[1] I 'Went Back to China' - and Felt More American Than Ever
[2] "La giustizia, la giustizia seguirai", commentato da Evangelici.net
[3] The River Jordan in Early African American Spirituals
[4] The Pledge of Allegiance
L’articolo [1] di Crystal Chen mi ha colpito alquanto. Come lei si sentiva bullizzata perché cinese in America, anch’io mi sentivo bullizzato da ragazzo perché sardo in Continente.
L’essere Asperger non migliorava certo la mia situazione, anche se la differenza tra sardi e continentali, pur genetica (tant’è vero che gli studiosi della genetica delle popolazioni italiane ignorano la Sardegna o le dedicano una trattazione a se stante), non è razziale – non cambia il colore della pelle o la forma degli occhi.
Preciso che sono un sostenitore dello “jus soli” anche per la mia isola: per me, chi è nato in Sardegna o ci ha vissuto per almeno cinque anni, è sardo – e senza che questo sia incompatibile con l’appartenere anche ad un altro popolo. Le indagini genealogiche servono solo per chi non ha questa fortuna e rivendica comunque (lecitamente) la sardità.
Anch’io ho sognato per molti anni di tornare in Sardegna, e quest’anno, comprando una casa a Bosa, mi sono avvicinato alla realizzazione del sogno. Quando io e mia moglie saremo in pensione, passeremo buona parte dell’anno in quella casetta.
Non mi sento però in Sardegna un privilegiato oppressore – anche se non mancano i sardi xenofobi, purtroppo.
I sardi hanno nella pubblica amministrazione italiana, e nella politica italiana, le stesse opportunità dei continentali, ma si lamentano della scarsità di risorse economiche dedicate alla loro isola; questo crea uno svantaggio evidente da colmare, ma parlare di oppressione politica mi parrebbe ingiustificato.
Potremmo lamentarci anche che agli Angioy (Giovanni Maria), ai Manno (Giuseppe), ai Tola (Pasquale), ai Mameli (Goffredo), ai Siotto Pintor (Giovanni), ai Cocco-Ortu (Francesco), agli Asproni (Giorgio), ai Lussu (Emilio), ai Gramsci (Antonio), ai Berlinguer (Enrico, per cominciare), ai Segni (Antonio, per cominciare), ai Fiori (Giuseppe) sono succeduti politici più noti per le condanne che per le realizzazioni, ma i politici sardi li scelgono i sardi, e quindi dovremmo semmai lamentarci di noi stessi.
L’esperienza di passare da oppresso ad oppressore, e di sentirsi peggio anziché meglio perché è stata frustrata la propria ricerca della giustizia (cfr. Dt 16:20 [2]), più che sarda, la definirei ebraico-israeliana.
La narrazione dell’Esodo dall’Egitto ha plasmato tutti i paesi in cui il cristianesimo è religione di maggioranza – soprattutto gli USA, terra in cui cercarono asilo i Puritani venuti d'oltreoceano; ed è abbastanza noto come per gli autori di Spirituals [3] la traversata del fiume Giordano, l’epilogo dell’Esodo, rappresentasse anche la fine della schiavitù.
Crystal Chen dice che ha tratto i suoi valori antirazzisti dal Pledge of Allegiance [4] che da bambina recitava a scuola; per capire le implicazioni, occorre conoscere la storia dell'inno.
Esso infatti fu composto nel 1892 dal pastore battista Francis Bellamy, che lo volle rendere universale - nella versione originale, non c'era alcun riferimento agli USA, poteva applicarsi a qualunque paese, e quello a cui si giurava fedeltà doveva essere uno strumento di giustizia per tutti.
Direi che i valori a cui l'autore dell'inno (e l'autrice dell'articolo) si sono ispirati hanno avuto il loro humus (anche in latino [homo => humus] vale il gioco di parole ebraico “adam => adamah”) in un tempo molto antico, ed in una terra molto lontana.
L’articolo è stato pubblicato su Foreign Policy; avrebbe potuto benissimo comparire su The New York Times, il quotidiano dell’intelligencija ebraico-americana di sinistra, più vicina ad Obama che a Netanyahu, e che vorrebbe un’Israele simile agli USA anziché il contrario.
E mi sento molto simile all’autrice – anch’io condivido l’ultimo paragrafo dell’articolo, cambiando solo qualche nome geografico:
[2] "La giustizia, la giustizia seguirai", commentato da Evangelici.net
[3] The River Jordan in Early African American Spirituals
[4] The Pledge of Allegiance
L’articolo [1] di Crystal Chen mi ha colpito alquanto. Come lei si sentiva bullizzata perché cinese in America, anch’io mi sentivo bullizzato da ragazzo perché sardo in Continente.
