domenica 5 febbraio 2017

Moshe Idel contro i no gender

Mi permetto di riportare la prefazione (spezzandone alcuni paragrafi per evidenziare dei concetti) scritta da Moshe Idel (scusate se è poco) nelle pagine 7-9 del libro:

(Inizio)

La direttrice sessualizzante nella mistica ebraica


Nel pensiero ebraico è possibile individuare due diverse direttrici. La prima si sforza di attenuare la polarità sessuale, sia cercando di desessualizzare il mondo divino sia affermando che lo stato di perfezione trascende quella polarità. Questa tendenza alla desessualizzazione è rappresentata, nella filosofia ebraica, da Maimonide e dai suoi seguaci.

L'altra direttrice postula invece la centralità della polarità sessuale in diversi ambiti, compreso il mondo divino. In realtà uno dei principali contributi che certi mistici ebrei hanno dato all'ebraismo è stato proprio quello di sottolineare la necessità degli elementi maschile e femminile, non soltanto nel regno animale e nel mondo umano, ma anche al livello del cosmo e dell'universo divino. Già nel Talmud si legge che
«ogni cosa che Dio ha creato, l'ha creata maschio e femmina» [1],

ma nel pensiero rabbinico è difficile trovare una visione della realtà in cui vere e proprie ipostasi riflettano una polarità sessuale. Si trova invece qualcosa del genere nella letteratura gnostica, per esempio in un'interessante versione del racconto biblico del paradiso terrestre, dove si legge:
«Allora, adirato, il dio arconte degli eoni e delle forze ci divise: noi diventammo due eoni, e così la gloria che era nel nostro cuore abbandonò me e tua madre Eva» [2].

Adamo ed Eva, quindi, non sono più la prima coppia umana in un luogo paradisiaco, ma sono entità ipostatiche. Una tale elevazione dei due protagonisti riflette, a mio avviso, i mitologemi giudaici associati ad un tema che risente di un dibattito, riportato nel Simposio di Platone (189-191) sulla collera di Zeus che provoca la scissione delle due componenti di ognuno dei tre generi primordiali.

Questa sessualizzazione della realtà, che rispecchia precedenti fonti giudaiche, è stata accentuata da molti maestri cabbalisti fin dall'inizio di questa dottrina, come sappiamo da un testo di R. Avraham ben David, famoso autore del XII secolo che operò a Posuières, nella Francia meridionale. La Cabbalà zoharica ha dato a questa tendenza un'articolazione ancora più esplicita, che trova la sua formulazione nel trattato più esoterico dello Zohar stesso, dove si sostiene che, poiché non c'era equilibrio fra le potenze maschili e femminili all'interno del mondo divino, il processo di emanazione non poteva procedere.

Tuttavia, si danno anche casi in cui la polarità sessuale viene individuata all'interno dell'anima umana, come ci insegna, fra gli altri, l'opera di un maestro chassidico del XVIII secolo, R. Avraham Yehoshu'a Heschel, il Rabbi di Apta. Nel suo Sefer Ohev Yisra'el (libro dell'amante d'Israele) egli afferma, con espressioni che evocano la teoria junghiana di anima ed animus, che
«tutto nel mondo possiede necessariamente aspetti maschili e femminili. Questo è particolarmente vero per l'adoratore di Dio, che deve possedere gli aspetti del maschio e della femmina ... cioè quello dell'emanatore e quello del ricevente. L'aspetto del maschio significa, per esempio, che l'entità che sempre emana, grazie alla sua santità e al suo grande attaccamento e alla purezza del pensiero, emana un piacere spirituale che raggiunge le luci, i mondi e gli attributi superni. Ma egli ha anche un aspetto femminile, quello cioè che funge da ricevente e porta ai mondi inferiori l'influsso derivante dai mondi superni ed a tutti [i membri della] comunità d'Israele tutto quanto loro necessita, e ogni sorta di grazia, come <figli, vita e sostentamento>, guarigione, ecc. L'aspetto maschile ha un suo influsso sull'alto e questo influsso si fa seme e diventa un aspetto del maschio per la femmina ... e l'aspetto femminile del Giusto (lo Tzaddiq) è la sua capacità di ricevere l'influsso superno e di portare dall'alto al basso ogni sorta di cose buone e di beni materiali» [3].

La polarità, dunque, non è soltanto una questione di ipostasi cosmiche, ma anche di poteri psichici, ed anche di stati mistici nei quali il giusto chassidico si pone in una duplice relazione con la divinità, in quanto può fungere sia da maschio che da femmina.

Questo forte bisogno di distinguere fra maschile e femminile e al tempo stesso di consentire certe forme di equilibrio fra i due, che costituisce una direttrice fondamentale della mistica ebraica, può spiegare anche l'importanza crescente che il ruolo della potenza divina femminile - la Shekhinà - viene ad assumere in gruppi di mistici dai quali le donne sono assolutamente escluse. Sembra quasi che i mistici ebrei abbiano integrato la loro esperienza di studio rigorosamente maschile coltivando una mistica in cui si staglia eminente una figura femminile.

Ritengo che questa ricerca dell'esistenza di diverse forme di polarità sessuale sia un elemento essenziale del pensiero ebraico che si differenzia dalle tendenze di fondo riscontrabili nel pensiero greco e in certe forme di religiosità gnostiche e cristiane, dove il culmine dell'esperienza di perfezione è visto come uno stadio trans-sessuale dell'essere.

In una cultura basata sulla famiglia e sulla comunità e nella quale si metteva al primo posto il comandamento della procreazione, l'importanza della differenza e dell'equilibrio fra i sessi veniva proiettato dal piano umano ad altri piani della realtà.

Il lavoro pionieristico di Arturo Schwarz, Cabbalà e Alchimia, testimonia del più ampio ruolo svolto da questa tendenza in diverse fonti, comprese quelle cabbalistiche

Moshe Idel

(Note)

[1] bBava Batra 74b

[2] Apocalisse di Adamo, in Le Apocalissi gnostiche, Milano, Adelphi, 1987, p. 5

[3] Avraham Yehoshua' Heschel di Apta, Ohev Yisra'el, Zhitomir 1863, fol. 81cd.

(Fine)

A questo punto prendersela con i "no-gender" vuol dire sparare sulla Croce Rossa.

Innanzitutto, i "no-gender" esigono di normalizzare a loro immagine e somiglianza la teologia cristiana in particolare, e la vita sociale in generale - mentre il pensiero ebraico anche in questo campo si dimostra plurale, con diverse concezioni del ruolo della polarità maschio-femmina nel Creatore e nella creazione.

Dovendo cercare una base comune a codeste concezioni, direi che la prima (desessualizzazione) e la terza (polarità intrapsichica) hanno in comune il rendere impossibile distinguere l'essenza delle persone sulla base della polarità sessuale.

La tendenza desessualizzante, così come descritta da Idel, descrive la polarità sessuale come un attributo non applicabile al Creatore, e solo transitorio nelle persone - non riguarda quindi l'essenza.

La tendenza a rinvenire la polarità intrapsichica all'interno del Creatore e di ogni individuo la rende essenziale per tutti, ma la priva di ogni valore distintivo - tutte le persone hanno la medesima essenza, ed esprimono mascolinità e/o femminilità in modi e momenti diversi.

La seconda tendenza, quella di sessualizzare ogni ente, per cui esso è o maschile o femminile (il Creatore è invece androgino), e la sygizia o coniunctio oppositorum (per usare termini non cabalistici, ma junghiani) presume un'unione dei corpi (nel matrimonio, è il caso tipico) prima ancora che delle anime, sembra una versione meno evoluta della terza (la polarità intrapsichica), ma in essa in qualche modo confluisce.

