva peccato, dice che preferisce morire con esso che essere il capo di un nuovo popolo di santi, od i marinai che, pur di non gettare in mare Giona, cercano di approdare a riva durante la tempesta (questo in una tempesta "normale" non lo si deve fare perché significa far naufragare la nave), preferendo morire insieme con lui piuttosto che farlo morire.

Raffaele Yona Ladu, Genderqueer
Orgogliosamente ebre* ed Aspie

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