L’essere Asperger non migliorava certo la mia situazione, anche se la differenza tra sardi e continentali, pur genetica (tant’è vero che gli studiosi della genetica delle popolazioni italiane ignorano la Sardegna o le dedicano una trattazione a se stante), non è razziale – non cambia il colore della pelle o la forma degli occhi.
Preciso che sono un sostenitore dello “jus soli” anche per la mia isola: per me, chi è nato in Sardegna o ci ha vissuto per almeno cinque anni, è sardo – e senza che questo sia incompatibile con l’appartenere anche ad un altro popolo. Le indagini genealogiche servono solo per chi non ha questa fortuna e rivendica comunque (lecitamente) la sardità.
Anch’io ho sognato per molti anni di tornare in Sardegna, e quest’anno, comprando una casa a Bosa, mi sono avvicinato alla realizzazione del sogno. Quando io e mia moglie saremo in pensione, passeremo buona parte dell’anno in quella casetta.
Non mi sento però in Sardegna un privilegiato oppressore – anche se non mancano i sardi xenofobi, purtroppo.
I sardi hanno nella pubblica amministrazione italiana, e nella politica italiana, le stesse opportunità dei continentali, ma si lamentano della scarsità di risorse economiche dedicate alla loro isola; questo crea uno svantaggio evidente da colmare, ma parlare di oppressione politica mi parrebbe ingiustificato.
Potremmo lamentarci anche che agli Angioy (Giovanni Maria), ai Manno (Giuseppe), ai Tola (Pasquale), ai Mameli (Goffredo), ai Siotto Pintor (Giovanni), ai Cocco-Ortu (Francesco), agli Asproni (Giorgio), ai Lussu (Emilio), ai Gramsci (Antonio), ai Berlinguer (Enrico, per cominciare), ai Segni (Antonio, per cominciare), ai Fiori (Giuseppe) sono succeduti politici più noti per le condanne che per le realizzazioni, ma i politici sardi li scelgono i sardi, e quindi dovremmo semmai lamentarci di noi stessi.
L’esperienza di passare da oppresso ad oppressore, e di sentirsi peggio anziché meglio perché è stata frustrata la propria ricerca della giustizia (cfr. Dt 16:20 [2]), più che sarda, la definirei ebraico-israeliana.
La narrazione dell’Esodo dall’Egitto ha plasmato tutti i paesi in cui il cristianesimo è religione di maggioranza – soprattutto gli USA, terra in cui cercarono asilo i Puritani venuti d'oltreoceano; ed è abbastanza noto come per gli autori di Spirituals [3] la traversata del fiume Giordano, l’epilogo dell’Esodo, rappresentasse anche la fine della schiavitù.
Crystal Chen dice che ha tratto i suoi valori antirazzisti dal Pledge of Allegiance [4] che da bambina recitava a scuola; per capire le implicazioni, occorre conoscere la storia dell'inno.
Esso infatti fu composto nel 1892 dal pastore battista Francis Bellamy, che lo volle rendere universale - nella versione originale, non c'era alcun riferimento agli USA, poteva applicarsi a qualunque paese, e quello a cui si giurava fedeltà doveva essere uno strumento di giustizia per tutti.
Direi che i valori a cui l'autore dell'inno (e l'autrice dell'articolo) si sono ispirati hanno avuto il loro humus (anche in latino [homo => humus] vale il gioco di parole ebraico “adam => adamah”) in un tempo molto antico, ed in una terra molto lontana.
L’articolo è stato pubblicato su Foreign Policy; avrebbe potuto benissimo comparire su The New York Times, il quotidiano dell’intelligencija ebraico-americana di sinistra, più vicina ad Obama che a Netanyahu, e che vorrebbe un’Israele simile agli USA anziché il contrario.
E mi sento molto simile all’autrice – anch’io condivido l’ultimo paragrafo dell’articolo, cambiando solo qualche nome geografico:
Quindi, a tutti quelli che hanno sempre voluto che la gente come me “tornasse” in Cina: la mia casa è su un ponte corto come un trattino e largo come l’Oceano Pacifico. La mia casa è un luogo intermedio, come lo è per tutti gli americani che ricordano le loro radici, la loro storia, ed il viaggio che li ha portati lì. La mia casa è un compromesso, una discussione, una negoziazione.
Un'esperienza più da ebre* della diaspora che da cinese o sard* dell'emigrazione.
Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague
Raffaele Yona Ladu Âû
Ebre* gendervague