Sto leggendo il libro [1], che non mi sta piacendo molto: gli autori hanno in mente persone con un livello di funzionamento decisamente inferiore al mio, e questo li fa propendere per la protezione anziché l'integrazione - non ho bisogno di questo.
Un brano che mi è piaciuto assai poco è questo, che si trova a pagina 78 della mia edizione:
Tuttavia, gli operatori che lavorano con adulti affetti da autismo in strutture residenziali spesso riportano che questi adulti cercano di creare forti attaccamenti con gli operatori piuttosto che con i coetanei, e questo sembra essere vero anche per gli adolescenti autistici (Volkmar, 1987). È possibile quindi che le persone autistiche abbiano la «capacità» di stabilire relazioni con gli altri, ma si ritiene che la probabile base di tali legami risieda nell'uso funzionale dell'«altro» da parte del soggetto autistico.
(Volkmar, 1987): Volkmar F.R. (1987). Social development. In D.J. Cohen e A. Donnellen. Handbook of Autism and Pervasive Developmental Disorders. New York, Wiley. [L'edizione corrente, la terza, del 2005, è in due volumi: (volume 1) e (volume 2)]
Allora, con i neurotipici si fa così: prima di giudicare il loro comportamento, si chiede la loro opinione, la si riferisce, e la si critica solo se non è convincente. Non vedo perché trattare in altro modo i neurodiversi parlando alle loro spalle.
Questo comportamento (il cercare rapporti verticali anziché orizzontali) ce l'ho anch'io, ce l'avevo anche a scuola (cosa che non mancava di guastare la mia vita sociale), e la spiegazione è molto semplice: le persone autistiche ed Asperger vogliono entrare in rapporto con persone eccezionali, anche se non ci guadagnano niente! Questa è la differenza con le personalità narcisistiche, che in qualsiasi cosa cercano il loro tornaconto.
In una scuola gli insegnanti funzionano assai meglio degli alunni, ed in una struttura residenziale per autistici, gli operatori purtroppo funzionano meglio degli ospiti. Per quanto socialmente inetti siano autistici ed Aspie, se ne rendono ahiloro conto e fanno le loro scelte. Se c'è prova di «uso funzionale dell'altro», chiedetevi se il suo autore non sia un caso di comorbidità.
Nel mio caso, cercavo anche rapporti con dei pari che ritenevo eccellenti (lo erano anche obbiettivamente - prendevano il massimo dei voti ed uno sarebbe diventato professore universitario); purtroppo, loro erano neurotipici e di me pensavano che intelligente lo ero forse, inadeguato di sicuro.
Non mi davano retta, non potevano cambiare il mio destino, eppure cercavo sempre loro - una persona interessata ad un «uso funzionale dell'altro» avrebbe desistito subito ed avrebbe manipolato altre persone, non vi pare?
Nel mio caso, cercavo anche rapporti con dei pari che ritenevo eccellenti (lo erano anche obbiettivamente - prendevano il massimo dei voti ed uno sarebbe diventato professore universitario); purtroppo, loro erano neurotipici e di me pensavano che intelligente lo ero forse, inadeguato di sicuro.
Non mi davano retta, non potevano cambiare il mio destino, eppure cercavo sempre loro - una persona interessata ad un «uso funzionale dell'altro» avrebbe desistito subito ed avrebbe manipolato altre persone, non vi pare?
Tra l'altro, ho il sospetto che nel brano si nasconda un bello stereotipo di genere, evidente a chi ha letto il libro [2] - non eccezionale (tant'è vero che è fuori catalogo), ma comunque illuminante.
Il libro si può riassumere così: una ragazza che cerca un(a) partner fa in modo da trovarsi in un gruppo di persone, e di essere corteggiata dalla più interessante di loro. Sembra il volo nuziale degli imenotteri (api, vespe, formiche), in cui la regina viene circondata da uno sciame di fuchi, ma solo il migliore riuscirà a fecondarla.
Alberoni parla solo del caso della ragazza che cerca un uomo, ma il caso si generalizza facilmente a quello delle lesbiche/bisessuali «femme» che cercano lesbiche/bisessuali «butch» - la dinamica del corteggiamento è la medesima.
Gli autistici si comportano allo stesso modo - come le regine degli insetti; ma quello che è considerato parte, ineliminabile se non affascinante, della femminilità neurotipica attira scherno e disprezzo quando è praticato dalle persone autistiche (che sono nella maggioranza di sesso maschile!).
Il ruolo di genere maschile prevede infatti una rigida divisione in caste (l'autore di [3] non mette mica quelle parole in bocca ad una donna!), ed ognuno deve la sua sopravvivenza al far gruppo all'interno di tal casta, non all'ambire all'eccellenza.
Gli autistici non sono scherniti solo per la loro neurodivergenza (che spesso si traduce in disabilità, purtroppo), ma anche per la loro non conformità di genere, che si manifesta anche in questo.
Chiedetevi un po', c(l)inici maschi cis neurotipici, se è bello far parte di un genere il cui ruolo prevede di dividere l'umanità in caste, dell'ultima delle quali il personaggio di Sciascia dice (vedi sempre [3]):
«E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…»
Il senso della giustizia vi manca (non vi mettereste altrimenti a parlare alle spalle degli autistici invece di chiedere la loro opinione); quello del ridicolo ce l'avete?
Raffaele Yona Ladu
Ebre* gendervague