Arturo Schwarz, sulla scorta degli antichi alchimisti e di Carl Gustav Jung, distingue rigorosamente tra "alchimia spirituale" (volta allo sviluppo intrapsichico di chi la pratica) ed "alchimia operativa" (volta alle trasformazioni chimiche), ma credo che sia impossibile una "trasformazione" al solo livello psichico senza mutare la realtà materiale.

In particolare, un uomo non può entrare in contatto con la propria anima, la sua parte femminile intrapsichica, se non ha un rapporto positivo con le donne della sua vita - e neppure le donne possono entrare in contatto con il proprio animus senza un rapporto positivo con gli uomini della loro vita.

Si può contestare che queste dottrine sono nate cissessiste ed eterosessiste, e che esigono correzioni per tener conto delle persone non etero e non cis, ma quello che a me importa mostrare è che è sbagliato pensare che la tradizione ebraica (ed il cristianesimo che ne deriva) imponga di pensare agli uomini ed alle donne come a persone essenzialmente diverse.

Ho già argomentato semmai il contrario: Genesi 2:23 nega questo, con buona pace di Edith Stein.

Raffaele Yona Ladu
Ebre* gendervague

domenica 22 gennaio 2017

Un'intervista a Haim Baharier














Alcuni compagni di studi della Facoltà Valdese di Teologia mi hanno pregato di commentare l'articolo [0]; io ci provo, ma non sono bravo come dice una di loro, secondo cui conosco molto bene anche i "rumors", non solo i "fatti" che riguardano i personaggi biblici.

Come la mia stessa amica avverte, è rischioso trattare i personaggi biblici come fossero storici; io tratto il testo biblico come quello che ci ha conservato la versione più autorevole (agli occhi dei redattori) di vicende che di rado (solo a partire dai discendenti di Salomone) trovano conferma indipendente, mentre i midrashim rappresentano versioni alternative o complementari, che o non sono state inserite nel testo biblico, o sono state sviluppate in seguito.

Per gli ebrei i midrashim hanno un'autorevolezza paragonabile a quella del testo biblico, anche se qualche volta lo contraddicono - un esempio lo si trova in [1], un articolo che passa in rassegna i midrashim che sostengono che Isacco sul Monte Moria (Genesi 22) morì davvero, e poi fu risuscitato.

Cito questo caso perché codesti midrashim sono molto ingombranti, ed ho il sospetto che abbiano contribuito ad ispirare l'autore di Ebrei 11:17-19 (qui vi riporto solo la versione Nuova Riveduta - cliccando sulla citazione potete leggere altre traduzioni):
17 Per fede Abraamo, quando fu messo alla prova, offrì Isacco; egli, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito. 
18 Eppure Dio gli aveva detto: «È in Isacco che ti sarà data una discendenza». 
19 Abraamo era persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti; e riebbe Isacco come per una specie di risurrezione.
Diventa più facile per un cristiano capire come l'"Akedat Yitzchak = Legatura di Isacco" sia diventata il tipo della risurrezione di Gesù se si tengono a mente codesti midrashim.

Ma c'è un altro aspetto in comune tra la vicenda ebraica di Isacco e quella cristiana di Gesù: che, come per i cristiani la crocefissione ha il valore di offerta vicaria, per cui Gesù assume su di sé il peccato dell'umanità, per gli ebrei la legatura di Isacco (decima e più significativa delle terribili prove a cui fu soggetto Abraamo [2]) è il principale "zekhut avot = merito dei padri" [3] a cui può fare appello il popolo ebraico in una situazione di grave crisi.

Il concetto è postbiblico [4], ma degli accenni si trovano già nella Bibbia ebraica - il passo più chiaro mi pare Esodo 32:11-14.

A questo punto però sostenere che Abraamo si è inventato tutto dando a Dio la colpa di una malefatta che aveva deciso lui non ha molto senso. L'atto che dimostra la più grande fede, fonte di meriti per i suoi discendenti, viene tramutato in quello che dimostra un'incredibile perfidia?

Ho provato ad indagare sui sacrifici umani in Mesopotamia, e purtroppo, come spesso accade, sono più le ipotesi che i risultati che si trovano. Una voce di enciclopedia che sostiene che vi si sacrificavano anche i bambini è [5], ma non parla di disabili; un caso particolare di sacrificio umano viene descritto in [6], e ricordo che il famoso archeologo Sabatino Moscati in [7] sostenne che i bimbi di cui si sono trovati i resti nei tophet punici e sardi erano morti per cause naturali (alcuni erano bimbi nati morti oppure disabili), quindi non si sacrificavano nel Moloch bimbi vivi.

Era disabile Isacco? Diversi rabbini lo pensano, le loro argomentazioni sono riassunte in [8], e Baharier quindi si accoda a loro; io avevo invece scritto un articolo che troverete sicuramente curioso su Isacco [9], e quello che vorrei far notare è che la cosa in comune tra [8] e [9] è che Isacco si rivela inidoneo, per motivi diversi, a sposarsi e procreare, e quindi perpetuare la stirpe di Abraamo.

Ci sono diverse donne nella Bibbia ebraica (come Sara ed Anna) che sono sterili finché Dio non interviene in modo prodigioso, e diversi uomini che sarebbero inadatti al ruolo che Dio assegna loro (vedi Mosé oppure Davide), ma la chiamata divina li soccorre e redime.

Isacco sarebbe il progenitore di tutti costoro, ed il tipo del Servo di YHWH, per i cristiani Gesù Cristo. Un rabbino che incontrai di persona disse che Isacco si trovava schiacciato tra due patriarchi di grande statura come Abraamo e Giacobbe; io penso che, se è vero che molti lettori e studiosi della Bibbia lo trascurano, Isacco ha comunque un ruolo fondamentale.

Una cosa che ha stupito i miei compagni è l'affermazione di Haim Baharier per cui la parola ebraica tevah significa "parola" oltreché "arca", visto che non riuscivano a trovarne conferma nei dizionari biblici.

Infatti questo significato della parola tevah è postbiblico - si comincia a trovarlo nel Talmud, secondo il dizionario di Jastrow [10a, 10b] (molto utile, ma attenti alle etimologie che propone, per quanto suggestive); il dizionario etimologico ebraico di Klein [11] fa risalire la parola all'egiziano "tbt = scrigno, sarcofago", e quindi fatico ad immaginare come si sia passati da un significato all'altro.

In Genesi 6:15 vengono prescritte le misure dell'arca di Noè:
Ecco come la dovrai fare: la lunghezza dell'arca sarà di trecento cubiti, la larghezza di cinquanta cubiti e l'altezza di trenta cubiti.
La somma è 380, che è lo stesso valore che si ottiene sommando i valori delle lettere della parola "lashon = lingua" (sia anatomica che linguistica). Dal punto di vista ebraico, è lecito usare la "gematria", cioè le corrispondenze tra lettere e numeri, per cercare nuove interpretazioni di brani biblici, e chiedersi quindi che "lingua" abbia consentito a Noè di salvare il mondo.

Mi permetto di dissentire dall'interpretazione che Baharier dà di Babele come archetipo della globalizzazione, e soprattutto da questa frase:
La diffusa incomprensione nel nostro mondo connesso nella Rete è la versione attuale della Torre di Babele.
Infatti, la globalizzazione e soprattutto la Rete, paradossalmente, hanno aiutato a conservare e valorizzare la diversità culturale e linguistica.

Internet ha permesso alle persone che parlano lingue poco diffuse, e magari si sono disperse per il mondo, di ricostituire virtualmente la loro comunità di parlanti, mettere in comune le risorse per studiare ed arricchire la loro lingua, ed organizzare azioni politiche per farla riconoscere ufficialmente.

Per non parlare di lingue assai più rare, è ben altra cosa parlare il sardo, il napoletano, il veneto, il ligure, ecc. solo all'interno del proprio paese o città, dal parlarlo con chi è emigrato nel resto d'Italia, in Europa o nel mondo, od i suoi discendenti, che da una parte vogliono ricuperare la parlata degli avi, dall'altra possono magari arricchirla con la loro peculiare esperienza.

Quando Hoepli pubblicò negli anni '30 una grammatica della lingua araba, dovette farla stampare dalla Tipografia Poliglotta Vaticana, perché era l'unica della penisola attrezzata per pubblicare opere in lingua araba; ora basta installare la tastiera giusta in un tablet e si possono scrivere testi in tutte le lingue del mondo e stamparli con una stampante laser od inkjet, se non ci si accontenta di pubblicarli sul Web.

Ho il sospetto che quella di Baharier non sia una polemica solo generica, ma abbia un bersaglio ben preciso.

La civiltà ebraica è infatti multilingue: oltre all'ebraico, che adesso è tornato al posto d'onore, si è avvalsa dell'aramaico nelle sue varie forme, dello yiddish, del ladino [giudeo-spagnolo], e delle lingue dei paesi in cui c'è una minoranza ebraica (dal greco ellenistico all'inglese, passando per l'arabo, il tedesco, ecc.) per perpetuarsi e diffondere il proprio messaggio - un ebraista deve mettersi a studiare molte lingue.

L'esperanto è stato inventato da un medico ebreo, Ludwik Lejzer Zamenhof (1859-1917), ma nelle intenzioni dell'autore doveva essere solo una lingua veicolare, ovvero da usarsi negli scambi internazionali, commerciali e culturali, senza privare alcun popolo della propria lingua madre, e senza privilegiare chi ha la fortuna di avere per lingua materna la lingua veicolare più diffusa al mondo.

Un mondo in cui tale lingua veicolare fosse l'esperanto si sottrarrebbe alle critiche di Baharier, perché ognuno padroneggerebbe almeno due lingue - la propria lingua materna e l'esperanto; e magari, dopo aver letto la Bibbia, Dante, Shakespeare, Goethe, Tolstoj, Proust, ecc., in esperanto, imparerebbe le rispettive lingue per leggere codeste opere in originale.

La civiltà islamica non è così: ci sono paesi islamici come la Turchia, l'Iran, il Pakistan, l'Indonesia, ecc. in cui l'arabo non è la lingua ufficiale, ma il culto e la giurisprudenza islamica si svolgono necessariamente in arabo. Uno studioso israeliano, Shlomo Dov Goitein, osservava che è solo di recente che la lingua ebraica ha assunto tra gli ebrei uno status simile a quello dell'arabo tra i mussulmani.

Diventa facile a questo punto accusare l'islam di livellare culturalmente e linguisticamente i paesi in cui si è diffuso - ed il comportamento di paesi come l'Algeria, che soltanto nel 2016 ha riconosciuto il tamazight, cioè la lingua berbera, come lingua ufficiale al pari dell'arabo, non aiuta a smentire le accuse; e non mancano gli ebrei che accostano polemicamente l'islam al fascismo, senza praticare i necessari distinguo. Per esempio, l'Algeria che ho appena criticato ha deciso di riconoscere il tamazight proprio per aumentare la propria democrazia interna.

Direi che Baharier è stimolante, ma non dice l'ultima parola sulle questioni che affronta. Conviene sempre verificare.

Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague

lunedì 16 gennaio 2017

Breve biografia

Sono nat* nel 1962, quindi ho ora 54 anni.

Quoziente d’intelligenza 156 – equivalente al 99° percentile, e quindi più che sufficiente per iscriversi al Mensa.

Ho la maturità classica, una laurea in Psicologia Generale e Sperimentale (dei bei tempi in cui il corso non era 3+2, ma quinquennale fin dall’origine), ho anche studiato filosofia e giurisprudenza.

Sono un* ebre* umanista, quindi ate*, appartenente alla Society for Humanistic Judaism.

Ciò non mi impedisce di avere la passione per la Bibbia ebraica (in fin dei conti, è la più importante opera scritta in lingua ebraica), che soddisfo studiando alla Facoltà Valdese di Teologia.

La scelta può sembrare strana, ma in tale facoltà si insegna il metodo storico-critico, che le comunità ebraiche ortodosse ed il loro Collegio Rabbinico invece rifiutano, e, essendomi sbattezzat*, non potrei certo frequentare una facoltà di teologia cattolica.

Non mi sono sbattezzato per convertirmi all'ebraismo umanista (la conversione era già avvenuta), ma per protestare contro una notizia riferita l’anno scorso dai giornali americani: alcune diocesi cattoliche USA avevano pagato dei lobbisti per impedire che passassero delle leggi che avrebbero reso più facile alle vittime dei pedofili, laici e religiosi, avere giustizia.

Lavoro in un’azienda del credito, e guadagno abbastanza bene. Fra dieci anni andrò in pensione.

Sono sposat* con una donna, amo mia moglie e le figlie di lei (avute da un precedente matrimonio), e sono abbastanza content* della mia famiglia.

Sono un militante sia per il movimento della neurodiversità, che per il movimento LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans, Queer, Intersessuali, Asessuali, eccetera) – mia moglie ha presieduto l’Arcilesbica di Verona per dieci anni, e l'ho conosciuta lì.

Non posso fare a meno di confrontare l’ABA (che ho avuto la fortuna di NON subire) con le terapie riparative usate nel passato con omosessuali, bisessuali e transessuali, e denunciare l’inefficacia di tutte queste terapie, e la loro contrarietà ai diritti umani.

Tali terapie riparative hanno avuto i loro sostenitori sia tra i medici che tra i genitori, ma ora sono completamente screditate: nel migliore dei casi insegnavano a gabbare il/la terapeuta facendogli/le credere di essere diventat* eterosessuale cisgender.

Si può imbrogliare anche la macchina della verità, figuratevi se non si riesce ad ingannare un* terapeuta che ha tutto l’interesse a far credere di aver avuto successo, e che motiva alla menzogna perché se non viene turlupinat* somministra punizioni che arrivano alle scosse elettriche!

Anche l’ABA farà questa fine – è solo questione di tempo. E magari ce ne vorrà di meno che per le terapie riparative, visto che per gli autistici è quasi impossibile mentire.

La puzza di bruciato si comincia a sentire anche all'Istituto Superiore di Sanità - ho scorso le Linee Guida per l'Autismo, aggiornate all'Ottobre 2015, e ve ne riporto un brano tratto dalle pagine 44-45 (corsivi e grassetti degli autori, sottolineature mie):

[pag. 44] 
(...) 
Sintesi delle prove
Efficacia dei programmi intensivi comportamentali: risultati delle revisioni sistematiche 
Le revisioni a disposizione possono essere suddivise in due gruppi, a seconda della selettività e del rigore metodologico applicati:
  • revisioni inclusive, che comprendono studi per la maggioranza non randomizzati e in alcuni casi senza gruppo di confronto
  • revisioni restrittive, che comprendono solo studi con gruppo di confronto e conducono analisi più conservative, mantenendo per esempio un’analisi per sottogruppi a seconda dell’intervento di confronto.
Il gruppo delle revisioni inclusive fornisce prove coerenti nel sostenere l’efficacia del modello dell’analisi comportamentale applicata (ABA) su tutte le misure di esito valutate (QI, linguaggio, comportamenti adattativi) quando è confrontato con un gruppo eterogeneo di interventi non altrettanto strutturati: trattamento standard; interventi eclettici, cioè combinazione di interventi educativi e terapeutici senza strutturazione; interventi solo scolastici, cioè istruzione regolare o educazione speciale; ABA ma a intensità ridotta o con distinte modalità di erogazione, centrata sulla clinica o sui genitori. Emerge un’ampia variabilità nella risposta ottenuta a livello degli studi individuali sia nel gruppo che riceve l’intervento sperimentale sia nel gruppo di controllo, per cui il dato sintetico favorevole all’intervento sperimentale, espresso dalle metanalisi, perde parte del suo significato clinico
Il gruppo delle revisioni restrittive fornisce risultati non univocamente favorevoli all’intervento sperimentale nelle misure di esito valutate ma, ove positivi, più attendibili rispetto ai risultati prodotti dalle revisioni inclusive. 
[pag. 45] 
La prima revisione sistematica è condotta secondo una metodologia rigorosa e si basa su una ricerca di letteratura esaustiva; ha il merito di mantenere la distinzione tra i diversi confronti con cui l’intervento ABA (secondo il metodo Lovaas) è comparato. L’intervento ABA ha mostrato benefici a confronto con gli interventi standard e con gli interventi solo scolastici (istruzione regolare) per gli outcome funzionamento intellettuale (QI), comprensione del linguaggio, abilità sociali. I dati prodotti dalla metanalisi su studi di coorte retrospettivi hanno mostrato un effetto maggiore dell’ABA ad alta intensità rispetto a quello a bassa intensità nel migliorare il funzionamento intellettuale, le abilità comunicative, i comportamenti adattativi e il quadro clinico generale; i dati prodotti dalla metanalisi su studi di coorte concorrenti hanno dimostrato che l’ABA è superiore all’educazione speciale per vari outcome (comportamenti adattativi, comunicazione/interazione, comprensione e espressione linguistica, funzionamento intellettivo) nel medio termine (12 mesi), ma non nel lungo termine (3 e 9 anni). 
Dai pochi RCT inclusi nella revisione sistematica risulta che quando l’intervento ABA è posto a confronto con altri modelli di intervento altrettanto strutturati, come il DIR (Developmental individual-difference relationship based intervention), oppure con interventi strutturati che racchiudono alcuni elementi del modello ABA stesso, non emergono differenze di efficacia. Non sono quindi disponibili dati definitivi a sostegno dell’efficacia del modello ABA secondo il metodo Lovaas rispetto ad altri trattamenti attivi e altrettanto strutturati, cioè non ci sono ancora dati sufficienti per stabilire quale tra i vari modelli strutturati di intervento terapeutico sia il più efficace
Dalla seconda revisione sistematica del gruppo delle revisioni restrittive risulta che le prove attualmente a disposizione non sono sufficienti per stabilire che l’intervento ABI (Applied behaviour intervention) ottiene migliori esiti rispetto alla terapia standard (comunque contenente alcuni elementi del modello ABI) nei bambini con disturbi dello spettro autistico, per cui secondo gli autori sarebbe necessario che venisse condotto uno studio randomizzato controllato multicentrico, al fine di quantificare l’efficacia degli interventi al netto delle modificazioni naturali della storia del disturbo. 
Nel paragrafo Analisi delle prove, a pagina 47, sono riportati nel dettaglio i risultati di tutte le revisioni sistematiche.

In una parola: non c'è nessun* che può promettere che l'ABA migliori la vita delle persone autistiche in modo duraturo, e con risultati migliori di altri metodi eticamente meno discutibili. La scelta di ricorrervi ricade solo sui genitori, perché nessun* avrà mai la faccia di dir loro che era sicur* che fosse la cosa migliore.

Gli asterischi che ho usato in questo post indicano che non voglio scegliere se usare il genere grammaticale maschile o femminile, e li uso perché sono una persona “gendervague”, ovverosia il sintomo più evidente della Sindrome di Asperger che mi è stata diagnosticata è la fluidità di genere – alle volte mi identifico come uomo, alle volte come donna, e vorrei un corpo di intermedie caratteristiche.

Non ritengo questa caratteristica patologica oppure dannosa (in Francia e Danimarca la “disforia di genere” è stata espunta dai manuali diagnostici – non è più considerata una malattia), anche se mi piacerebbe che pure in Italia fosse possibile fare come a Malta od in Irlanda, ovvero che uno va dal notaio e con un atto si fa cambiare il genere anagrafico senza affrontare cure medico/chirurgiche devastanti e costose cause in tribunale. Se un* vuole comunque cambiare il suo corpo lo fa a suo gusto, e non per uniformarlo all’ideale di mascolinità o femminilità che hanno medici e giudici.

Non credo infatti nel binarismo dei sessi e dei generi. Quando Genesi 1:26 scrive “maschio e femmina Dio li creò”, descrive gli estremi di uno spettro, non le due sole possibilità offerte all’essere umano.

Questa figura retorica (indicare solo gli estremi per alludere a tutto lo spettro) si chiama “merismo”, è attestata diverse volte nella Bibbia, ed i/le rabbin* che preferisco interpretano così anche Genesi 1:26.

Ed i/le teolog* cattolic* che sostengono che uomo e donna sono di due specie distinte, e perciò non ci può essere passaggio dall’un* all’altr*, si pongono contro la Bibbia ebraica, la filosofia di Aristotele e la dottrina di Tommaso d’Aquino.

Infatti in ebraico “osso” ed “essenza” si designano con la medesima parola, “‘etzem”; quindi, quando in Genesi 2:23 Adamo vede Eva per la prima volta e dice: “Questa, finalmente, è osso delle mie ossa”, afferma che lui e lei sono della medesima essenza, o specie.

Aristotele e Tommaso d'Aquino sostenevano che uomo e donna appartengono alla medesima specie, e che la differenza tra i due è di tipo - filosoficamente quindi il passaggio dall’un* all’altr* è possibile, ed il problema è solo tecnico, non ontologico o morale.

Paradossalmente, io, proprio io, faccio la figura del* tradizionalista legat* alla lettera del testo biblico (che posso leggere in originale), alla filosofia antica (posso provare a leggerla in originale) ed alla teologia medievale (la leggo in originale), mentre i/le teolog* che critico fanno la figura degli/le imprudenti che puntellano la loro visione del mondo discriminatoria (innanzitutto verso le donne!) con teorie improvvisate di cui non hanno ben valutato né le premesse né le conseguenze.

Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague



sabato 14 gennaio 2017

Tre professionisti canadesi, sul crinale tra neurodiversità e transgenderismo






National Post è un sito canadese d'opinione, che ospita articoli trans-affermativi e trans-fobici. Ho avuto occasione di visitarlo perché mi sono imbattuto nell'articolo [2], ferocemente attaccato da un mio contatto Facebook di genere femminile.

In realtà credo che occorra distinguere tra l'articolo [2] e l'articolo [1] che lo ha ispirato, pubblicato invece in un sito web cattolico, e che merita di essere qualificato come transfobico.

L'autrice di [1], un'Aspergirl divenuta psicoterapeuta, lancia l'allarme dicendo che l'hashtag #AutisticTransPride è un modo per il movimento transgender di circuire le persone autistiche, molto vulnerabili alle manipolazioni.

Il modo in cui lei descrive come una persona Asperger possa farsi venire il dubbio di essere in realtà nata del sesso sbagliato è corretto, ed invita alla cautela, ma tutto l'articolo è ispirato all'avversione verso il movimento transgender, che riconduce ad una forma di "neo-gnosticismo".

Lo vede come una religione la quale cerca di indottrinare i più giovani e vulnerabili - e sarebbe facilissimo ribattere che le caratteristiche religiose che lei individua nel movimento trans sono curiosamente uguali a quelle della religione cattolica: pulsione universalistica, non nel senso che tutte le persone meritano eguali diritti (l'omofobia, la bifobia e la transfobia professate dalla chiesa cattolica sono incompatibili con i diritti umani), ma nel senso che tutte le persone sono potenzialmente cattoliche, e particolare attenzione verso i bambini, che non solo fanno fatica a distinguere lo storico dal mitico nei racconti biblici, ma che spesso non si rendono conto di subire grossolani abusi sessuali. Lei non ha guardato il nemico in faccia, ha guardato un falsoscopo!

Una religione di ben diversa qualità è quella ebraica: convertirsi all'ebraismo è possibile in teoria, ma assai difficile in pratica, per cui la maggior parte degli ebrei ha ereditato l'ebraismo dai propri genitori (solo la madre nel caso degli ebrei ortodossi); il proselitismo è scoraggiato, in quanto si preferisce avere pochi ebrei convinti che tanti ebrei di scarsa qualità, e per essere convertiti all'ebraismo occorre dimostrare di avere quella difficilmente definibile qualità chiamata ebraicità.

Qualche idiota crede che esista il gene ebraico, oppure il complesso genico ebraico; all'estremo opposto dello spettro, la mia denominazione, l'ebraismo umanista, si accontenta dell'identificazione con il popolo ebraico, e non pretende nemmeno la circoncisione come prova di appartenenza.

L'ebraismo umanista potrebbe mutuare la definizione di nazione di Ernest Renan, secondo cui l'appartenenza ad una nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno. Ed un ebreo, di qualunque denominazione, sa quanto spesso sia faticoso rimanere tale!

Il movimento trans, se somiglia ad una religione, somiglia più a quella ebraica che a quella cattolica, in quanto è evidente che solo una minoranza di persone è transgender (secondo quest'articolo del New York Times pubblicato il 30 Giugno 2016, solo 1,4 milioni di americani è transgender, pari allo 0,6% della popolazione USA), e nessuno vuole convincere chi non è trans a diventarlo.

La comune affermazione "siamo tutti transgender" significa semplicemente che tra il sesso biologico (che è già una cosa complicata nella sua generazione e descrizione medica) ed il genere psico-sociale il legame non è così diretto come vorrebbero molte persone, e contribuiscono a stabilirlo caratteristiche culturali e scelte personali. E questo vale per tutt*, cisgender come transgender, cissessuali come intersessuali e transessuali.

Però è anche vero che persone come Elise Ehrhard approfittano degli errori del movimento trans: la loro descrizione del movimento si adatta (in qualche misura) soltanto alle persone che hanno un'idea binaria della differenza dei sessi e dei generi, e che ritengono credibili come persone trans soltanto le persone che hanno una disforia di genere da manuale, dichiarano di essersi sempre sentite uomini imprigionati in corpi di donna (o viceversa), ed il loro obbiettivo è la transizione completa, per riallineare il corpo (appartenente sia prima che dopo la transizione ad un sesso definito in modo binario) al genere (definito anch'esso in modo binario).

Non si adatta per niente alle persone che sono di genere non conforme, e la cui ambizione non è la transizione fisica, ma quella sociale - quelle come me che vorrebbero una legge come quella maltese od irlandese, per cui puoi cambiare genere anagrafico semplicemente con una dichiarazione autenticata da un notaio. E le eventuali modificazioni che vuoi apportare al tuo corpo possono seguire il tuo gusto, e non essere dettate dalla necessità di adeguare il proprio corpo ad un ideale predefinito.

Non c'è niente di irreversibile da autorizzare in questi casi (se a me piacesse depilarmi dalle orecchie in giù e farmi crescere il seno, sarebbe solo una scelta mia), e quindi non c'è necessità di distinguere le persone trans "vere" da quelle "false".

Questo tipo di non-conformità di genere somiglia di più al disagio di molti Asperger verso il proprio corpo, e spiega forse il fatto che autismo e disforia di genere appaiano insieme più spesso che per caso (vedi [4] - non è un articolo accademico, ma ne cita diversi), e giustifica l'etichetta di "gendervague" che le persone neurodiverse usano per definire la propria identità di genere.

Elise Ehrhard sembra convinta che il trattamento di un Aspie, per avere successo, debba renderlo cisgender e binario - spiacente, lei ha torto marcio. La pretesa è religiosa, non terapeutica, ed io non sono cattolico. Faccio volentieri notare che Genesi 1:27 dice sì, "maschio e femmina Iddio li creò", ma si può tranquillamente interpretare il passo come l'aver Egli creato non due generi binari, ma uno spettro di generi di cui la mascolinità e la femminilità sono solo gli estremi.

Questa figura retorica (definire uno spettro elencandone solo gli estremi) viene chiamata "merismo", ed è molte volte attestata nella Bibbia ebraica - si può tranquillamente ritenere che sia stata usata anche qui, e non è solo opinione mia, ma anche di alcun* rabbin* [6].

Susan Bradley, l'autrice di [2], cerca di evitare la transfobia esplicita di ispirazione cattolica di Elise Ehrhard, ma agita sempre lo spettro che delle persone Asperger possano essere convinte a transizionare contro il loro interesse - e pure contro il loro profondo desiderio.

In realtà, i casi che lei lamenta si possono attribuire, più che alle interferenze del movimento trans, alla scarsa professionalità dei "gatekeeper" che autorizzano le transizioni con troppa leggerezza.

Ma è possibile che sia un fenomeno numericamente preoccupante, tale da non poter essere affrontato dai soli organismi disciplinari dell'ordine dei medici, che devono punire gli incapaci? È veramente difficile distinguere l'interesse speciale di un Aspie da una disforia di genere?


La miglior risposta la dà secondo me il Dott. Stephen Feder, codirettore della clinica per la diversità di genere dell'Ospedale Infantile dell'Ontario Orientale ad Ottawa, citato negli ultimi paragrafi di [3], che vi traduco:

Il Dott. Stephen Feder, codirettore della clinica per la diversità di genere dell'Ospedale per Bambini dell'Ontario Orientale, ad Ottawa, ha detto che i bimbi nello spettro autistico sono sovrarappresentati nella sua clinica.
"Il nostro approccio è sempre affermativo. Ma forse prendiamo molto più tempo per accertarci che noi conosciamo il bimbo al meglio", ha detto Feder. "Non cambia l'approccio complessivo," ha detto, "Penso solo che siamo ancora più vigili nell'assicurarci che stiamo rispondendo alle appropriate necessità del bimbo". 
Il problema dell'ossessività "certo emerge", dice Feder, con le famiglie che chiedono, "Non è questa un'altra fase?" 
Ma egli dice che gli adolescenti, quando si chiede loro di confrontare il loro sentimento del genere con le ossessioni del passato, "loro lo identificano davvero come alquanto diverso", ha detto Feder, "Questo non riguarda gli interesse, ma è il modo in cui loro si vedono". 
"Alla fine, riteniamo inappropriato girarci e dire, 'Beh, se sei autistico, questo probabilmente spiega il tuo genere'", ha detto. 
"Il rischio è che la gente dica, 'Ah, questo spiega tutto'. E penso che vogliamo uscirne", ha aggiunto Feder. 
Ha notato anche che, ad esempio, i disturbi del comportamento alimentare hanno una prevalenza superiore tra le persone con problemi di identità di genere.

Come vedete, il rischio di confusione è scarso, ed infatti le nuove linee guida dell'Ontario, pubblicate nell'Ottobre 2016, e sempre citate in [3], stabiliscono che una diagnosi di autismo non preclude un trattamento per la Disforia di Genere - evidentemente è possibile essere sia autistici che transgender, e non si tratta di un artefatto creato dai movimenti trans o di autistic self-advocacy.

Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague

Kenneth Zucker, transfobico






Il 12/01/2017 la BBC ha trasmesso un documentario sui bimbi transgender, che comprende un’intervista al controverso Dott. Kenneth Zucker, che ha perso il posto dopo aver gestito per anni a Toronto, in Canada, una clinica che cercava di dissuadere i bimbi transgender dall'adottare un'identità trans.

I link [1, 2] sono stati pubblicati prima della trasmissione, il link [3] dopo.

Il link [1] dice che egli sostiene che molt* bambin* transgender siano in realtà autistic*, e questo mi obbliga a rispiegare quello che ho già scritto in questo blog: non è scritto da nessuna parte che solo i neurotipici possano essere transgender.

L’essere autistici non squalifica nessuna persona transgender, e non è una controindicazione alla transizione. Al massimo impone al “gatekeeper”, cioè al professionista che deve autorizzare la transizione, cautela supplementare perché la transizione potrebbe non risolvere i problemi della persona.

Ma quanti sono gli autistici tra i bambini che soffrono di disforia di genere? Meno del 25%. Abbastanza per chiedersi se ci sia un legame tra autismo e disforia di genere, del tutto insufficienti per ridurre la disforia di genere all’autismo.

Kenneth Zucker non dice quindi niente di nuovo. Nemeno quando dice: “Un bambino di quattro anni dice di essere un cane – che fai, esci e gli compri cibo per cani?”

Aristotelicamente parlando, gli si può tranquillamente rispondere che la differenza tra l’uomo ed il cane è di specie, quella tra l’uomo e la donna di tipo [A, B]. Non si può cambiare specie, si può cambiare tipo.

Che un bambino assegnato alla nascita al sesso maschile si dichiari crescendo una bambina è verosimile, che un bambino si dichiari un cane è palesemente insensato.

Che la differenza tra uomini e donne fosse di tipo e non di specie era pacifico [B] nella filosofia occidentale (Aristotele) e nella teologia cristiana (Tommaso d'Aquino) fino al 1930, quando la prima operazione di “conferma del genere”, che fece di una persona assegnata alla nascita al sesso maschile una donna, spaventò molte persone, tra cui la filosofa nata ebrea e convertita al cattolicesimo Edith Stein, che sentenziò nel 1932 che la differenza tra uomo e donna non andava considerata di tipo (appunto perché si può transizionare da un tipo all’altro) ma di specie (e quindi insuperabile).

Paradossalmente, io faccio la figura della persona attaccata alla filosofia più antica e sperimentata, mentre Kenneth Zucker ed Edith Stein degli imprudenti innovatori che cercano di puntellare la loro visione del mondo con teorie pericolose [A].

Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague


L’autismo non è un guscio che racchiude un bambino “normale”



Di seguito si offre la traduzione italiana di [1]

(inizio)

L’autismo non è un guscio che racchiude un bambino “normale”.

Giovedì 12 Gennaio 2017 - Sparrow R. Jones - http://unstrangemind.com

Bambina afro-americana che esce da un tunnel
https://www.flickr.com/photos/ian-arlett/9409144701
Foto © Ian D. Keating, Creative Commons License

È il baluginare di una speranza fallace che non vuol morire: l’idea che l’autismo sia soltanto un guscio che racchiuda un bambino “normale” che si può indurre ad uscirne con la terapia, o che potrebbe semplicemente abbandonare il guscio da solo ed uscire dall’autismo.

Balugina e brilla, e tenta i genitori che non capiscono ancora veramente l’autismo.

E nuoce al vostro rapporto con i vostri figli.

Lo so che è una frase forte. E che potrebbe turbarvi l’averla detta io.

Ma so anche che amate tanto, fieramente, disperatamente i vostri figli. So che dareste qualsiasi cosa per i vostri figli. So che state cercando di procurare il meglio per i vostri figli, e mentre la vostra speranza oltre ogni speranza di una cura per i vostri figli autistici è sbagliata e dannosa, essa viene dal profondo, profondissimo amore per i vostri figli che vi fa andare avanti ogni incerto giorno, sperando e pregando di trovare la cosa magica, o la combinazione misticamente perfetta di cose che farà smettere a vostro figlio di essere autistico.

Ora però bisogna smetterla.

Vi accompagnerò in un piccolo viaggio attraverso l’autismo, cercando di aiutarvi a capire perché sperare che vostro figlio ricuperi, od entri in remissione, o sia curato è sia una perdita del prezioso tempo che potreste spendere imparando come capire meglio il vostro figlio autistico, ed anche nocivo al rapporto genitore figlio – senza contare il danno all’autostima ed alla salute mentale di vostro figlio.

Non sono qui per giudicarvi. So che amate vostro figlio, e state cercando di essere il miglior genitore che potete essere. Non mi metterei proprio a parlarvi se non sapessi già questo. Ma se voi state ancora cercando dappertutto una cura per l’autismo, spero che mi ascoltiate e pensiate attentamente a quello che state facendo ed al perché lo state facendo.

Escono regolarmente ricerche ed articoli che ridestano questa speranza ed aspirazione nei genitori. La cifra cambia da articolo ad articolo – talvolta è il sette, talaltra il nove per cento – ma voi siete lì, leggendo la vostra rivista od il vostro forum online preferito, e l’articolo vi colpisce come un pugno in pancia: dice che dei bambini superano l’autismo. Oppure dice che 40 ore la settimana di terapia curano alcuni bambini autistici. Forse si tratta di una dieta che aiuta una certa percentuale di bambini a parlare ed a sorridere, dopo che tutti avevano smesso di sperare. Non vi tocca neppure andare a cercare tali articoli, giusto? Queste parole di speranza vi arrivano come limatura di ferro attratta da una calamita, o come missili a ricerca di calore. Ben dura ignorarle, dico bene?

Ecco l’ultimo articolo che gira: “Compulsions, Anxiety Replace Autism in Some Children = Compulsioni ed ansia sostituiscono l’autismo in alcuni bambini”, in Spectrum News. Il titolo vi attira, e subito leggete che “si stima che il nove per cento dei bambini con autismo raggiungano un cosiddetto ‘esito ottimale’”. Prima che voi arriviate alla frase successiva che spiega che praticamente ognuno di questi bambini finisce con lo sviluppare problemi di salute mentale in un’età successiva, voi siete già fuor di senno, mentalmente già nel Paese delle Meraviglie, con gli occhi pieni di speranza, ed alla disperata ricerca di indizi su come fare di vostro figlio uno di quel fortunato nove per cento.

Ricordate, non vi sto giudicando. Anzi, il mio cuore è con voi. Volete che vostro figlio abbia le migliori possibilità nella vita e sentite ancora che vostro figlio avrà una vita migliore, facile, più felice, con più successo se non è autistico. Venditori di fumo che sfruttano il vostro amore ed i vostri timori approfitteranno di articoli come questo, per tenervi distratti ed alla ricerca delle cure che può capitar loro di vendere, anziché abbracciare pienamente il vostro figlio autistico proprio per quello che è, come è, proprio ora davanti a voi, non guasto, non bisognoso di riparazioni, ma con il bisogno di sostegno e di ogni oncia d’amore che il vostro cuore può riversare sul suo capo in un’unzione di accettazione.

Perché ci sono alcune cose che non sono immediatamente evidenti in quel “Paese delle Meraviglie”.

Tipicamente, l’autismo è un “cablaggio” del sistema nervoso geneticamente determinato e che dura per tutta la vita.

L’autismo è nel DNA, nel cervello, negli organi di senso di vostro figlio. Viene caratterizzato come pervasivo, perché si trova in ogni cellula del corpo di vostro figlio. L’autismo è parte tanto grande di chi è vostro figlio che molti adulti autistici come noi, che sono capaci di comunicare e scelgono di parlare dell’essere autistici, vi diranno che ci fa male sentire o leggere frasi come “combattere l’autismo”, perché sembra come se la gente volesse combattere noi.

Essere autistico mi fa vedere le cose diversamente da come la maggior parte delle persone le vede, e pure interpretare quello che ho visto diversamente. Odo le cose diversamente da come le odono le persone non-autistiche, ed interpreto quei suoni diversamente. Delle sensazioni cutanee che altre persone possono amare per me sono dolorose, mentre altre sensazioni cutanee che ricerco sono sgradevoli per la maggior parte delle persone.

“Rimuovere” l’autismo esigerebbe cambiare tutta la struttura ed il cablaggio del nostro cervello, dei nervi, degli organi di senso. Pensate a quel che ci vuole per cambiare gli organi di senso: chirurgia per la miopia, chirurgia per gli impianti cocleari. Come cambiereste le papille gustative di qualcuno?

Non c’è un’operazione chirurgica per cambiare il modo in cui la pelle sente le cose. E questi sono solo gli organi di senso – che facciamo con i nervi che collegano questi organi al cervello? E che fare al cervello stesso? Non è un “Paese delle Meraviglie” questo, è un incubo in cui non vorreste metter piede!

“Rimuovere” qualsiasi cosa interconnessa con l’intero sistema nervoso di una persona è un proposito arduo e rischioso. Non puoi estrarre l’autismo da qualcuno, e tremo al pensiero che qualcuno possa anche solo provarci.

Nemmeno rimuoverlo con trattamenti comportamentistici è una risposta. Tra parentesi, se il comportamentismo fosse abbastanza potente da “curare” l’autismo, com’è che non siete riuscito ad usarlo per smettere di fumare, fare jogging per otto chilometri al dì, e smetterla di litigare inutilmente per delle minuzie, ammaccando ogni volta di più i rapporti con le persone a cui tenete? Va bene, forse non sono queste le vostre abitudini. Forse volete smetterla di bere tre bottiglie di vino la settimana, o svegliarvi venti minuti prima ogni giorno. Qualunque sia il cambiamento che volete apportare alla vostra vita, pensate a quanto avete lottato per ottenerlo, ed ora provate ad immaginare di cambiare, con forza di volontà e comportamentismo, proprio tutto ciò che siete e tutto ciò che fate.

Tutto, da come comunicate a come mangiate, camminate, interagite con gli altri, rammentate qualcosa, passate il vostro tempo libero … tutto.

Già il pensiero vi lascia senza fiato, vero?

E perché mai vorreste far questo a vostro figlio? Pensate che vostro figlio riuscirà dove voi avete fallito perché è più giovane e malleabile? Pensate che ci riuscirà perché l’ABA è così potente? Se è così, perché non vi iscrivete voi a fare l’ABA, per aiutarvi a consegnare i rapporti al vostro capo in tempo, o migliorare il vostro modo di parcheggiare?

Non c’è bisogno che voi rispondiate davvero alla domanda – era retorica. Ma voglio che voi ci pensiate, perché molte delle terapie che vengono proposte come “cure” per l’autismo sono disumanizzanti e nocive. Se non volete che qualcuno le pratichi su di voi per aiutarvi a perdere le vostre cattive abitudini, o prenderne di buone, non lasciate che qualcuno le faccia a vostro figlio. Se non lascereste che qualcuno le facesse ad un vostro figlio non autistico, non lasciatele fare ad un vostro figlio che è autistico. Ho proprio visto infatti dei professionisti dibattere tra loro se i bambini autistici sono capaci o meno di sentire il dolore. Non sono queste le categorie di persone che vorreste che interferissero con il cervello, il corpo, le emozioni di vostro figlio.

Non tutte le terapie sono cattive. Ho visto dei grandi esempi di musicoterapia, terapia con i tamburi, con il surf, a cavallo, e con il nuoto. Mi meraviglio inoltre per i termini usati: quando il vostro figlio non autistico prende lezioni di equitazione, lui prende lezioni di equitazione; quando il vostro figlio autistico prende lezioni di equitazione, è ippoterapia. (Detto questo, se la vostra assicurazione paga perché vostro figlio prenda delle lezioni di surf che gli piacciono tanto, ma solo se vengono chiamate “terapia”, chiamatele “terapia”, e fate fare surf a vostro figlio!)

Ma le terapie traumatizzanti sono solo una parte del perché l’articolo di Spectrum ha trovato che, dei ventisei bambini dello studio citato che hanno perso la loro diagnosi di autismo, ventiquattro sono stati trattati per un problema psichiatrico, e ventuno di loro erano diagnosticati, o diagnosticabili, con un problema di salute mentale. L’articolo congetturava inoltre che i risultati dello studio indicavano che i “bambini che perdono la loro diagnosi di autismo trarrebbero beneficio dalla prosecuzione delle cure”. Non sembra esserci un collegamento tra il modo in cui si è persa la diagnosi di autismo, e le condizioni emotive successive dei bambini.

Se ogni giorno buttate via ore in terapie frustranti che deteriorano il vostro senso di sé, la vostra autostima, e la vostra autonomia, finirete con l’avere per risultato dei problemi di salute mentale. In alcuni di questi casi, vi posso garantire che lo stesso addestramento comportamentista che ha insegnato a quei bimbini ad imitare le persone non-autistiche, ha insegnato pure a quei bambini che loro sono sbagliati, fallati e danneggiati, e che non saranno mai pienamente accettati e non riceveranno le cose fondamentali di cui hanno bisogno finché non avranno imparato a fingere di essere qualcuno che non sono.

Ed anche la tensione di questa finzione fa male. Anni passati a fingere di non essere autistico portano al burnout autistico – un esaurimento psichico che può anche includere una perdita di abilità per la vita quotidiana che erano state ben padroneggiate.

L’ho provato io stesso il burnout autistico, e l’ho visto in altri. Può essere lieve, oppure devastante e schiacciante. Più cerca un bimbo, adolescente, giovane adulto di entrare nello stampo di una persona falsamente non autistica, più duramente si schianta e brucia quando raggiunge la maturità o la mezza età.

Genitori, ogni velleità di una cura per l’autismo è incompatibile con il duro schianto di un burnout autistico. Non barattate la vita futura di vostro figlio per un sembiante di cura nel presente. Non potete “deautistizzare” un cervello ed un sistema nervoso, ed ogni tentativo di stringere vostro figlio come fosse una spugna e farlo entrare nello stampo fatto per un’altra persona alla fine si pagherà – e questo prezzo sarà espresso in lacrime, sangue, licenziamenti e divorzi, e peggio ancora.

Quegli “esiti ottimali” che menzionava l’articolo di Spectrum? Dovreste leggere quello che avevano da dire Steven Kapp ed Ari Ne’eman su quanto non fossero in realtà ottimali quegli esiti. E quegli esiti sono solo il princiopio: vorrei che questi ricercatori si comportassero in modo etico, e rivedessero i loro pazienti che hanno avuto il loro “esito ottimale” fra 10, 20, o 30 anni. Nel frattempo, prendetemi in parola: ne ho visti di “esiti” nei miei amici di ogni età, ed un burnout autistico non è una cosa verso cui vorreste indirizzare vostro figlio.

Chavisory, scrivendo a proposito di questo articolo, sul barattare l’autismo con l’ansia, lo spiega molto bene:

“C’è qualcosa di incredibilmente ironico e crudele nel considerare ‘esito ottimale’ per i bambini autistici un futuro in cui soffriamo di ansia, depressione, ed un sacco di altre malattie psichiatriche ‘anziché’ esserci consentito di crescere diventando persone autistiche sane e felici”.

E la felicità, cari genitori, è quello che è davvero al nocciolo della vostra speranza di una cura, vero?

Volete che i vostri figli crescano diventando persone sane e felici, ma non riuscite a vedere come questo potrebbe essere compatibile con l’essere autistico.

Fate un salto nella fede, e credetemi quando vi dico che è possibile essere sani, felici ed autistici.

Fatene l’obbiettivo per vostro figlio. Non una cura per l’autismo, ma un figlio sano e felice. Se vostro figlio ha crisi epilettiche, fate in modo che vengano controllate; se ha problemi digestivi, fate che si trovi una dieta che non gli faccia male allo stomaco, e trovate un gastroenterologo serio (non uno che vi racconta che “guarire l’intestino cura l’autismo”, perché non è vero, e mettete a repentaglio la salute di vostro figlio quando vi rivolgete a questo tipo di medici) per aiutarvi a scoprire se ci sono altre questioni mediche da affrontare. Se vostro figlio ha dei problemi di sonno, trovate un dottore che possa lavorare con le necessità sensoriali di vostro figlio per condurre uno studio sul sonno, e scoprire un programma di trattamento a cui vostro figlio possa aderire senza dolore.

Smettetela di tentare di rimuovere l’autismo da vostro figlio, e concentratevi invece sull’aiutare vostro figlio ad essere sano e felice nei modi che danno senso a vostro figlio, e rendendo onore alla vita di vostro figlio. Tentare di foggiare vostro figlio in un figlio che non è, come se fosse argilla umida, è il modo sicuro per allontanarlo dalla salute e dalla felicità. Acccettare l’autismo, ed amare ed aiutare il figlio che avete, come è, per quello che è, senza vergogna o rimpianto, è il primo passo per aiutare vostro figlio a fiorire come un adulto autistico sano e felice.

Ora, andate a mostrare al vostro figlio autistico tutto il vostro amore! Non ha bisogno di essere curato.

Ma ha bisogno di essere amato ed accettato e sostenuto ed educato. Aiutateli a superare gli ostacoli della vita così come sono. Tenetevi i figli che amate. Non danneggiateli, e non rischiate di rovinare il rapporto con loro cercando di farne degli estranei ansiosi.

(fine)

Nota del(la) traduttor*, ebre* gendervague: le stesse cose le possono dire i figli LGBTQIA+ che hanno la sventura di crescere con genitori omo-bi-transfobici irretiti dalla propaganda di chi vive somministrando terapie reparative, o di chi ha scommesso le fondamenta della propria religione sul binarismo dei sessi e dei generi, e sulla matrice eterosessuale (la coerenza di corpo, genere, desiderio).

martedì 27 dicembre 2016

Un ponte corto come un trattino e largo come un oceano

[1] I 'Went Back to China' - and Felt More American Than Ever

[2] "La giustizia, la giustizia seguirai", commentato da Evangelici.net

[3] The River Jordan in Early African American Spirituals

[4] The Pledge of Allegiance

L’articolo [1] di Crystal Chen mi ha colpito alquanto. Come lei si sentiva bullizzata perché cinese in America, anch’io mi sentivo bullizzato da ragazzo perché sardo in Continente.

L’essere Asperger non migliorava certo la mia situazione, anche se la differenza tra sardi e continentali, pur genetica (tant’è vero che gli studiosi della genetica delle popolazioni italiane ignorano la Sardegna o le dedicano una trattazione a se stante), non è razziale – non cambia il colore della pelle o la forma degli occhi.

Preciso che sono un sostenitore dello “jus soli” anche per la mia isola: per me, chi è nato in Sardegna o ci ha vissuto per almeno cinque anni, è sardo – e senza che questo sia incompatibile con l’appartenere anche ad un altro popolo. Le indagini genealogiche servono solo per chi non ha questa fortuna e rivendica comunque (lecitamente) la sardità.

Anch’io ho sognato per molti anni di tornare in Sardegna, e quest’anno, comprando una casa a Bosa, mi sono avvicinato alla realizzazione del sogno. Quando io e mia moglie saremo in pensione, passeremo buona parte dell’anno in quella casetta.

Non mi sento però in Sardegna un privilegiato oppressore – anche se non mancano i sardi xenofobi, purtroppo.

I sardi hanno nella pubblica amministrazione italiana, e nella politica italiana, le stesse opportunità dei continentali, ma si lamentano della scarsità di risorse economiche dedicate alla loro isola; questo crea uno svantaggio evidente da colmare, ma parlare di oppressione politica mi parrebbe ingiustificato.

Potremmo lamentarci anche che agli Angioy (Giovanni Maria), ai Manno (Giuseppe), ai Tola (Pasquale), ai Mameli (Goffredo), ai Siotto Pintor (Giovanni), ai Cocco-Ortu (Francesco), agli Asproni (Giorgio), ai Lussu (Emilio), ai Gramsci (Antonio), ai Berlinguer (Enrico, per cominciare), ai Segni (Antonio, per cominciare), ai Fiori (Giuseppe) sono succeduti politici più noti per le condanne che per le realizzazioni, ma i politici sardi li scelgono i sardi, e quindi dovremmo semmai lamentarci di noi stessi.

L’esperienza di passare da oppresso ad oppressore, e di sentirsi peggio anziché meglio perché è stata frustrata la propria ricerca della giustizia (cfr. Dt 16:20 [2]), più che sarda, la definirei ebraico-israeliana.

La narrazione dell’Esodo dall’Egitto ha plasmato tutti i paesi in cui il cristianesimo è religione di maggioranza – soprattutto gli USA, terra in cui cercarono asilo i Puritani venuti d'oltreoceano; ed è abbastanza noto come per gli autori di Spirituals [3] la traversata del fiume Giordano, l’epilogo dell’Esodo, rappresentasse anche la fine della schiavitù.

Crystal Chen dice che ha tratto i suoi valori antirazzisti dal Pledge of Allegiance [4] che da bambina recitava a scuola; per capire le implicazioni, occorre conoscere la storia dell'inno.

Esso infatti fu composto nel 1892 dal pastore battista Francis Bellamy, che lo volle rendere universale - nella versione originale, non c'era alcun riferimento agli USA, poteva applicarsi a qualunque paese, e quello a cui si giurava fedeltà doveva essere uno strumento di giustizia per tutti.

Direi che i valori a cui l'autore dell'inno (e l'autrice dell'articolo) si sono ispirati hanno avuto il loro humus (anche in latino [homo => humus] vale il gioco di parole ebraico “adam => adamah”) in un tempo molto antico, ed in una terra molto lontana.

L’articolo è stato pubblicato su Foreign Policy; avrebbe potuto benissimo comparire su The New York Times, il quotidiano dell’intelligencija ebraico-americana di sinistra, più vicina ad Obama che a Netanyahu, e che vorrebbe un’Israele simile agli USA anziché il contrario.

E mi sento molto simile all’autrice – anch’io condivido l’ultimo paragrafo dell’articolo, cambiando solo qualche nome geografico:
Quindi, a tutti quelli che hanno sempre voluto che la gente come me “tornasse” in Cina: la mia casa è su un ponte corto come un trattino e largo come l’Oceano Pacifico. La mia casa è un luogo intermedio, come lo è per tutti gli americani che ricordano le loro radici, la loro storia, ed il viaggio che li ha portati lì. La mia casa è un compromesso, una discussione, una negoziazione.
Un'esperienza più da ebre* della diaspora che da cinese o sard* dell'emigrazione.

Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague